Prof. Ermanno Ferretti, Lei è autore del libro Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance, edito da Cairo: perché, oggi più che mai, è necessario riappropriarsi del diritto di fallire?
‘Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, Ermanno Ferretti’. Il tema è attuale secondo me per diversi motivi. In primo luogo stiamo vivendo un tempo in cui le richieste di performance si sono fatte sempre più impellenti: a tutti i livelli, è come se ci venisse continuamente chiesto di migliorare, di rendere di più, di essere più efficienti, di essere più bravi, di prendere voti sempre migliori. Ovviamente migliorare è importante, ma quando le richieste diventano così impellenti diventa difficilissimo stare al passo: non è raro che i nostri giovani finiscano per sentire tutto il peso del mondo sulle loro spalle e questo, unitamente a tante altre problematiche (legate ai social network, alla pandemia, ai problemi sociali, ambientali e politici), crea tensione, stress, ansia. In secondo luogo, fallire sembra non essere più contemplato: non si può prendere un’insufficienza in una verifica perché questo potrebbe inficiare il voto di maturità; non si può sbagliare facoltà universitaria perché perdere un anno potrebbe significare non riuscire più a inserirsi nel mondo del lavoro; non si può sbagliare neppure nel mondo lavorativo, perché si rischia di perdere il treno in corsa della carriera. In questa atmosfera sempre più competitiva e selettiva, però, mi sembra che la chiave del vero successo personale, la chiave cioè di una vita sana ed equilibrata, stia soprattutto, appunto come dice lei, nel diritto di fallire, nell’esigenza di prendersi i propri tempi, di fare le proprie cadute e imparare da esse. Solo con questo atteggiamento mentale, con l’accettazione cioè dei propri limiti, si può trovare la propria dimensione anche in questo tempo, e penso in realtà che solo con questo atteggiamento sia davvero possibile raggiungere gli obiettivi che ci si pone. Se fissi troppo l’obiettivo, ogni caduta diventa un dramma, perché è un allontanarsi dall’obiettivo; ma se cammini per il gusto di camminare, cadendo e ripartendo con la voglia di imparare a procedere meglio, magari l’obiettivo finisci per raggiungerlo lo stesso, ma senza tutte quelle ansie che ti accompagnavano fino a poco prima.
Gli americani dicono che «l’ottimo è nemico del buono», intendendo che se aspetti di essere perfetto in quello che fai non riuscirai mai a fare nulla, perché la perfezione non è di questo mondo; e sostenendo quindi, in pratica, che se ci si accontenta di essere decenti o discreti, si può iniziare a fare quello che piace e via via migliorare. Io direi, parafrasando quel modo di dire, che la perfezione è nemica della vita, perché la vita è essenzialmente una serie di errori che commettiamo uno dietro l’altro e dai quali, però, possiamo imparare davvero a vivere. A patto che li accettiamo e li riteniamo salutari.
Di quale aiuto può essere al riguardo la filosofia?
La filosofia è fondamentale perché ci dà gli strumenti giusti per affrontare queste sfide. In particolare nel libro mi soffermo sulla scuola filosofica dello scetticismo, quella secondo me più sottovalutata e in realtà più adatta ad affrontare i problemi di oggi. Questa scuola, infatti, parte dal presupposto che la verità e la perfezione non siano raggiungibili in questa vita, e che ci si debba, in un certo senso, in qualche modo arrangiare, orientandosi alla meno peggio in un mondo complesso e scendendo a compromessi con la realtà. Nel volume mi soffermo su alcuni pensatori appartenenti in modo più o meno diretto alla corrente, come Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Stuart Mill, Popper e altri ancora: filosofi che, magari parlando anche di altro, ci hanno lasciato degli strumenti molto efficaci, a mio modo di vedere, per sopravvivere a quest’epoca della performance.
Ovviamente cerco poi di adattare le loro riflessioni ai problemi di oggi, proponendo quello che sarebbe più corretto definire una sorta di neo-scetticismo, o uno scetticismo metodologico: il libro non tratta infatti di gnoseologia o metafisica, ma proprio di approccio alla vita e ai problemi. Per questo motivo ho scelto filosofi che si sono occupati di campi diversi (dall’etica alla gnoseologia, dalla scienza alla religione), ma sempre suggerendoci le strategie giuste per ragionare.
Inoltre ci tengo a dire che oltre che tra i grandi maestri della filosofia, il libro cerca di spaziare anche in altri campi: si parla di sociologia, di storia, di psicologia sociale e in generale di tante discipline che stanno dando un apporto per cercare di capire e delineare meglio il nostro tempo. Infine, l’ultimo capitolo del volume è dedicato a quelli che ho chiamato i “piccoli maestri”, cioè “scettici che non sapevano di esserlo”. Si tratta di narratori, cineasti o addirittura personaggi di fantasia che sono molto familiari al grande pubblico e che, pur non essendo propriamente dei filosofi, in realtà portano avanti un atteggiamento scettico simile a quello che provo a presentare nel saggio. Così, tramite l’esempio di Woody Allen o di Spider-Man, di Sherlock Holmes o perfino del tenente Colombo, la filosofia credo possa diventare ancora più accessibile a un pubblico di tutte le età, anche a chi non abbia necessariamente studiato questa disciplina a scuola o all’università.
