Di fronte ad una recessione così grave per il Paese l’unica cura è la politica forte, fatta di confronto senza paura, di condivisione, senza timori di essere accusati di essere complici dell’avversario o di condividerne i suoi errori o addirittura il mal costume dei suoi componenti. Invece il segretario del PD continua ad essere miope e sordo alle istanze rivolte al ceto politico dal Grande Saggio, il nostro Presidente della Repubblica, perché teme di apparire ai suoi elettori complice morale in caso dovesse aprire ad un dialogo con il PDL, questo in nome di un falso moralismo tipico della sinistra italiana e soprattutto dei cattocomunisti di cui il PD è ben fornito.Ciò che spaventa il PD,quindi, sarebbe la fusione e confusione di identità e culture diverse fondate su ideologie antitetiche.Ma come mai questo timore non lo ha assillato durante il Governo Monti dove insieme al PDL ha condiviso e votato politiche di pseudo riforme che hanno precipitato il Paese in una recessione economica e finanziaria, la più grave dal dopo guerra? La risposta è semplice ed evidente agli occhi di tutti. Nell’immediato della caduta del Governo Berlusconi il PD non era pronto per le elezioni perché dilaniato al suo interno da gravi contrasti e soprattutto dall’attivismo politico di Renzi che incombeva, ma ciò che lo frenava di più era il timore e l’incapacità di poter governare il Paese in un momento in cui occorreva metter mano ad una serie di riforme che avrebbero comportato gravi sacrifici economici, quindi anche una ragione di opportunità politica. Ma allo stato tutto ciò non esiste, anzi la gravità del momento impone senso di responsabilità da parte delle forze politiche verso i cittadini che le hanno elette, allora perchè non andare verso l’avversario politico, in questo caso Berlusconi, sfidarlo sulle riforme più urgenti, occupargli il campo e così conquistare una buona fetta di suoi elettori? Invece no. La verità è che Bersani non può liberarsi di quella base di elettorato intrisa di giustizialismo,di ambientalismo a tutti i costi,di statalismo fine a se stesso, di un sindacalismo vecchio che non si adegua alle nuove regole dettate dai mercati perchè teme di perdere quel poco consenso che gli è rimasto e con esso il potere della contrattazione. Ma abiurare l’avversario sic et simpliciter equivale a debolezza politica e strategica. La verità che al nostro Paese manca una classe politica che abbia la capacità di guardare oltre il presente e che non nasconda le proprie responsabilità, a propria incapacità ad elaborare politiche serie, dietro il paravento, ormai obsoleto e ripetitivo, di attacchi reciproci, dandosi del corruttore o del comunista. Ma ormai il dato è tratto. Il 16 marzo è vicino ed al segretario del PD non gli resta altro che sperare che la delegazione dei suoi ambasciatori, nominati per sondare gli umori dei grillini circa i suoi otto punti, portino a casa il risultato. In caso contrario cosa racconterà a quella base giustizialista,ambientalista a tutti i costi,statalista? Sicuramente una cosa,che la sua missione sarà miseramente fallita e dovrà rassegnare le dimissioni affidando il PD in mani più esperte e con una visione moderna della politica.
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