Gruppo Ecr, per chi vuole a Bruxelles alternativa all’asse tra popolari e socialisti

Prima il Covid e poi il conflitto in Ucraina hanno sancito definitivamente la centralità dell’Ue.  La legislatura che volge al termine è stata caratterizzata dalla strategia nota come Green Deal e da obiettivi condivisibili a livello teorico ma irrealizzabili a livello pratico. Ideologia green e pensiero unico progressista hanno monopolizzato il dibattito e influenzato in maniera negativa le proposte della Commissione europea. Il risultato di tutto ciò è stato un continuo indebolimento del settore industriale europeo, l’aumento di norme e burocrazia e l’incapacità di essere davvero competitivi a livello tecnologico. Troppo poco è stato fatto in ambito di difesa comune, sviluppo economico, sovranità alimentare e nel contrasto dell’immigrazione illegale. Troppe energie, invece, sono state spese in settori nei quali l’Ue non dovrebbe intervenire, nel pieno rispetto dei Trattati.

Un vento nuovo sta soffiando sul nostro continente e il baricentro politico si sta spostando sempre più verso destra, come certificato anche dall’esito delle ultime elezioni in Portogallo e dal nuovo governo in Olanda. Ma è proprio da Roma, la culla della civiltà europea, che può arrivare la spinta decisiva per cambiare l’Ue. A dire il vero, da quando si è insediato il Governo guidato da Giorgia Meloni, il cambiamento è già iniziato. E i primi risultati si vedono. Basti pensare agli accordi raggiunti sulle emissioni di veicoli Euro7, quello sul Regolamento imballaggi o alla maggiore attenzione dimostrata nei confronti degli agricoltori, anche a seguito delle richieste italiane. Ma è sul tema del contrasto all’immigrazione illegale e del partenariato strategico con l’Africa che il Governo Italiano ha raggiunto i risultati più significativi. Non solo facendo cambiare paradigma a Bruxelles, dove finalmente si è iniziato a pensare seriamente alla dimensione esterna, ma soprattutto attraverso gli accordi con Tunisia ed Egitto che sono già diventati dei modelli per molti programmi elettorali, a partire da quello del Ppe.

Il Gruppo dei Conservatori europei (ECR) è diventato centrale nel dibattito politico a Bruxelles ed è l’unico Gruppo in grado di attrarre e di costruire nuove sintesi.  Chi nel Ppe e nei Liberali si è reso conto che scendere a patti con la sinistra e i verdi significa indebolire l’Ue, anziché rafforzarla, dovrà guardare a Ecr. Chi, da posizioni di destra, ha compreso che per cambiare l’Ue bisogna lavorare insieme, ricoprire incarichi e assumersi le responsabilità, avrà Ecr come modello.

In questo quadro FDI, LEGA e FI potranno essere determinanti e pertanto l’azione del nostro Governo ne uscirebbe rafforzata. Se si vuole salvare il processo d’integrazione serve un cambiamento storico, visto che  il vecchio schema fondato sull’alleanza tra popolari e socialisti non funziona più. Serve una nuova maggioranza composta da tutte le forze del centrodestra sul modello di quella che governa in Italia. Mai come questa volta l’esito delle elezioni europee sarà fondamentale per definire la direzione che l’Europa prenderà negli anni a venire.

Secondo Giorgia Meloni “c’è il margine per costruire una maggioranza diversa al Parlamento europeo”. La premier lo ribadisce ai microfoni di Radio 1, rispondendo alle domande di Marcello Foa e Peter Gomez nella trasmissione ‘Giù la maschera’, nuova tappa dell’intensa tre giorni mediatica aperta con il video autoprodotto del format da lei battezzato TeleMeloni. Ma stavolta, nelle dichiarazioni della leader, si comincia ad ammettere esplicitamente anche lo scenario alternativo, quello che la taglierebbe fuori dalla coalizione che guiderà l’Europa.

Meloni aveva affermato di essere pronta a una coalizione che anche a Bruxelles faccia a meno della sinistra, aprendo la porta all’ultradestra: ‘Non do patenti di incandidabilità’, aveva detto. Oggi non insiste esplicitamente sul tema – per lei scivoloso – dell’asse con le frange più estreme, ma lo lascia sottinteso nel momento in cui dichiara di puntare a superare la coalizione Ursula: si tratta, dice, di ‘costruire un’Europa diversa, che faccia politiche diverse’. Definisce le elezioni europee una opportunità che non è mai esistita,  di modificare il quadro. Lo si deve a noi e ne dobbiamo approfittare, aggiunge, senza specificare che quel ‘noi’ rappresenta evidentemente solo la destra e non il ‘modello di maggioranza italiana’ che aveva invocata in precedenza: il Ppe – e con esso Forza Italia, che ne fa parte – ha infatti chiuso ogni alleanza europea con l’ala più sovranista. E anche Ursula von de Leyen ha bocciato i populisti di destra ‘definendoli chiaramente antieuropei, spesso sono molto favorevoli alla Russia, cioè contro l’Ucraina, e sono quasi sempre in guerra con lo Stato di diritto’.

Meloni non risponde direttamente alla presidente della Commissione: con lei, dice, ‘ho costruito un rapporto istituzionale, come è normale che facessi’. Ma, puntualizza, ‘a me interessa solo portare a casa i risultati’. E si dice disposta a farlo ‘pur stando all’opposizione dell’attuale Commissione europea’. Insomma: ‘c’è margine’ per la maggioranza di destra, secondo Meloni, ma l’opzione B, quella di trovarsi esclusa dal governo europeo, è concreta.

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