L’Accademia della Crusca
Chi non ha mai sentito parlare dell’Accademia della Crusca?
Anche i meno avvezzi al recupero dei libri di scuola avranno memoria di questo nome. La Crusca è infatti – ictu oculi – il punto di riferimento per la lingua italiana e il suo vocabolario è stato un modello cruciale per tutta la lessicografia moderna.
Nata a Firenze intorno al 1583, assunse questo nome dalle “cruscate” con cui si indicavano i discorsi giocosi e di poca importanza condotti dal primo gruppo di letterati che fondò l’Accademia.
Il nome, poi, assunse un significato figurato: il modello di lingua adottato dall’Accademia prevedeva, sulla scia di quello già sostenuto da Pietro Bembo (1525), il primato del volgare fiorentino degli autori del Trecento (e in particolare di Dante, Petrarca e Boccaccio); in questa prospettiva all’Accademia si attribuiva il compito, così come si passa al setaccio la farina per separarla dalla crusca, di “passare al setaccio” la lingua e ricavarne “il fiore”, cioè la parte migliore. Da qui si comprende perché l’istituzione assunse come proprio motto un verso del Petrarca – “il più bel fior ne coglie” – e adottò una ricca simbologia tutta riferita al grano e al pane.
Non ebbe pochi oppositori: nei primi anni del Seicento nacque a Padova un’Anticrusca che sosteneva la superiorità dei Cinquecentisti sugli scrittori fiorentini del Trecento. Il modenese Alessandro Tassoni inviò alla Crusca una serie di postille in cui criticava l’impostazione trecentista e il primato di Boccaccio mentre esaltava, per esempio, lo stile di Guicciardini.
Ciononostante, l’Accademia seppe farsi portento e custode dell’italiano fino ad arrivare ai giorni nostri in cui risulta saldamente strutturata. Oggi presieduta da Paolo D’Achille, la sua organizzazione interna prevede che gli Accademici ordinari devono essere in numero di venti, nominati per cooptazione (i nuovi membri del collegio sono eletti dal collegio stesso), e di questi almeno cinque devono risiedere a Firenze.
Non paga del cartaceo e al passo con i tempi, la Crusca ormai da anni si è spostata anche sul Web e il suo sito, ricco di rubriche, è accessibile da qui https://accademiadellacrusca.it/
L’iniziativa di agosto e i Vocabolari della Crusca
Per il mese di agosto gli Accademici hanno pensato di condividere con i lettori un tesoro nascosto: le schede preparatorie della Quinta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca.
L’iniziativa prende il nome di “Il vocabolario che non c’è”: perché?
Sin dalla sua nascita, uno degli obiettivi principali dell’istituto fu quello di redigere un vocabolario; il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampato a Venezia e uscì nel 1612, suscitando immediatamente grande interesse, ma anche accese dispute riguardo ai criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso tesoro della lingua comune e quindi lo strumento indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano.
La seconda edizione del Vocabolario fu pubblicata nel 1623, la terza nel 1691 e la quarta stampata in sei volumi dal 1729 al 1738.
La quinta edizione ebbe una storia tormentata per svariati motivi: ci si limiti a ricordare che la prima parte uscì nel 1863 con dedica a Vittorio Emanuele II e le successive, con cadenza non sempre regolare, fino al 1923, anno che vide l’interruzione della stampa dell’opera alla lettera O (l’ultima voce registrata è ozono).
Gli accademici avevano lavorato anche alla parte finale del lemmario: le schede preparatorie delle voci dalla lettera P alla lettera Z, alcune anche molto ricche e già a un buon punto di elaborazione, sono conservate nell’Archivio Storico dell’Accademia.
La Crusca ha così pensato di raccogliere alcune di queste schede tirandole fuori dai faldoni polverosi che le custodiscono. Ognuna è dedicata a una parola o ad un’espressione che i lettori potranno scoprire, dal lunedì al venerdì, per tutto il mese di agosto.
La prima parola di agosto: “tranquillare”
“/ buon ti sarà, per tranquillar la via, / veder lo letto de le piante tue”, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XII.
In usi antichi, come in Dante, tranquillare può significare render più sicuro, meno faticoso.
Nella scheda oggi proposta dalla Crusca, si legge (v.s.) un’espressione di Galileo Galilei, tratta da Lettera a Benedetto Castelli:
“tranquillerò la mia vita non con l’ozio, ma con studi meno gravi”.
articolo redatto da Piera Toppi