Indice alto del governo Meloni, tra politica estera, sfide economiche, Piano Mattei, intelligenza artificiale e stato di salute del centrodestra

Cresce l’indice di gradimento del governo e del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non solo passano indenni le ripetute polemiche di questo inizio anno da parte dell’opposizione, ma aumentano il consenso tra gli italiani rispettivamente di due e tre punti rispetto al mese scorso. Il dato emerge dal sondaggio di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera che stila anche la classifica di gradimento complessiva dei leader  di partito.

Il sondaggio sul gradimento di Meloni e governo: il premier cresce di 3 punti

Nel dettaglio, il sondaggio mostra che Giorgia Meloni si attesta a un indice di gradimento del 47%, a fronte del 44% del 14 dicembre; il governo sale al 46% dal 44% di un mese fa. Dunque, rileva Pagnoncelli nell’articolo di presentazione del sondaggio, nessuno dei presunti casi pompati in queste settimane, da Acca Larenzia alle regionali, ha avuto un impatto negativo sulla valutazione degli italiani, sui quali invece sembra aver fatto presa la conferenza stampa di inizio anno del premier, che è stata “a detta di quasi tutti gli osservatori – scrive il sondaggista – un successo comunicativo”.

Per quanto riguarda le coalizioni e i partiti, poi, il centrodestra si attesta al 45,8% contro il 26% del centrosinistra. Nel dettaglio dei partiti, FdI è al 29%, la Lega all’8,7%, Forza Italia al 7%, Noi Moderati all’1,1%. Il Pd al 19,7%, Avs al 4,2%, +Europa al 2,1%. Il M5S è al 16,2%; Azione al 3,3%, Italia Viva al 3%.

Fra i leader di partito, dai quali il sondaggio tiene fuori Giorgia Meloni, Antonio Tajani è il più apprezzato, con un indice di gradimento del 32%, seguito da Giuseppe Conte al 30% e Matteo Salvini al 26%. Elly Schlein si attesta quarta con il 24%, seguita da Maurizio Lupi al 21%, come Nicola Fratoianni. Angelo Bonelli dei Verdi è al 19%, Riccardo Magi di +Europa al 18% e il leader di Azione Carlo Calenda al 17%. Chiude Matteo Renzi al 13%.

Giorgia Meloni ha dato grande impulso al made in Italy “negli Stati Uniti rispetto al passato”. L’incoronazione arriva da Giovanni Colavita,  uno dei simboli dell’imprenditoria italiana negli States. Primo brand italiano ad aver fatto conoscere l’olio extra vergine di oliva Made in Italy nel mercato americano. Una storia di internazionalizzazione di successo che il nipote del fondatore racconta in un’intervista. Il mercato oggi è “sempre più difficile e competitivo”- dice l’Ad-. Solo le aziende “con le spalle larghe” resistono” e hanno grande “sostegno da parte del governo italiano”. Sostegno che la premier,  “la prima non-tecnica a guadagnarsi credibilità internazionale e che negli Stati Uniti gode di fortissimo rispetto e attenzione”, sta dando alle nostre imprese. Il riconoscimento di Giovanni Colavita non è banale, tutt’altro.

Partita da un piccolo frantoio, oggi l’Azienda è presente in 70 Paesi, con tre stabilimenti in Italia (il principale a Pomezia) e tre negli Stati Uniti. L’azienda, che deve all’estero l’80% del fatturato (il 50% negli Usa), 15 anni fa ha acquisito il suo importatore negli Stati Uniti. Ed oggi è tra i marchi leader nella categoria ‘olio, pasta e aceto’.  E’ il più grande distributore di food italiano negli Usa, rappresentando solo clienti italiani: da Sperlari a Rio Mare, da Mulino Bianco a Perugina fino San Benedetto. L’anima della Colavita resta però l’olio, sottolinea l’ad, indicando come l’azienda sia tra i primi brand online. Colavita nel 2018 è entrata nel settore del wine con l’acquisizione della Panebianco che esporta vini di 42 produttori e 20 anni fa ha inaugurato il ‘Colavita center’, un centro per la formazione degli chef di cucina italiana situato all’interno del ‘Culinary institute of America’, definito dal New York Times l’Harvard della cucina mondiale.

“Per il Made in Italy è sempre un buon momento negli Usa, ma allo stesso tempo è sempre più difficile. Non è più il mercato di 50 anni fa, è diventato molto più competitivo”. E per questo motivo è “importante supportare le aziende italiane”, indica Colavita; spiegando che per le piccole aziende “è difficile” competere a causa delle “spese enormi” che richiede stare in un mercato come quello americano. “Ma da questo governo è arrivata grande attenzione” alle aziende italiane all’estero, riconosce l’ad. Ricordando che il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, ha visitato lo stabilimento della Colavita a Pomezia.

Il ruolo del governo Meloni è essenziale nel settore, spiega l’Ad. “Essere una presidente del Consiglio donna le dà una grande attenzione, ma anche una grande responsabilità. E’ una novità per l’Italia e la Meloni è riuscita a guadagnarsi una credibilità incredibile grazie alla sua grande determinazione”, afferma Colavita, secondo cui “si possono non condividere le sue posizioni politiche – io stesso sono tra quelli che non l’ha votata ma oggi la voterebbe -. Ma sono rimasto molto colpito dal modo in cui sta gestendo la politica internazionale”.

