“L’attesa dello sposo. Origene interprete delle Scritture e maestro spirituale” di Lorenzo Perrone

Prof. Lorenzo Perrone, Lei è autore del libro L’attesa dello sposo. Origene interprete delle Scritture e maestro spirituale, edito da Vita e Pensiero: che rilevanza ha avuto, per il pensiero cristiano, il maestro di Alessan­dria?

L'attesa dello sposo. Origene interprete delle Scritture e maestro spirituale, Lorenzo PerroneLa risposta più incisiva e autorevole a questa domanda l’ha data intorno alla metà del secolo scorso uno dei massimi teologi del Novecento: per Hans Urs von Balthasar, che lo accostava ad Agostino e Tommaso d’Aquino per la sua statura eccezionale, «nessun altro nella Chiesa è rimasto così invisibilmente onnipresente come Origene». Balthasar si riferiva a un influsso sotterraneo del maestro alessandrino, ancora più esteso e fondamentale rispetto alle vicende meglio note della sua vastissima fortuna. In prospettiva storica la ragione principale della rilevanza peculiare di Origene nel pensiero cristiano è da vedere nel particolare legame che egli ha intrattenuto con la Bibbia. Durante la delicata fase formativa del primo cristianesimo, in vista di un approdo istituzionale e ‘ortodosso’, Origene ha dato un contributo essenziale alla difesa dell’Antico Testamento in quanto libro della Chiesa, unito al Nuovo Testamento entro un unico corpus di scritture canoniche, in risposta a chi, come Marcione, voleva disfarsi completamente della radice ebraica della fede cristiana. Egli saldava così i due Testamenti fra loro mediante un’interpretazione allegorica (o più correttamente, per usare i suoi termini, ‘spirituale’) che faceva della persona di Cristo il perno di entrambi. L’approccio di Origene, condotto esemplarmente su una grande quantità di libri biblici, ha esercitato un influsso senza pari nella storia dell’esegesi cristiana, dall’antichità fino agli inizi dell’età moderna, quando l’allegoria è stata soppiantata gradualmente da un metodo scientifico che in epoca più recente si è definito come metodo «storico-critico». È vero che l’allegoria applicata alla Bibbia è stata motivo di critiche a Origene già nell’antichità, ma in lui era lungi dall’essere arbitraria o dall’ispirarsi direttamente all’allegoria pagana dei classici; semmai rifletteva largamente i criteri della critica letteraria del suo tempo. Origene, infatti, era per mestiere un grammatikós, cioè un maestro di lettere, esperto delle pratiche filologiche alessandrine e perciò consapevole della storia complessa della Bibbia, nel passaggio dall’originale ebraico alle diverse versioni greche. Tramite Gerolamo, uno dei pochissimi a seguire l’esempio di Origene nell’antichità cristiana, questo modello di trattamento filologico del testo sacro ha lasciato tracce nel cristianesimo latino (non da ultimo con la traduzione geronimiana della Vulgata condotta sul testo ebraico) come le ha lasciate, in misura diversa, nel cristianesimo greco e siriaco.

A partire dall’esame acribico della Bibbia Origene sviluppava il suo pensiero teologico: ancora prima dell’elaborazione dogmatica della Chiesa antica nei concilî del IV e V secolo, egli ha affrontato le tematiche trinitarie e cristologiche, anticipando in parte nell’uno e nell’altro caso le soluzioni che verranno date in seguito. Basti pensare all’ottica intensamente trinitaria della sua concezione di Dio (con l’affermazione delle tre ipostasi divine: Padre, Figlio e Spirito santo) o al suo fermo riconoscimento del mistero di Cristo Dio e uomo, uniti inseparabilmente fra loro e al tempo stesso distinti. C’è poi un tema centrale della sua riflessione ascetico-mistica, destinato a grande successo in tutto il medioevo latino fino ai mistici renani come Meister Eckhart: la dottrina del progresso spirituale fino a giungere alla deificazione dell’uomo, mediante l’idea della nascita interiore del Verbo nell’anima, ispirata specialmente dall’interpretazione del rapporto fra la Sposa e lo Sposo nel Cantico dei Cantici.

