Il voto europeo dell’8 e 9 giugno dirà molto su come ridisegnare l’Europa di domani. Meloni ha fissato come obiettivo il 26 per cento ma, in verità, è sicura di fare meglio. La Lega segue sempre meno Salvini, vista l’idea di puntare sul generale Vannacci per puntellare la sua leadership che, a dire il vero, è traballante. Con la Lega sopra il 10 per cento Salvini resisterà come segretario, con la Lega sotto Forza Italia Salvini non resterà al timone. Tajani è stato ambizioso scommettendo su Forza Italia al 10. Nel campo delle opposizioni avrà ragione Schlein che ha deciso di guidare il Pd o Conte che è rimasto in panchina? E’ giusto o no candidarsi per l’Europa sapendo che in Europa non si potrà andare? Meloni Tajani e Schlein ci saranno, Conte e Salvini no.
Il voto europeo dirà molto sui rapporti di forza qui in Italia, tanto nella maggioranza, quanto nell’opposizione. Meloni, a dire il vero, è sicura di andare oltre il 26 per cento delle ultime politiche e la scelta di tenere l’asticella bassa le permetterà di festeggiare tutto quello che arriverà in più come una grande vittoria. Nelle conversazioni con il suo direttivo elettorale Giorgia Meloni riassume tutto in poche parole: ‘Bisogna pesare in Europa per fare cose in Italia’. La premier punta ad un vero taglio delle tasse nel 2025, guida Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni, candidando quasi esclusivamente gente di partito che risponde a lei per potersi muovere e poter decidere senza condizionamenti. Meloni resterà nell’Ecr, il partito dei Conservatori finora dominato dai polacchi del Pis ma di cui Fdi è destinato a diventare azionista di maggioranza se il 10 giugno i voti reali dovessero confermare le previsioni che danno Fratelli d’Italia vicino al 30 per cento. Meloni sa che gli accordi prima che in Parlamento si faranno nel Consiglio europeo. Sa che saranno i leader dei 27 a decidere chi guiderà per i prossimi 5 anni la Ue. E se, forte dei consensi, riuscirà davvero ad essere protagonista del nuovo assetto, avendo crediti da vantare e da spendere. Consapevole di quanto sarà decisivo il rapporto con Bruxelles, e del debito in aumento, anche a causa del superbonus, a Giorgia Meloni occorre un patto forte con l’Europa: il derby con Schlein e la partita interna con Salvini vengono dopo. La vera partita è pesare in Europa per fare cose in Italia. Il popolo della Lega è fortemente scontento della guida di Matteo Salvini come dice uno striscione apparso sul prato dell’ultima Pontida: “Da indipendenza a sudditanza, i militanti ne hanno abbastanza. Congresso subito”. Umberto Bossi soffia sul crescente malessere e cala le reti. Salvini guarda gli ultimi sondaggi e scopre che l’ultimo dava la Lega quattro decimali sotto Forza Italia: 7,9 contro 8,3. Numeri che sembrano anche una bocciatura all’idea di candidare il generale Roberto Vannacci in tutte le circoscrizioni. Un azzardo che ha trasformato il malessere del popolo leghista in rabbia. Il generale non convince. I governatori Zaia e Fedriga non hanno capito e non hanno gradito. E se il 10 giugno la Lega dovesse davvero finire dietro Forza Italia la resa dei conti nel Carroccio sarebbe inevitabile. Anche Antonio Tajani è stato chiaro: il nostro obiettivo è quota 10 per cento. Tajani parla della sua candidatura come di un «atto d’amore verso gli elettori» e scommette ancora sulla forza e sull’immagine di Silvio Berlusconi, visto che c’è ancora il nome del Cavaliere nel simbolo, e il volto di Berlusconi nei manifesti elettorali. Anche Tajani, come Meloni, chiede un voto legando Europa e Italia. «Il voto più utile per modificare l’Europa e tutelare gli interessi nazionali è quello a Forza Italia. In Europa dà le carte il Partito popolare europeo: più siamo forti nel Ppe più possiamo incidere per tutelare l’interesse nazionale», ripete il vicepremier. Il 10 giugno anche Tajani capirà che ruolo potrà avere in Europa. Con la sfida delle Europee Elly Schlein ha deciso di saltare senza rete di protezione e con Salvini è quella che rischia di più con il voto di giugno, visto che ha sfidato i colonnelli del Pd, dichiarando guerra a gruppi di potere e a correnti. La Schlein cerca sul campo la legittimazione che il partito le nega. Se perde questa sfida, perde tutto. Finire dietro i 5 stelle significa sicuramente essere messa in discussione dal partito e sicuramente uno stop a guidare le opposizioni, visto che anche puntare sul campo largo è stato un errore. Il centrosinistra oggi mostra varie differenze: sulla guerra all’Ucraina, sul reddito di cittadinanza, sul superbonus, sull’immigrazione ed altro, realtà che rende fragile ogni ipotesi di coalizione. Certo il voto europeo dirà molto su come ridisegnare l’Europa di domani e sarebbe riduttivo raccontarlo con una lettura tutta italiana. Ma in effetti questo voto dirà molto anche sui rapporti di forza qui in Italia, nella maggioranza e nell’opposizione. Per semplificare: con la Lega sopra il 10 per cento Salvini resiste, con la Lega sotto Forza Italia Salvini non resterà al timone. Tajani è stato ambizioso scommettendo su Forza Italia al 10. Nel campo delle opposizioni chi avrà ragione Schlein che ha deciso di guidare il Pd o Conte che è rimasto in panchina? Perchè questo è un altro nodo che fa e farà ancora discutere: giusto o no candidarsi per l’Europa sapendo che in Europa non si potrà andare? Meloni Tajani e Schlein ci saranno, Conte e Salvini no. Gli elettori ne terranno conto? Certo il voto europeo dirà molto su come ridisegnare l’Europa di domani e sarebbe riduttivo raccontarlo con una lettura tutta italiana. Elly Schlein dopo le critiche del padre nobile del centrosinistra italiano, Romano Prodi, sul nome della leader sul simbolo del Pd e sulla sua candidatura diretta alle europee aveva giocato di rimessa: ‘lo ascolto sempre, è sempre stato un punto di riferimento. Non si è sempre d’accordo ed è meglio esserlo francamente che fingere di essere d’accordo e poi pugnalare alle spalle come spesso si è fatto nel partito’. Il leader dell’Ulivo intervenendo alla kermesse di Repubblica non aveva lasciato adito a interpretazioni: ‘Io faccio dei ragionamenti sul buon senso perché così si chiede agli elettori di dare il voto a una persona che di sicuro non ci va a Bruxelles se vince. Queste sono ferite alla democrazia che scavano un fosso’. Parole pesanti come macigni, che Prodi ha ribadito giovedì 2 maggio a Piazzapulita, il programma condotto da Corrado Formigli su La7. Il nome di Schlein sul simbolo ‘non mi scandalizza affatto’, afferma Prodi. Va detto che l’idea lanciata da Stefano Bonaccini ha trovato all’interno del Pd una feroce opposizione. L’unico precedente era quello di Walter Veltroni, e in precedenza dello stesso Prodi, ma sulla lista de ‘I Democratici’, quella dell’asinello. Sfumato il nome sul simbolo, è rimasta la candidatura con Schlein capolista al Centro e nelle Isole, che mai e poi mai andrà a fare l’eurodeputata tra Bruxelles e Strasburgo. ‘Invece, la candidatura per non ricoprire il ruolo per cui si viene eletti è un fatto immorale’, è la bordata di Prodi: ‘Io lo considerò così. Sarò vecchio stile ma questa è la mia convinzione’.