Attende solo i tempi della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dopodichè il Veneto è già pronto a chiedere al Governo l’avvio del negoziato per l’autonomia. Non per tutte le 23 materie, ma per le 9 che non dovranno fare i conti con la fissazione dei Lep (livelli essenziali di prestazione): dai giudici di pace alla protezione civile, dalla professioni alla previdenza integrativa, dal commercio con l’estero ai rapporti interni della Regione con l’Ue. Luca Zaia vuol restare il portabandiera nella trattativa delle Regioni per avere maggiori forme di autonomia. Partita della quale fanno già parte anche Lombardia ed l’Emilia Romagna, forti di preintese già firmate con il Palazzo Chigi. Un’altra Regione a guida leghista, il Piemonte, è pronta ad aggiungersi. Alberto Cirio ha annunciato che chiederà l’autonomia su tutte le materie previste dalla legge; con una integrazione rispetto alla richiesta del predecessore Sergio Chiamparino, che ne aveva chieste 13 su 23.
Anche la Lombardia, dopo il via libera alla Camera, ha fatto capire di non voler perdere tempo. Attilio Fontana punta soprattutto sulla sanità e l’ambiente, convinto che la Regione più performante del Nord «riuscirà ad andare ancora più veloce, ed essere ancora più competitiva nei confronti dei competitor mondiali». «Sulle materie di nostra competenza – ha detto – avremo la possibilità di creare procedure più rapide ed efficienti che ci chiedono continuamente i nostri imprenditori e lavoratori».
La strada, per tutti, anche per le Regioni che nel frattempo si dovessero aggiungere al negoziato, non è breve. Referendum abrogativo delle opposizioni a parte, la legge fissa in 24 mesi il periodo di tempo che il Governo avrà per adottare i Lep, con uno o più decreti legislativi. E su questi servirà l’accordo di tutte, non solo delle Regioni ’autonomiste’. Sulle materie concorrenti, inoltre, la legge attribuisce il potere di veto al premier. Per fare un esempio: una Regione chiede 23 materie, il presidente del Consiglio potrebbe concederne molte meno.
Nessuna sorpresa infine dalla Regione che guida la protesta del Sud, quella di Vicenzo De Luca. La Campania, si è appreso in ambienti della Regione, non farà alcuna richiesta di autonomia, non condividendo la legge approvata dal parlamento sull’autonomia differenziata. Un messaggio proprio al Sud ribelle lo lancia il ministro Musumeci: «La smetta di piangere e si liberi della questione meridionale, dobbiamo competere col Nord avendo altri obiettivi».
Il 29 aprile del 2022, Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia, che aveva al suo fianco, come vice, l’attuale leader del Pd Elly Schlein, firmava una nota che più chiara di così non poteva essere: in sintesi, il titolo era: evviva l’autonomia differenziata. Le prove sono nei giornali dell’epoca, tempi non così lontani, tra l’altro, ma anche sul web e perfino nelle foto della manifestazioni di protesta in piazza. Oggi tutto è cambiato: la riforma è la stessa, la sinistra no.
“L’autonomia differenziata è una opportunità prevista dalla nostra Costituzione che noi vogliamo cogliere. Abbiamo avvertito bene il rigurgito centralista in questi anni, anche nel mio partito, soprattutto da quella parte della politica che si è misurata poco con i problemi concreti della pandemia”. Bonaccini era molto più che semplicemente convinto: chiedeva al governo Conte di muoversi subito: “Bisogna dare priorità alle competenze e alle funzioni che meglio rafforzino la capacità di governo del sistema territoriale, per aumentare l’efficacia dell’azione a favore delle comunità locali e potenziare gli strumenti di semplificazione, programmazione e investimento, anche per superare gli ostacoli che, a oltre quattro anni dall’avvio, rischiano di continuare a bloccare il percorso verso la maggiore autonomia”. Era solo due anni fa.