Anche gli aspetti più controversi del pensiero di Origene (che gli hanno attirato la condanna postuma come eretico nel concilio di Costantinopoli del 553) hanno continuato a suscitare interesse e dibattiti: non tanto l’ipotesi, influenzata dal platonismo, di una preesistenza delle anime quali intelletti in una condizione premondana da cui si sarebbero staccati in conseguenza di una caduta originaria, quanto piuttosto la dottrina dell’apocatastasi. Con essa Origene formulava l’idea di una salvezza universale, sia pure come risultato finale di un ciclo temporale di eoni, senza escludere da essa neppure il diavolo. È un tema che tra i Padri della Chiesa è stato ripreso da Gregorio di Nissa, ma il cui eco si avverte fino a Leibniz e nello stesso Novecento, come tradisce la nota affermazione di Balthasar sull’inferno che potrebbe essere vuoto. In Origene l’idea di una restaurazione universale nasceva dall’incontro fra i due cardini fondamentali che strutturano il suo pensiero: da un lato, l’amore di un Dio creatore e redentore; dall’altro, la libertà dell’uomo, con la sua fallibilità, ma anche la sua vocazione costitutiva alla comunione con Dio. La dialettica fra questi due principi, che trama variamente le vicende degli uomini e del mondo, è chiamata per Origene a risolversi da ultimo nell’accordo fra l’amore di Dio sempre in atto e la libertà delle creature pienamente riconciliate e riunite a lui. Anche a prescindere da questo esito dottrinale controverso, la figura di Origene emerge nella storia del pensiero cristiano come quella di un fermo difensore della libertà dell’uomo, spesso in alternativa, per quanto impropria, alla dottrina agostiniana della grazia.

Quale immagine ne ha restituito l’attuale stagione degli studi?
L’interesse accresciuto degli studiosi per Origene, dalla metà del secolo scorso ad oggi, ha spinto a parlare di questo periodo come di una vera e propria «Origenes-Renaissance». Ciò è dovuto in primo luogo alla pubblicazione degli scritti dell’Alessandrino in edizioni criticamente più affidabili – nel corpus berlinese degli «Scrittori greci cristiani», nato per impulso di Adolf von Harnack sulla fine dell’Ottocento – e alla loro traduzione in varie lingue moderne. Un ruolo particolarmente importante in questo senso è stato svolto dalla nota collezione francese di testi patristici «Sources Chrétiennes». Fra i suoi promotori sono da annoverare significative figure di studiosi gesuiti come Henri de Lubac e Jean Daniélou, i quali hanno reagito all’immagine di un Origene compenetrato dell’ellenismo e caratterizzato perciò da una vocazione precipuamente filosofica, di impronta platonica, proposta da vari specialisti influenzati dall’idea harnackiana dell’«ellenizzazione del cristianesimo». Gli studiosi gesuiti – a cui si aggiungono in quegli stessi anni le grandi figure dei due fratelli Hugo e Karl Rahner e, in seguito, il loro più giovane confratello Henri Crouzel – hanno dato rilievo al ritratto di Origene come interprete per eccellenza del testo sacro, come «uomo della Chiesa» (vir ecclesiasticus, secondo la sua stessa autodefinizione) e come «mistico». In Italia, grazie alle ricerche di Manlio Simonetti e della sua scuola, si è messo in risalto il profilo di Origene come esegeta, approfondendo gli sviluppi dottrinali e le componenti filosofiche della sua interpretazione biblica. Nel solco di queste indagini sulla prassi esegetica di Origene si è inserito un filone di studi più ridotto, ma di particolare interesse, che ci ha restituito l’immagine del filologo, grazie al fondamentale lavoro di Bernhard Neuschäfer e di altri specialisti interessati alla figura di Origene scrittore. La stagione più recente degli studi ha riscoperto Origene soprattutto come pensatore della libertà e della dignità dell’uomo, in virtù della difesa del libero arbitrio che egli ha condotto contro tutte le forme di determinismo, filosofico o popolare (come l’astrologia), in polemica specialmente con gli gnostici valentiniani. Questo ritratto contemporaneo tende a sottolineare la rilevanza strutturale del tema della libertà in Origene, arrivando a parlare di una metafisica della libertà come l’orizzonte concettuale del suo sistema di pensiero. In queste indagini però non di rado la figura dell’esegeta rischia di rimanere in secondo piano, a volte a vantaggio esclusivo del filosofo.

