«Toti ha detto che avrebbe letto le carte e avrebbe dato le risposte. Aspettare quelle risposte e valutare penso sia il minimo indispensabile per un uomo che ha governato molto bene quella Regione», ha detto la premier Giorgia Meloni arrivando a Milano: «La riforma della giustizia serve a questa nazione, non perché ci smontano il decreto Cutro ma perché tutti siamo d’accordo che la giustizia non funziona in Italia: bisogna avere il coraggio di intervenire come su tutte questioni che rallentano investimenti e sviluppo. Penso che nei prossimi giorni arriverà in Consiglio dei ministri anche la riforma della giustizia».
«Il confronto mi piace, penso sia il sale della democrazia, in particolare in campagna elettorale. Mi fa molto sorridere il dibattito che sta generando l’aver dato disponibilità al confronto: denunce, lamentele… Penso sia normale, particolarmente in una campagna elettorale come quella in cui siamo, in rapporto all’Unione europea, per raccontare agli italiani che ci sono due modelli: la proposta socialista e quella dei conservatori. Mettere a confronto ricette e visioni è un modo di aiutare cittadini nella scelta, è la cosa più naturale del mondo».
«Non ho mai pensato di fare un rimpasto di governo» mentre l’obiettivo è di restare con gli stessi ministri fino al termine della legislatura».
Giorgia Meloni nega il rischio marginalizzazione dell’Italia. È convinta che il mancato voto a favore di Ursula von der Leyen le offrirà la possibilità di ottenere il riconoscimento che “spetta all’Italia“. Ma in attesa di conoscere l’esito della trattativa tra la premier e la stessa presidente in pectore della commissione europea, che si concluderà il 18 luglio all’assemblea plenaria dell’Europarlamento, c’è un dato oggettivo: all’avvio della nuova legislatura europea la maggioranza di governo si presenta divisa.
Matteo Salvini ripete che è in corso “un colpo di Stato”, confermando che “la lega non voterà mai” Ursula, augurandosi che i suoi alleati “facciano lo stesso“. Il leader del Carroccio ovviamente sa bene che il suo auspicio non si potrà realizzare. Il sostegno di Antonio Tajani all’insediamento di von der Leyen a Palazzo Berlaymont è scontato visto che Forza Italia fa parte del Ppe. Tajani lo ha ripetuto anche in queste ore replicando stizzito alle parole di Salvini (“non è il mio linguaggio“). Il numero uno azzurro spinge per rafforzare il rapporto tra i popolari e i conservatori, il gruppo che in Fratelli d’Italia ha la componente più numerosa e di cui la stessa Meloni è leader.
Al momento grazie proprio alla crescita di Fdi e all’adesione di formazioni minori i Conservatori (ECR) sono diventati la terza formazione dell’Europarlamento scavalcando i liberali di Renew. Una conquista che rischia però di avere vita breve. Nelle stesse ore in cui Meloni si stava confrontando con gli altri partner europei, il leader polacco di Diritto e Giustizia (Pis), l’ex premier Mateusz Morawiecki, minacciava infatti di uscire da ECR per comporre un nuovo raggruppamento insieme al premier ungherese Viktor Orbán. Ipotesi rilanciata anche dallo stesso Orban, che ha confermato di lavorare a un gruppo sovranista distinto sia da Ecr che da Identità e Democrazia dove siedono il Rassemblemnt national di Marine Le Pen e la Lega. Se i 20 deputati polacchi dovessero lasciare ECR, il gruppo scalerebbe al quinto posto quindi dietro anche al duo Le Pen-Salvini. Un indebolimento per Meloni proprio in concomitanza con la trattativa sul portafoglio da affidare all’Italia nel prossimo esecutivo comunitario. I polacchi dovranno decidersi entro il 3 luglio quando si terrà la riunione del gruppo in vista della apertura formale del parlamento.
Ma c’è un altro fronte che preoccupa la premier ed è quello della prossima manovra dove il rapporto con Bruxelles ancora una volta sarà determinante. A maggior ragione dopo l’apertura della procedura di infrazione per deficit eccessivo nelle scorse settimane. Prima della fine dell’estate il governo dovrà concordare il piano fiscale per risanare i conti pubblici secondo i parametri del nuovo patto di stabilità. L’obiettivo principale resta la riduzione del debito. In ogni caso già da lì si capiranno i margini di azione per la futura manovra che al primo punto ha la conferma del taglio del cuneo fiscale. Una partita molto complicata sulla quale potrebbero riversarsi anche i rivoli del confronto attuale sulla futura governance europea.