Oggi, dopo l’approvazione della riforma sull’autonomia differenziata, discussa e approvata dai governatori nella conferenza delle Regioni, Bonaccini però ha cambiato idea. “Misura sbagliata, senza un euro, una presa in giro, la nostra proposta era diversa”.
Come quella che fa registrare un clamoroso dietrofront di Vincenzo De Luca, a distanza di cinque anni da quella lettera che il governatore inviò ai colleghi, nella quale si schierava a favore della riforma (come ha ricordato Zaia) chiedendo solo di salvaguardare l’unità nazionale.
Oggi, ovviamente, con il centrodestra al governo, De Luca ha cambiato idea: restano a testimoniare le sue idee rinnegate i giornali, i titoli, le foto, il web. “Accantoniamo i diversi punti di vista. Diamo tempo al Parlamento e al Mef di valutare e approfondire tutti gli aspetti legati all’autonomia differenziata. Ma non sprechiamo un’occasione preziosa: definiamo una piattaforma unitaria che impegni tutti quanti noi sull’obiettivo di una sburocratizzazione radicale. Cerchiamo di acquisire da subito obiettivi estremamente importanti di decentramento e di sburocratizzazione in modo da modernizzare il Paese e le istituzioni. Vi sono decine di pareri legati ai ministeri e allo Stato centrale che possono essere o cancellati o rapidamente trasferiti a livello regionale”, aveva dichiarato testualmente De Luca, che confermava così la sua posizione morbida, morbidissima, di allora, e fino al 2022, messa nera su bianco anche da una mozione in Consiglio regionale nella quale la premessa era: “Affermato la piena determinazione ad accettare la sfida di competitività derivante dall’attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, nell’ottica di una più efficace ed efficiente erogazione di servizi pubblici ai cittadini campani e cogliendo le opportunità, in tal senso, offerte dal ricorso ai principi e ai criteri – scientificamente validati e sostenuti – dei fabbisogni e dei costi standard…”. Poi si chiedeva il rispetto dei Lep, dell’unità, della perequazione, eccetera eccetera. Tutta roba che c’è nella riforma, ma è De Luca nel frattempo ad essere cambiato: “La riforma è una scelta grave che spacca il Paese”.
L’altolà europeo sull’autonomia differenziata: «La devoluzione di ulteriori competenze alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese». La Commissione europea boccia senza appello il disegno di legge sull’autonomia differenziata.
La Commissione ha reso noto il “Country report 2024” con le raccomandazioni sulle «politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell’Italia». Nel paragrafo sulle riforme ecco la stoccata all’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni e legge in attesa della firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Scrive la Commissione: «Nel gennaio 2024 il Senato ha approvato la legge per l’attuazione dei livelli differenziati di autonomia delle regioni a statuto ordinario, che potranno richiedere fino a 23 competenze aggiuntive e trattenere le risorse corrispondenti. Il disegno di legge include alcune tutele per le finanze pubbliche, come le valutazioni periodiche delle capacità fiscali regionali e i requisiti per i contributi regionali per raggiungere gli obiettivi fiscali nazionali. Tuttavia sebbene assegni specifiche prerogative al governo nel processo negoziale, non fornisce alcun quadro comune per valutare le richieste regionali di competenze aggiuntive».
La Commissione è preoccupata quindi per l’aumento delle diseguaglianze che l’autonomia così progettata rischia di portare al Paese: «Le regioni potranno richiedere competenze aggiuntive — si legge nel report — solo una volta definiti i corrispondenti “livelli essenziali di servizi”. Poiché i Lep garantiscono solo livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i settori vi sono ancora rischi di aumento disuguaglianze regionali».
Ma è proprio sul futuro dell’architettura istituzionale dell’Italia e sulla tenuta dei saldi contabili che la Commissione ha timori: «La devoluzione di poteri aggiuntivi alle regioni su base differenziata aumenterebbe anche la complessità istituzionale, comportando il rischio di costi più elevati sia per il settore pubblico che per quello privato».