Quali vicende hanno scandito la biografia di Origene?
Per la vita di Origene dipendiamo dalla Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea che la fa oggetto del Libro VI, non senza manifestare una chiara tendenza apologetica e celebrativa. Due sono in ogni caso le sequenze principali della biografia: a) il periodo alessandrino (185-232 ca.); b) il periodo a Cesarea di Palestina (232-254ca.). Nato da famiglia cristiana, il padre Leonida si prese cura dell’educazione di Origene avviandolo allo studio delle lettere ma affiancando ad esso anche la lettura delle Scritture. Alla morte del padre come martire nel corso di una persecuzione, Origene esercita la professione di ‘grammatico’, che consisteva nella lettura e commento dei classici, il primo ciclo di studi nella formazione curricolare (enkyklios paideia). Ben presto, a seguito di una nuova persecuzione, Origene supplisce all’assenza dei maestri ecclesiastici svolgendo attività catechetica. Dopo questa esperienza decide di lasciare l’insegnamento dei classici, vendendo la sua biblioteca, per dedicarsi interamente all’opera della catechesi. Eusebio ce lo presenta allora come il terzo maestro della «scuola» cristiana di Alessandria (didaskaleion), dopo Panteno e Clemente. Il problema storico di questa successione di maestri è molto dibattuto, ma è indubbio che Origene tenga una scuola assimilabile in parte alle scuole filosofiche del tempo, sia pure entro la cornice della Chiesa alessandrina e con un programma d’insegnamento che ha il suo culmine nello studio della Bibbia. Origene riscuote successo e attira un pubblico variegato in cui non mancano i pagani interessati allo studio della filosofia. Solo a questo punto, anche per rispondere alle loro esigenze, egli si sarebbe deciso a frequentare la scuola di un filosofo alessandrino, destinato successivamente ad essere anche il maestro del neoplatonico Plotino. Già nel secondo decennio del III secolo la fama di Origene come studioso e maestro comincia a diffondersi fuori di Alessandria, dove trova il prezioso sostegno di un mecenate: Ambrogio, convertito dalla gnosi valentiniana al cristianesimo ortodosso. È grazie a lui che Origene può intraprendere l’impresa degli Esapla, la grandiosa sinossi della Bibbia (l’Antico Testamento) su sei colonne, col testo ebraico affiancato dalla sua traslitterazione e dalle principali versioni greche, fra cui la traduzione dei Settanta, la cosiddetta ‘Bibbia di Alessandria’ in uso nelle chiese. Ambrogio lo spinge anche a dettare le sue opere con l’assistenza di un’équipe di tachigrafi e calligrafi che registrano senza posa i suoi lavori di commento ai testi della Bibbia. È una vera e propria ‘officina’ editoriale, che sembra svolgere anche le funzioni di uno scriptorium e ciò spiega l’enorme produzione di scritti frutto dell’esegesi del maestro alessandrino. Il riconoscimento più significativo della sua notorietà è l’invito a corte dell’imperatrice Giulia Mamea, madre di Severo Alessandro, nel 232. Ma questo evento prelude alla rottura col vescovo di Alessandria, Demetrio, insofferente dei molteplici contatti internazionali del maestro alessandrino e soprattutto della radicalità della sua esegesi spirituale della Bibbia. Al contrario, Origene trova cordiale accoglienza in Palestina e si stabilisce a Cesarea, dopo essere stato ordinato presbitero. Sebbene l’ordinazione sia contestata dal vescovo di Alessandria, Origene svolge il suo ministero predicando alle comunità di Cesarea e Gerusalemme, continuando peraltro a tenere scuola a Cesarea (come ci attesta il Discorso di ringraziamento di un suo allievo che ne disegna il ritratto di maestro carismatico e fascinoso). Né viene meno alle occasioni di confronto e disputa nel vivace clima teologico della prima metà del III secolo, contraddistinto dal confronto tra la ‘Grande Chiesa’ e le ‘eresie’. Arrestato durante la persecuzione di Decio, Origene sopravvive di poco ai supplizi infertigli in quella occasione e muore a Tiro intorno al 254.

