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Le fragili basi delle istituzioni digitali

Tra i paradossi dell’era digitale si assiste sempre più allo smarrimento del senso degli accadimenti.
Se una azienda si aggiudica un appalto per un servizio essenziale per una comunità, in merito alle sue capacità, risponde della qualità del servizio non solo alla comunità servita, ma anche alle istituzioni che ne hanno affidato la gestione. Esistono, inoltre, dei servizi che vengono “essenziali” che devono essere garantiti, come direbbe il principe della risata, “a prescindere”; devono, cioè, non essere sospesi per alcuna ragione, pena la decadenza del contratto, il risarcimento dei danni prodotti e l’eventuale incriminazione per responsabilità civili e penali.
Ora, nella società digitale, connessione e funzionamento dei servizi, non rappresentano più solamente un “intrattenimento” ma la struttura nervosa di funzionamento della società stessa.
Una semplice mail dispersa, un account violato, una connessione non garantita (o talvolta solo rallentata, volutamente o meno…) possono cambiare i destini di un concorso, di una carriera, di un business, talvolta anche di una vita.
Nei giorni scorsi, però, il più grande colosso digitale del mondo, ha subito un crash dei suoi “servizi”. Il mondo giornalistico ha trattato l’argomento dal punto di vista del “danno” subito dall’azienda, nessuna procura ha aperto fascicoli sull’interruzione di servizi pubblici essenziali legati all’affidamento alla multinazionale in questione.
Questa è la fragilità del nuovo mondo digitale, che affida a strutture globali sempre più grandi, onnipresenti e onnipotenti, aspetti centrali del funzionamento della vita sociale ed economica.
Queste strutture che non solo determinano mercati e producono monopoli, ma tendono a sostituirsi alle infrastrutture civili e statuali, sviluppando forme di controllo e di gestione della vita di intere nazioni.
Questi accadimenti dovrebbero favorire lo sviluppo di una “consapevolezza istituzionale 2.0”: l’autonomia delle infrastrutture digitali è la principale “componente di sovranità” delle società contemporanee. La crisi strutturale che il pianeta sta attraversando, solamente innescata dal COVID-19 ma che poggia le sue radici nella stessa forma strutturale del modello economico fin qui perseguito, deve rappresentare l’occasione per invertire una tendenza e gettare le basi per una forma diversa del modello economico che oggi significa, in particolare, una fisionomia diversa del mondo digitale. Le risorse del Recovery plan dedicate alla trasformazione digitale, quindi, non dovrebbero essere spese solamente per un “aggiornamento tecnologico” delle singole aziende del vecchio mondo produttivo ma essere indirizzate prioritariamente alla costruzione di infrastrutture e applicazioni capaci di abilitare i processi di costruzione di una dimensione digitale europea in cui l’Italia potrebbe essere protagonista per se stessa e per la nuova economia del futuro.

Circa Sergio Bellucci

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