In Italia, chi non vuole affrontare un processo ordinario e non opta per il patteggiamento può comunque accettare di svolgere lavori socialmente utili come parte della pena. Questo è possibile attraverso l’istituto della messa alla prova.
La messa alla prova permette all’imputato di sospendere il processo e svolgere attività di volontariato o lavori socialmente utili per un periodo di tempo stabilito dal giudice. Se l’imputato completa con successo questo periodo, il reato viene estinto e non viene registrata alcuna condanna.
Giovanni Toti, arrestato lo scorso maggio per corruzione nell’inchiesta che ha sconvolto la Liguria, raggiunge con la procura di Genova l’accordo per patteggiare a 2 anni e 1 mese. L’ex governatore, se l’intesa con la procura sarà ratificato dal giudice per l’udienza preliminare il 15 ottobre, vedrà convertita la pena in 1.500 ore di lavori di pubblica utilità e la confisca di 84.100 euro. Lo si apprende da fonti legali. In questo modo salta il processo già fissato per il 5 novembre.
Dopo l’arresto, Toti ha sempre rigettato l’accusa di corruzione e ha sostenuto più volte che sia necessaria una modifica della legge sul finanziamento dei partiti, per la cui violazione ha patteggiato.
Quando il 7 maggio ci furono gli arresti che terremotarono la Regione Liguria e misero in fibrillazione la politica nazionale, secondo la Procura guidata da Nicola Piacente Toti avrebbe ricevuto da Spinelli, tra la fine del 2021 e la primavera del 2023, «tangenti» per ottenere favori per l’imprenditore, sul quale l’allora governatore avrebbe fatto pressioni.
Si trattava di una prima «tangente» di 40 mila euro che Spinelli versò a metà dicembre 2021 ai comitati elettorali di Toti sotto forma di finanziamenti che rispettavano le regole imposte dalla legge sui fondi ai partiti.
Queste somme di denaro, secondo i pm genovesi, erano collegate alla proroga di 30 anni della concessione demaniale dell’aera «Rinfuse» nel porto di Genova al gruppo di Spinelli, il principale imprenditore nella logistica cittadina.
Un’altra «tangente» sarebbe stata pagata a metà 2022 e sarebbe legata ad altre richieste di favori per altre aree e per la concessione di una spiaggia per la realizzazione di un complesso edilizio da parte del gruppo Spinelli, che però non è mai avvenuta. Questo secondo finanziamento, di 30 mila euro, seguì lo stesso iter del precedente, rispettando la legge sul finanziamento ai partiti.
Una terza ipotesi di «tangente» riguarda una cena elettorale a marzo 2023, per la quale Spinelli versò 4.100 euro per riservare 8 posti a tavola.
L’ultima accusa di corruzione per Toti, invece, riguarda annunci elettorali su un maxischermo installato su un grattacielo di Genova per la campagna elettorale del 2022 che portò alla conferma dell’attuale sindaco Marco Bucci, sostenuto anche dai comitati di Toti. Secondo l’accusa, questi annunci sarebbero stati pagati dall’allora consigliere di Esselunga, Francesco Moncada, sotto forma di contratto pubblicitario.
Un’ultima accusa, quella è inserita nell’accordo Toti-Procura, è relativa anche alla stessa vicenda Esselunga ma con un ulteriore accusa di illecito finanziamento del partito, perché quegli spot non sarebbero stati inseriti a bilancio dai comitati Toti.
Con l’accordo, Toti e gli altri imputati chiudono completamente il conto con la giustizia, se il Gup darà il suo parere positivo. Non solo non si terrà il processo del 5 novembre con rito immediato, nel quale sono imputati Toti, Spinelli e Signorini, ma per loro non ci saranno altre imputazioni nel secondo filone delle indagini, che è ancora in corso, e che riguarda per esempio l’ipotesi di voto di scambio e altri reati contestati a vario titolo ai tre. Quando queste indagini saranno concluse si saprà la sorte degli altri 30 indagati.
Per quanto riguarda Spinelli, è accusato di aver corrotto direttamente Signorini, pagando a sue spese 22 soggiorni per 42 notti a Montecarlo all’allora presidente della Autorità portuale. L’imprenditore coprì anche le spese per le giocate al tavolo verde. Spinelli e Toti hanno trascorso tre mesi ai domiciliari per questa vicenda. Toti si è anche dovuto dimettere per poter ottenere la scarcerazione il 5 agosto, quando fu liberato anche Spinelli.
Signorini, invece, dopo un periodo in cella al carcere Marassi di Genova, ha ottenuto i domiciliari ai quali si trova ancora.
In nuce, la Procura accetta il patteggiamento di Toti evitando una brutta figura. Toti si sarebbe infilato in tre o quattro gradi di giudizio passati da ostaggio del sistema, con spese per pagare gli avvocati e non solo, senza contare l’attività politica zoppicante e la prospettiva, nel suo caso particolare, che questa attività o amministrazione possa essere equivalsa al delinquere: opinione già espressa dai pm. La brutta figura della Procura, invece, è quella che probabilmente avrebbe fatto o potuto fare se la vicenda Toti fosse andata finalmente a processo, che è la sua dimensione naturale, dove tutti i teoremi accusatori potevano essere smentite a colpi di giurisprudenza.
Toti, si reputa perfettamente innocente ma accetta di venire a patti con l’accusa, dichiarandosi implicitamente colpevole, pur di uscire subito da questo inferno, e avere ancora un futuro.
Va da sé che l’accordo tra la Procura e Toti deve essere accettato dal Gup, che è il giudice dell’udienza preliminare che deve accettare il patteggiamento, il che significa non essere nemmeno ufficialmente usciti dalla fase delle indagini, quelle in mano ai pm.
Il patteggiamento è una resa all’accusa: si patteggia una pena e si «esce» dal processo senza neanche presentarsi in aula, cioè senza un vero confronto con accuse e accusatori. E non tutti resistono durante carcerazioni preventive interminabili, non tutti gli indagati ce la fanno ad attendere processi da celebrarsi chissà quando: perché a molti interessa uscire dal carcere il prima possibile e veder dissequestrati i conti bancari resi inaccessibili alla famiglia, ai figli, all’azienda, e questo, assai spesso, anche se chi patteggia si ritiene innocente, o lo è. Mani pulite funzionò in buona parte così e diede l’abbrivio, con patteggiamenti legati alla discrezionalità dei magistrati nel concedere scorciatoie pagate a caro prezzo per chi voleva uscire dal tritacarne. Chi non accettava resta ostaggio della macchina giudiziaria: a primeggiare nelle statistiche dell’inchiesta Mani pulite è infatti un altissimo numero di patteggiamenti legati alle concessioni che l’indagato fosse disposto ad accettare: e le condanne con patteggiamento, in Mani pulite, sono state 847 su 1.254, ottenute, ripetiamo, quando il carcere preventivo era ancor più la regola di quanto lo sia adesso.