A quali filosofi si è ispirato per fornire la Sua “ricetta”?
Come detto i punti di riferimento principali sono i filosofi scettici, ma su tutti Socrate, che compare anche nel titolo del libro, è una presenza costante lungo tutto il volume. Poi in realtà, come mi piace fare anche su canale YouTube che gestisco, ho cercato di dare un’ampia panoramica del mondo filosofico, portando a supporto delle mie tesi brani o riflessioni di Platone, Pascal, Camus, Adler, Dewey, Kant, Cartesio, Umberto Eco, Marco Aurelio, Epitteto, Sartre, Nietzsche, Epicuro, Voltaire, Hegel, Carneade, Russell, Wittgenstein e tanti altri ancora. Come si vede da questo elenco, si spazia dalla classicità greco-romana fino alla filosofia contemporanea, quella del XX secolo: perché penso che da ogni filosofo si possa apprendere molto, anche da quelli che hanno un’opinione radicalmente opposta alla propria, anche solo come stimolo a mettere in discussione le proprie idee. Lo scopo ultimo, anzi, era proprio questo: avvicinare alla filosofia facendo capire come questa disciplina possa essere fondamentale per portarti a rivedere le tue convinzioni. E spero che questi grandi pensatori del passato riescano a porre le domande giuste anche ai miei lettori di oggi.
Quali, tra i suggerimenti presenti nel libro, ritiene più preziosi, nel contesto della società attuale?
Il libro è strutturato in modo credo anche funzionale ad offrire qualche suggerimento utile al lettore. I primi cinque capitoli, infatti, propongono la tesi principale che, in maniera molto sintetica, ho presentato all’inizio di questa intervista. Il capitolo 6 è invece poi intitolato “Gli strumenti dello scettico” e offre delle modalità per mettere in pratica concretamente quello di cui abbiamo discusso nelle 130 pagine precedenti. Gli strumenti che propongo sono quattro: la modestia, il rasoio di Occam, probabilismo (e fallibilismo) e il silenzio. Il più filosofico di questi strumenti è sicuramente il rasoio di Occam, un principio di economia ontologica creato verso la fine del Medioevo dal grande pensatore britannico Guglielmo di Occam, strumento che ha avuto un largo seguito nell’ambito del pensiero scientifico e non solo. Forse però per la vita quotidiana mi sentirei di consigliare in particolare lo strumento della modestia, intesa però in senso filosofico. Quella parola, infatti, non indica, come accade nel linguaggio comune, solo il sottovalutarsi o lo star chiusi in casa, intimiditi, senza assumere un ruolo attivo nella società, ma, piuttosto, significa essere consapevoli di avere dei limiti, di poter anche sbagliare, e di dover sempre e costantemente rivedere le proprie affermazioni e il proprio pensiero. Gli errori sono inevitabili nella vita, ma diventano drammatici quando non vengono riconosciuti come errori, quando cioè non riusciamo ad ammettere di aver sbagliato e anzi magari ci intestardiamo a voler pretendere di aver ragione sempre e comunque. Esercitare su di sé un sano pensiero critico, condotto con saggezza e distacco, è invece una pratica fondamentale per apportare i giusti correttivi, per entrare anche in punta di piedi nelle vite altrui, rispettando le diverse situazioni e i diversi punti di vista. I social network in questi anni ci hanno abituato a concentrarci molto su noi stessi, perfino a piangerci addosso, convincendoci di aver sempre ragione e che tutti quelli che stanno attorno a noi siano degli stupidi o delle persone in malafede; certo, gli stupidi e le persone in malafede esistono, ma penso sia più proficuo iniziare a mettere in discussione prima di tutto noi stessi. Quando ci accorgiamo che noi per primi non siamo privi di difetti, quando ci accorgiamo che anche noi siamo spesso soggetti all’errore, diventa anche più facile perdonare agli altri le loro mancanze, capirne e tollerarne le debolezze. E magari, a quel punto, instaurare un dialogo che sia proficuo sia per noi che per il nostro interlocutore; un dialogo che, contrariamente a quanto accade nei social, non sia finalizzato a “vincere la diatriba”, a prevalere e ad aver la meglio, ma a capire qualcosa della realtà e a orientarsi – anche con l’aiuto degli altri – nel mondo.
D’altronde, Socrate, col suo celebre metodo e con la sua stessa vita, ci ha insegnato in primo luogo proprio questo: che solo partendo da una situazione di ignoranza attiva possiamo imparare a conoscere qualcosa degli altri e di noi stessi. Solo “sapendo di non sapere”, cioè ponendosi in ultima istanza in una posizione scettica, è possibile un dialogo vero e proficuo con gli altri. E se Socrate aveva dei dubbi, è facile capire che è bene che ne abbiamo (e molti) anche noi.