Sul Messaggero il sociologo, scrittore ed editorialista Luca Ricolfi pubblica un editoriale sull’accordo tra Italia e Albania sul tema immigrazione. Luca Ricolfi è anche il presidente della Fondazione Hume che riporta: ‘Se guardiamo alla politica, al giornalismo, e alle stesse scienze sociali è difficile non vedere che spesso, troppo spesso, l’impegno politico e il rispetto per la verità non vanno più d’accordo fra loro. Le passioni più accese si accompagnano ora con la più totale ignoranza dei fatti, ora con la più spudorata partigianeria: a quanto pare non esistono più fatti ma, come diceva Nietzsche, solo interpretazioni (tendenziose) dei fatti. La ricerca sincera della verità, d’altro canto, si scontra con la scarsità di filtri capaci di separare le fonti attendibili da quelle tendenziose, le informazioni genuine dalle pseudo-conoscenze e dalle pseudo-notizie: una sorta di omologante “internettizzazione” dell’informazione, che affligge innanzitutto i mass media ma non risparmia certo le scienze sociali, sempre più malate di irrilevanza e faziosità’.
Il modello Meloni – è l’analisi di Ricolfi- ‘è l’unica idea nuova in campo. Ma più che un’idea, è un esperimento, che subirà molti aggiustamenti. E di cui per ora nessuno è in grado di prevedere accuratamente l’esito. Ecco perché, schierarsi a priori a favore o contro, è irrazionale: di fronte agli esperimenti, l’unico atteggiamento razionale è la curiosità’.
Ricolfi, analizzando le strategie tentate nel passato, ritiene il metodo del governo Meloni una “terza via” da sperimentare di fronte ai fallimenti del passato. “Quello dei migranti è un problema irrisolto non solo sul versante dell’immigrazione irregolare, ma anche su quello dei flussi regolari. È di pochi giorni fa la scoperta di enormi squilibri, specie in alcune regioni del Sud, fra il numero di contratti di lavoro nominali (connessi ai decreti flussi) e il numero di posti di lavoro effettivamente attivati”. Una scoperta- come documentato- a cui la premier ha dato seguito con un esposto all’Antimafia.
Ricolfi fa notare: “Il dato che non possiamo ignorare è che nessuna fra le politiche adottate fin qui dall’Italia è stata capace di risolvere il problema. Fermare le partenze nei paesi di origine, una politica perseguita in epoche diverse da Berlusconi e da Minniti, si scontra con la instabilità dei governi che dovrebbero bloccare i flussi all’origine. Non meno problematica è l’altra linea di condotta, per lo più sponsorizzata dalla sinistra e dai vertici dell’Unione Europea. E che punta sulla cosiddetta redistribuzione (di fatto: dall’Italia agli altri paesi)”.
Lo studioso analizza senza remore cosa non abbia funzionato anche con questa soluzione, togliendo alibi alla sinistra: “Contrariamente a quanto si sente spesso lamentare, quel tipo di politica non è fallita solo per un deficit di solidarietà imputabile anzitutto all’Ungheria del “cattivo” Orban. Ma perché il meccanismo della redistribuzione è intrinsecamente poco efficace; dal momento che non è obbligatorio, e comunque coinvolge solo una modestissima frazione degli sbarcati”.
Ecco, dunque che “l’accordo con l’Albania si presenta come un terzo modello di gestione dei flussi irregolari. L’idea è di deviare una parte dei soccorsi in mare verso un paese extra-Ue; e di espletare lì le pratiche di identificazione e valutazione della domanda di asilo. I vantaggi, rispetto ai due modelli storici, sono principalmente due”, scrive Ricolfi.
Primo vantaggio, si contrasta la dispersione sul territorio italiano di migranti irregolari, per lo più soggetti ad entrare nell’illegalità. Il secondo vantaggio dell’accordo con l’Albania è introdurre “(o si spera di introdurre) un elemento di deterrenza e freno alle partenze”. Funzionerà? Solo il tempo potrà rispondere al quesito.
Per questo per ora “è forse il caso di prendere atto che ben 14 paesi dell’Unione europea hanno manifestato interesse per l’idea di coinvolgere paesi extra-Ue, come l’Albania, nella gestione dei flussi migratori”.
Per Ricolfi, resta un dato di fondo: sul tema degli ingressi irregolari in Europa, le alternative in campo o sono troppo radicali – come le deportazioni in Ruanda ventilate tempo fa dalla Danimarca – o sono troppo blande, come la mera riproposizione dei recenti, traballanti, accordi di redistribuzione”.