La conferenza stampa di inizio anno di Giorgia Meloni per alcuna stampa è stata particolarmente deludente visto che trovano il format usato sia stato ingessato, un comizio durato più di tre ore scandito da domande a dir poco controllate dei giornalisti presenti. Uno spettacolo noioso, visto che nessuna persona normale riesce a seguire una conferenza così lunga e non gestita secondo criteri moderni riguardo alla lunghezza delle domande e soprattutto delle risposte e senza che vi sia alcuna possibilità di replicare e di controbattere alle affermazioni della presidente. Giorgia Meloni ha peggiorato le cose, divagando, allungando il brodo, non rispondendo nel merito, non fornendo particolari notizie o idee su cosa intenda fare nei prossimi mesi. Le domande toste saranno state quattro-cinque su oltre quaranta. Colleghi giovani, magari anche un po’intimiditi, che arrivano col foglietto con la domandina preparata col caporedattore e fanno quella anche nel caso in cui nella risposta precedente Meloni avesse detto una cosa sbagliata o confusa, da confutare. Secondo questi ‘signori’ giornalisti è mancato il ‘vero’ clima delle ‘vere’ conferenze stampa, che sono anche delle battaglie tra la politica e il giornalismo che è o dovrebbe essere suo guardiano. C’è da chiedersi se il giornalismo politico non sia entrato in una stagione narcotica e acritica. In questo quadro bisogna chiedersi quanto sia stato sensato da parte della Fnsi sbandierare il boicottaggio della conferenza stampa di Meloni per protesta contro la presunta norma-bavaglio di fatto auto-imbavagliandosi, una cosa che nessuno ha capito, tantomeno i colleghi che pur sposando la “causa” del sindacato dei giornalisti alla conferenza c’è andato eccome: si è scritta dunque una delle pagine più penose della storia sindacale effetto di una deriva che già è tanto definire ideologica. C’è da chiedersi: ma i giornalisti contestatori e scriventi dove erano? Erano presenti? Hanno fatto un sunto, ma di che? Quali sono state le domande poste? Le bugie da oscar di Giorgia Meloni, diluvio di inesattezze e non risposte: tre ore di slalom e propaganda. Ma per tornare al punto, è evidente che questo rito bizantino della conferenza di fine anno vada ormai superato con un format più veloce, più aggressivo, più di qualità. Se si vuole anche più televisivo, anche perché viene trasmesso in diretta. Non servono quarantatré domande, ne basta e avanza la metà se si consentono repliche serie da parte di giornalisti, pochi ma più autorevoli: dieci direttori che incalzano il/la presidente pro tempore. E poi vediamo se ci si annoia e se il/la premier riesce a scappare. Secondo Bonelli, esponente di Avs, Meloni “si fa forza del suo ruolo di potere con le sue non-risposte trasmesse a reti unificate”: in sostanza, che si presenti o meno alla conferenza, Meloni sarà il bersaglio delle critiche a partito preso della sinistra. Ed erano vuote alcune sedie riservate ai giornalisti: la colpa era della cosiddetta “legge bavaglio”, contro la quale Fnsi ha deciso di protestare, seguendo la manifestazione avvenuta sotto Palazzo Chigi sul tema. Meloni ha dichiarato per tutta risposta che la legge, pur condividendola in quanto “norma di equilibrio tra diritto di informare e di non ritrovarsi sul giornale”, non è nata da un’iniziativa del governo, ma è arrivata da un esponente dell’opposizione, Costa di Azione per la precisione. E per questo, riguardo la manifestazione dice che, più che a Palazzo Chigi, “penso sarebbe stato giusto farla di fronte al Parlamento”. Insomma, sono passati appena tre anni, ma sembra passato un secolo, da quando nel dicembre 2021 Mario Draghi si presentava alla conferenza stampa di fine anno tra gli applausi dei giornalisti. Oggi Giorgia Meloni si è ritrovata ad affrontare in tutt’altro clima le spinose domande poste dai giornalisti presenti, alle quali non si è fatta trovare impreparata: Meloni si dice pronta alle europee, ripetendo di “non essere una persona ricattabile”, rivendica le sue politiche, non si tira indietro di fronte alla proposta di un confronto televisivo con Elly Schlein, annuncia i prossimi provvedimenti del governo per l’anno appena iniziato, sbugiarda la sinistra sul caso del giudice contabile Degni dopo che nessun suo esponente è riuscito a prenderne le distanze (ricordando chi volle la sua nomina, il governo Gentiloni), mette a tacere le critiche sul suo silenzio in merito al caso Pozzoli, annunciando, da leader del partito, il suo deferimento alla commissione dei probiviri di Fratelli d’Italia. Vari insomma i temi, tutti trattati con la coerenza che le è tipica. Sul piano economico, Meloni ha rivendicato la scelta di bocciare il Mes. Una scelta che in realtà è spettata al Parlamento, a cui il governo, come prevede la Costituzione, si è rimesso per la decisione: “La ratifica è stata bocciata – dice – perché non c’è mai stata la maggioranza in Parlamento. Perché l’ex governo Conte ha sottoscritto la modifica quando sapeva che non c’era una maggioranza per ratificarlo? Penso sia stato un errore”. Meloni rivendica anche la tassa sugli extraprofitti spiegando che non si tratta di un aiuto alle banche dato che lo Stato riceverà da loro tasse anche maggiori dati i maggiori profitti. E risponde alle critiche: “Mi fa un po’ sorridere che i primi a criticare il primo governo che ha avuto il coraggio di tassare le banche siano quelli che quando erano al governo hanno fatto regali miliardari alle banche” dice, riferendosi a PD e M5S