Che ruolo svolge la Parola di Dio nell’opera dell’Ales­sandrino?
La Parola di Dio è, in un certo senso, l’alpha e l’omega di tutta l’opera di Origene. Egli vede la Scrittura come un’incorporazione del Logos, la quale fa sì che il testo sacro, comprendente inscindibilmente Antico e Nuovo Testamento, sia ispirato in ogni sua parte. Un concetto chiave per comprendere come Origene si rapporti alle Scritture in quanto Parola di Dio è quello di ‘sinfonia’, inteso come l’accordo e l’armonia fra le varie parti di cui è costituita: la Legge, i Profeti, i Vangeli, le Lettere apostoliche. Esso propizia così l’idea di un’intertestualità scritturistica che trae la sua indicazione metodica dal passo paolino di 1 Corinti 2, 13: «comparare le cose spirituali con cose spirituali». Nel IV libro del Trattato sui Principi, la sua opera a carattere più sistematico, Origene argomenta l’ispirazione delle Scritture riconoscendo il loro carattere divino in forza delle profezie che trovano conferma e compimento nelle vicende di Cristo e della Chiesa nascente. Oltre a questa argomentazione profetico-apologetica, Origene considera anche l’esperienza diretta del lettore sui testi profetici come suscettibile d’introdurlo alla loro natura ispirata. Conformemente a questa, per Origene l’interpretazione della Bibbia deve sempre mirare a mettere in luce il suo statuto di Parola di Dio. A tal fine, in un vero e proprio trattato di ermeneutica scritturistica, egli disegna le modalità di lettura più convenienti, opponendole a quelle che ai suoi occhi risultano essere le letture errate: queste, in sostanza, derivano tutte dall’incapacità a cogliere un significato che vada oltre la lettera del testo. Per Origene, infatti, è un dato di fede della Chiesa che le Scritture non abbiano unicamente un senso letterale, bensì ne racchiudano uno più profondo che occorre scoprire. La sua convinzione è dettata dall’idea che la rivelazione divina non può essere comunicata senza uno schermo protettivo che veli il suo contenuto rendendolo accessibile solo a chi è nelle condizioni spirituali adatte per scoprirlo. Egli non prefigura certo un accesso selettivo e ristretto alla Parola di Dio, la cui utilità è già assicurata in generale per i semplici fedeli dalla lettera del testo, ma si sforza di elaborare un modello dinamico di comprensione. Il lettore è sempre sollecitato ad un’intelligenza più approfondita, capace di fare della Parola di Dio la fonte e il tramite del proprio progresso spirituale. Il testo sacro non può che innescare nell’interprete una ricerca sempre rinnovata, che si articola mediante il metodo delle domande e risposte (quaestiones et responsiones) mutuato sia dalla critica omerica che dalla tradizione filosofica. La Parola di Dio non impone dunque, agli occhi di Origene, nessuna passiva obbedienza, ma stimola costantemente alla ricerca del suo senso e dà a ciascuno l’occasione di un approfondimento personale, con le proprie risposte ai problemi sollevati dal testo, senza la pretesa di rappresentare un significato esclusivo. Origene prefigura dunque per primo l’idea di un’‘interpretazione infinita’ sviluppando col sostegno del testo sacro il modello di una ‘teologia in ricerca’, che procede per ipotesi di lavoro più che per ‘dogmi’ o insegnamenti definiti una volta per tutte.

