Totò, Principe e “Scupatore”

Il Centro Studi Scienze Antiche è sorto nel 1981 per iniziativa di un gruppo di intellettuali palermitani che avvertì l’esigenza di contribuire operativamente a mantenere viva la memoria degli eventi culturali e sociali attraverso conferenze e seminari. Proseguendo con rinnovato impegno il CSSA della Campania, unitamente al  Circolo Ufficiali della Marina Militare di Napoli,  presenta una serata  in ricordo di Antonio de Curtis titolata: “Totò, principe e scupatore”, che si svolgerà venerdì 5 Aprile nei saloni del Circolo, con la presentazione di Adriana Longarzo  e gli interventi di Franco Gargìa, Angela Iannuzzi e Antonio Corbara. Verosimilmente, ed a giudicare dall’ammiccante titolo, il Centro Studi Scienze Antiche approfondirà il ruolo che il principe Antonio De Curtis abbia avuto in Massoneria, questo tanto in qualità di fratello, quanto in veste di Maestro Venerabile della Loggia “Ars et Labor”. Molti non colgono l’importanza dell’appartenenza di Totò alla Massoneria dove fu iniziato nel lontano 1941 non riuscendo ad immaginare che facesse parte di una loggia segreta perché, a loro dire, non aveva bisogno di ricavare vantaggi, riconducendo la Massoneria come una confraternita utile elusivamente per ricavare vantaggi sociali. Come ad esempio Luciano De Crescenzo che diceva: “Io lo ho conosciuto e poteva essere tutto ma non Massone e questo per incompatibilità di tipo caratteriale. Totò era conosciuto ed amato da tutti”.  Ma a Luciano De Crescenzo sfugge che la Massoneria si può scindere in due livelli, l’uno di facciata fatta per coloro che intravedono in  una loggia segreta un mero scopo per  intavolare relazioni proficue e l’altra, più nascosta, che è la  Massoneria Scozzese, dedita a ritualità sicuramente diverse che abitano regimi di “Tempio”  con finalità evolutive ed ascensionali. Una Massoneria dedita allo sviluppo dell’individuo, o meglio allo sviluppo dell’essenza dell’individuo. Ascensione  in verticale e non in orizzontale, che potrebbero anche incontrarsi in “croce”, come ad esempio i “pagliacci” della  Rosa+ Croce,  ben descritti da Gabriele La Porta in “Grandi roghi, grandi Castelli e grandi magie” che trasferivano giocando elettivi principi.  Non voglio fuorviare, anche per non disorientare chi mi legge, ma amabilmente mi viene da pensare contemporaneamente  al Totò pagliaccio che era contemporaneamente l’aristocratico principe De Curtis che fissa nell’immaginario  il disincantato scopatore che in posa gigantesca fronteggia la morte. E mi spiego meglio:  Totò ha espresso i sentimenti propri della sua appartenenza Massone anche  attraverso la poesia “‘A livella”, nella quale sono mirabilmente descritti i valori della vera Massoneria, che si batte da sempre contro l’ingiustizia e la disuguaglianza tra gli uomini. Antonio De Curtis  come Fratello di 18° in una Loggia napoletana detta Fulgor e, qualche mese dopo,  compare in veste di Maestro Venerabile 30° nella Fulgor Artis di Roma, all’Obbedienza della Federazione Massonica Uni-versale del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Il principe Antonio de Curtis, un Fratello che avrebbe potuto senza difficoltà acquisire il 33° del Rito Scozzese, ovvero che avrebbe potuto  far parte delle alte sfere della gerarchia massonica, nel Supremo Consiglio per la gestione del Rito. Parlo in questo articolo  di un inno alla livella,  dal latino libella o bilancia, simbolo dell’orizzontalità perfetta, della Grande Eguagliatrice. Totò che  ci racconta in versi di essere stato testimone, il giorno dei morti, al cimitero, di un fatto curioso; il fantasma di un marchese e quello di un netturbino si incontrano dove sono sepolte le loro salme, l’una accanto all’altra. Il marchese, irritato dalla vicinanza della spoglia e sporca tomba dell’altro, lo aggredisce: “come avete osato di farvi seppellir, per mia vergogna, accanto a me che sono blasonato? Ancor oltre sopportar non posso la vostra vicinanza puzzolente”. Il netturbino, dopo averlo ascoltato, si spazientisce: “Ma chi te cride d’essere… nu ddio? Ccà dinto, ‘o vvuò capì, ca simmo eguale? Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io; ognuno comme a ‘n’ato è tale e qquale”. I due protagonisti si presentano con caratteristiche umane e terrene: il nobile è vestito col cilindro e un gran pastrano, è marchese, signore di Rovigo e di Belluno, porta solo appellativi ma non possiede un nome e parla correttamente; lo “scupatore” è tutto sporco e misero, si chiama Gennaro Esposito e parla in dialetto napoletano. Basterebbe immaginare lo “Scupatore” vestito di stracci con sul petto una croce a cospetto  con la morte, non nemica ma vista come  fine di un passaggio,  non drammatica ma necessaria,   perché spezza la simbologia della terra ed è vista come rivelazione ed introduzione. Putrescat ut resurgat, iniziazione che spalanzca le porte ad una vita nuova liberando le forze ascensionali dello spirito.  E’ il messaggio di Gennaro, lo scopa-tore: “nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”. La Morte è, del resto, il campo neutro, dove non esistono distinzioni né per bontà o cattiveria, né per nobiltà o povertà, né di gerarchia e potere: “’A morte ‘o ssaje ched’è? … è una livella”. La livella e il filo a piombo sono gli attributi  e la loro dualità corrisponde a quella delle due colonne del Tempio. La livella è costituita da una squadra al vertice della quale è sospeso un filo a piombo: quindi non solo determina l’orizzontale, ma anche la verticale come  espansione cosmica. Il passaggio dalla perpendicolare alla livella esprime una crescita e la sintesi della perpendicolare con la livella non è realizzata se non per mezzo della squadra, attributo esclusivo del Venerabile. La livella si lega all’iniziazione, all’inizio del percorso muratorio ed  esprime la crescita del massone. Possiamo credere che sulla base di  questi presupposti la poesia  fosse stata pensata e scritta da Totò…

 

Roberto Cristiano

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