che, tra l’altro, hanno pure difeso il nuovo Mes “salva-banche”. Tra le domande anche l’uscita italiana dalla Via della Seta: “Sono convinta della decisione sulla base dei risultati che sono arrivati” ha spiegato, ricordando il calo degli export italiani e il contemporaneo aumento di quelli cinesi verso la nostra Nazione e ricordando soprattutto che altri Paesi europei possono contare su numeri più favorevoli e su collaborazioni più eque con l’Oriente nonostante non abbiano siglato alcun accordo. Importante sarà allora mantenere buoni rapporti con la Cina, magari con partnership più favorevoli, e in generale favorire gli investimenti in Italia tramite sburocratizzazione e riforma della giustizia. Sull’immigrazione Meloni ha dichiarato, come già aveva fatto precedentemente, che i risultati ottenuti nel 2023 sono stati al di sotto delle aspettative, nonostante la ripresa degli ultimi mesi. Si dice pronta a prendersene le responsabilità, ma non esita a dichiarare che, al di là di politiche per facile consenso che risolverebbero il problema solo temporaneamente, “sto cercando risolvere il problema strutturalmente e ciò richiede un coinvolgimento interazionale enorme e soluzioni strutturali di lungo periodo”. Bisogna dare tempo al tempo, insomma, sapendo che sul tema non c’è più l’inattività degli anni scorsi. E ci vorrà tempo anche nel contrasto alle cosiddette “zone franche” e alle tante periferie disagiate delle città italiane. Caivano “ci sta togliendo qualche soddisfazione”, quale aver restituito a migliaia di cittadini anche i più banali dei diritti, come quello di avere la possibilità di portare i propri figli al parco: sul modello di Caivano sarà possibile attuare le stesse scelte anche nelle altre periferie, così da risolvere negli anni un problema gravoso per milioni di cittadini. Il 2024 dovrà essere l’anno delle grandi riforme. Si attende la riforma della giustizia, ma discorso a sé fanno premierato e autonomia differenziata. Sul primo, si è ribadito che il Presidente della Repubblica, al netto delle dicerie delle opposizioni, non subirà modifiche e il suo ruolo di garanzia resterà intatto: al contempo, garantire stabilità a un governo eletto per cinque anni consentirà, a livello interno, di attuare politiche a medio e lungo periodo per la Nazione, andando oltre le politiche di facile consenso avute negli ultimi anni, mentre, a livello internazionale, consentirà di ottenere maggiore credibilità nei mercati e nelle istituzioni europee. Sull’autonomia, invece, Meloni sostiene che il paventato possibile divario tra Nord e Sud non sussiste, essendo la riforma, al contrario, una opportunità anche per quelle Regioni del Sud che gestiscono bene i propri fondi ottenendo fondi “extra” provenienti non da altre Regioni, ma dallo Stato stesso. Posto nel dibattito ha avuto anche la questione Rai. L’obiettivo del governo sul tema è chiaro ed è stato ribadito da Meloni: bisogna garantire pluralismo e combattere gli sprechi. Dalle opposizioni sono state mosse critiche riguardo i bassi ascolti della Tv di Stato; critiche alle quali Meloni ha risposto a tono, ricordando che, oltre a essere basati i dati su un palinsesto estivo, stilato quando ancora erano in carica esponenti di sinistra, quello dello share non deve essere l’unico dato di riferimento del servizio pubblico. Alcuni si sono avventurati nel definire la Rai “Tele-Meloni”, dimenticando quando Fratelli d’Italia era l’unico partito d’opposizione durante il governo Draghi e, nonostante ciò, era l’unico a non essere rappresentato nel Cda dell’azienda. Svelata così l’ipocrisia di “una sinistra che in passato con il 18% dei consensi esprimeva il 70% di posizioni in Rai..”. Molti ancora i temi trattati: le dichiarazioni di Giuliano Amato circa la Corte Costituzionale, i già citati casi Pozzolo e Degni, lo scandalo degli appalti Anas. Meloni è stata un fiume in piena: su Amato si è detta basita, spiegando che il problema si pone perché “entro il 2024 il Parlamento, che oggi ha una maggioranza di centrodestra, deve nominare quattro giudici della Corte Costituzionale”. Due pesi e due misure: se ci fosse stata una maggioranza di sinistra in Parlamento, non ci sarebbe stata nessuna polemica. E due pesi e due misure della sinistra anche riguardo altre tematiche, come quella degli appalti Anas, su cui le opposizioni hanno chiesto un’informativa del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini in Parlamento: “Bisogna attendere la Magistratura” dice Meloni, sottolineando però che il caso riguarda il precedente governo e che Salvini non è tenuto a discuterne. Va male così l’ennesimo tentativo di politicizzare scandali esterni. Meloni non ci sta e tuona: “Io non ho chiesto le dimissioni di altri politici quando erano indagati, come è capitato a Giuseppe Conte. Questa idea per cui a sinistra si è garantisti con i propri e giustizialisti con gli altri è un meccanismo che non funziona e che io non ho applicato in passato. Prego di non farmi le lezioni di morale”. Come risposta alla domanda sugli obiettivi per i primi mesi del 2024, Meloni ha elencato riforma del PNRR, riforma della giustizia e un piano di borse di studio per studenti meritevoli che non hanno condizioni di reddito adeguate. Ma resta agli atti la prima ironica risposta, che con molta probabilità ha indispettito qualche esponente grillino: “Abolire la povertà, la pace nel mondo, ristrutturazione gratuita interni ed esterni”.
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