Quale contributo ha apportato alla conoscenza di Origene la scoperta delle sue nuove Omelie sui Salmi?
Gli scritti di Origene ci sono pervenuti per lo più in forma frammentaria e solo in piccola parte nel loro testo originale greco. Delle centinaia di sermoni che sappiamo egli tenne a Cesarea e in altre sedi solo una porzione ridotta, sebbene importante, ci è stata conservata dalle traduzioni latine di Rufino e Gerolamo, spesso discusse per le loro modalità. Fino alla scoperta nel 2012 (ad opera di Marina Molin Pradel) di 29 Omelie sui Salmi nel Codice Greco 314 di Monaco avevamo a disposizione in greco unicamente una ventina di Omelie su Geremia e un’omelia sulla maga di Endor (1 Samuele 28). Da questo punto di vista l’apporto dei nuovi testi arricchisce enormemente la conoscenza di Origene perché ci dà modo anzitutto di riascoltare più diffusamente la sua voce. Il loro apporto è tanto più prezioso perché permettono di ricostruire almeno in parte quello che dovette essere il cantiere letterario più cospicuo e impegnativo del maestro alessandrino: l’esegesi del Salterio. Sappiamo che egli consacrò almeno una quarantina di libri e ben 120 sermoni a commentarlo, oltre ad altri scritti minori. Di questa produzione immensa conoscevamo finora solo nove omelie in latino, quattro delle quali riflettono il testo greco del codice monacense, e vari frammenti sparsi nelle catene, antologie di estratti dai commenti e dalle omelie degli esegeti greci di età patristica. Se si tiene presente che i Salmi sono il libro biblico più frequentemente citato nel Nuovo Testamento si comprende perché Origene vi avesse consacrato sforzi così rilevanti. Anche per lui i Salmi offrono la chiave per riconoscere Cristo e la sua Chiesa, dal momento che il loro locutore è il Verbo, in quanto figlio di Dio o in quanto uomo, oppure è il suo corpo mistico, la Chiesa o il fedele che fa parte di essa. La visuale origeniana ha goduto di un influsso vastissimo, grazie ai molti commentatori che si sono ispirati ad essa, tanto nel mondo greco come nel mondo latino fino ad arrivare alla sintesi agostiniana del Cristo come caput e corpus (cioè la sua persona e la Chiesa) quale soggetto dei Salmi. Oltre a prefigurare queste direzioni della futura esegesi patristica del Salterio le nuove omelie ci aiutano a conoscere meglio la personalità di Origene e gli ambienti in cui è vissuto. Di particolare interesse è la ‘confessione’ autobiografica in cui ricorda come in gioventù fossero molti gli adepti delle scuole eretiche per l’assenza di maestri capaci ed adeguati nella Chiesa, ma col tempo la risposta ecclesiale alle eresie si era fatta più solida e competente smascherandone gli errori. Sembra di leggere qui in filigrana la scommessa di tutta l’attività intellettuale di Origene a servizio della Bibbia e della Chiesa. Vi si coglie anche l’espressione di un uomo avanti negli anni, come confermano altri indizi importanti, col rinvio ad opere (come il Commento a Osea) che sappiamo essere state composte in tarda età. Dunque le nuove omelie si collocano verosimilmente nel periodo finale della sua attività letteraria e manifestano a tratti sensibilità diverse o ulteriormente affinate: per esempio, un’attenzione singolare alla bellezza dell’universo creato da Dio e manifestazione della sua Provvidenza, che si affianca al ‘cosmo’ delle Scritture quale accesso privilegiato al disegno divino di salvezza, conservando una sua autonomia come via anch’esso per la scoperta di un Dio ‘amante degli uomini’.

Lorenzo Perrone già docente di Storia del Cristianesimo e Letteratura Cristiana Antica presso le Università di Pisa e Bologna, insegna Cristianesimi d’Oriente all’Università Cattolica del S. Cuore. Si è occupato delle controversie cristologiche, della storia della Terra Santa e del suo monachesimo in età bizantina, dell’esegesi patristica, in particolare di Origene e Eusebio di Cesarea. Nel 1994 ha dato vita al «Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina». Tra le sue pubblicazioni si segnalano: La Chiesa di Palestina e le controversie cristologiche (Brescia 1980); l’edizione del testo etiopico dell’Ascensione di Isaia (Turnhout 1995); La preghiera secondo Origene (Brescia 2011); l’editio princeps di Origene, Omelie sui Salmi (Berlin 2015); La necessità del consiglio. Studi sul monachesimo di Gaza e la direzione spirituale (Abbazia di Praglia 2021); la traduzione italiana con commento di Origene, Omelie sui Salmi (Roma 2020-2021).

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