L’imprenditore sostiene che negli Usa riconoscano alla premier e leader di Fdi “la capacità di guidare una coalizione non facile. Tanti amici in giro per il mondo mi danno conferma di questa grande positività e anche tanti italiani qui sono sorpresi dai risultati che sta ottenendo”. Secondo Colavita, quello che apprezzano maggiormente gli americani della Meloni è “la sua autenticità, la sua determinazione e la capacità di gestire un periodo molto difficile per il nostro Paese”.

Politica estera, sfide economiche, Piano Mattei, intelligenza artificiale, stato di salute del centrodestra con le opposizioni in trincea. La candidatura alle europee: “50% di possibilità che mi candidi”.  E, neanche a dirlo, il polverone sul Teatro di Roma scatenato dalla sinistra sulla nomina del direttore Luca De Fusco. È un’intervista a tutto tondo quella di Giorgia Meloni a Quarta Repubblica, la prima dell’anno nuovo. “Io non ho nominato nessuno, neanche lo sapevo francamente. C’è un Cda che per legge nomina il direttore del Teatro di Roma. Ed è stata nominata una persona che ha, da quello che io apprendo, un curriculum di ferro sul piano culturale della competenza”, dice la premier incalzata da Nicola Porro. E ancora: l’amichettismo Pd è finito. L’Italia “è una Nazione nella quale vige l’amichettismo, ci sono circoli di amichettisti e c’è un indotto. Ma quel tempo è finito, come è finito il tempo in cui, per arrivare da qualche parte, dovevi avere la tessera di partito. Le carte ora le do io, o meglio le danno gli italiani. Questo è il tempo del merito”.

“Non ha tessere di partito – dice di De Fusco – non ha la tessera di Fratelli d’Italia, ma lo scandalo è che non ha la tessera del Pd… “.  Pratica archiviata, dunque. Il tempo delle lottizzazioni è finito, taglia corto. “Nei posti ci vanno le persone che hanno le competenze, non serve più avere la tessera del partito democratico

Anche sul presunto diverbio con Chiara Ferragni, la verità è semplice e basta andarsi a rileggere le parole pronunciate da Meloni che hanno scatenato la sinistra nella difesa a oltranza dell’influencer per la presunta lesa maestà. “Mi è dispiaciuto che le mie parole siano state lette come uno scontro”, spiega Meloni. “Io stavo dicendo una cosa in realtà in positivo verso le persone che producono un’eccellenza, che noi vediamo attraverso gli influencer. E diamo più peso a chi la ‘indossa’, rispetto a chi la produce”.  È la sinistra, anche lì che si è sbracciata, prosegue la premier con l’ironia che non le manca. “Manco avessi attaccato Che Guevara, come ho detto nella conferenza di fine anno. Sono loro che hanno creato il caso io non volevo creare un caso”.

“Che si venga a fare la morale a me che sono stata presidente di un partito politico che, per la prima e unica volta nella storia della Rai, è stato l’unico partito di opposizione non esisteva nel Consiglio di amministrazione. Se fosse accaduto alla sinistra sarebbero arrivati i caschi blu dell’Onu. Vi prego lezioni non me ne venite a fare”. Ironica, ma seria, anche sul dossier che riguarda Marcello Degni, il magistrato della Corte dei Conti nominato dall’ex premier Paolo Gentiloni, che si era augurato che l’Italia non riuscisse ad approvare la manovra di bilancio in tempo. “A me mi chiedono conto di quello che faceva Mussolini, a loro non gli puoi chiedere conto di quello che faceva il Pd un anno fa?”.

Anche sulle privatizzazione nessuna lezione dalle sinistre, né da Repubblica, che  titola  ‘L’Italia è in vendita’. “Che quest’accusa mi arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e ceduto ai francesi, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane, non so se il titolo fosse un’autobiografia… Però le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti anche no”.

Non poteva mancare un passaggio sull’intelligenza artificiale. “Io sono più vicina alla posizione di Musk, grandissimo conoscitore del tema, e persona che dice ‘signori attenzione’. “Nel senso che sicuramente può generare grandi opportunità, ma secondo me genera anche potenziali enormi rischi. Non scioglie il nodo sulla candidatura alle europee e invita opinionisti e giornalisti a occuparsi anche di altro.

“Quante possibilità ci sono che io mi candidi? Al 50%, ma veramente solo questo vi interessa… Non ho deciso, penso che deciderò all’ultimo, quando si formano le liste. Si figuri se non considero importante misurarmi con il consenso dei cittadini, perché quello è l’unico elemento che conta per me. Non è una presa in giro”. Nessuna truffa agli elettori come certa sinistra insinua da settimane. “I cittadini che dovessero votare per una Meloni che si candida in Europa sanno che non ci va. Ciò non toglie che se voglio confermare o non confermare un consenso, anche quella è democrazia”.

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