Colpo a sorpresa in Corte d’Assise a Chieti durante la requisitoria dei Pm sulla megadiscarica di Bussi (Pescara). L’accusa ha mostrato un documento agli atti datato 1992 e che per i pm si riferisce alla conclusione di una riunione tra alcuni degli imputati. Fino a tutti gli anni ’60 il sito industriale chimico di Bussi ha sversato una tonnellata al giorno di veleni residui della produzione nel fiume Tirino. È il passaggio forte della requisitoria dei pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli al processo in Corte d’Assise a Chieti sulla discarica della ex Montedison. La Procura di Pescara durante la requisitoria ha reso pubblica una lettera inviata nel 1972 dal Comune di Pescara a firma dell’assessore Contratti ai vertici della Montedison di Bussi nella quale chiedeva di rimuovere i rifiuti tossici interrati nel sito perché costituivano un pericolo di inquinamento concreto per le falde acquifere dell’acquedotto Giardino che forniva l’acqua potabile a tutta la Val Pescara. Per i Pm questo dimostra come già allora si sapesse degli effetti letali dell’interramento dei rifiuti ed hanno mostrato un documento interno dell’azienda in cui la stessa Montedison segnalava che l’acidità delle scorie avrebbe potuto sciogliere i cassoni di cemento utilizzati per seppellire i rifiuti industriali nella discarica Tremonti. A fine anni ’70 Montedison inseriva le scorie acide in cassoni di cemento che poi venivano portati con dei camion nella discarica Tremonti del sito di Bussi, per essere seppelliti. In uno dei passaggi in cui i pm ricostruiscono la vicenda, si evidenzia che la discarica Tremonti di Bussi, sequestrata nel marzo del 2007, è arrivata a saturazione nel 1983, mentre nel 1974 era al 75% della capienza. Una “pistola fumante” che continua ancora ad inquinare. Per il perito il capping, ovvero la copertura, ha avuto effetto positivo ma i valori sono ancora sopra la soglia. La conferma da perizie ad hoc. Non continuerebbe ad inquinare, invece, per il perito della difesa perché sarebbe il fiume a contaminare alcuni pozzi.
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