A Dubai il più grande progetto di ripristino degli oceani al mondo

Si chiamerà Dubai Reefs e sarà il più grande progetto di ripristino degli oceani al mondo, un vero e proprio laboratorio galleggiante che, oltre alla ricerca, comprenderà anche delle strutture ricettive per promuovere l’ecoturismo.

Il progetto

Stiamo parlando di oltre 200 chilometri quadrati di barriera corallina artificiale stampata in 3D. Gli obiettivi principali del progetto sono contrastare l’innalzamento dei mari, rigenerare l’ecosistema ed abbattere la CO2.

In sostanza sarà una vera e propria dimora per circa 1 miliardo di coralli e per oltre 100 milioni di alberi di mangrovie. Un piano di recupero della vita marina creata dal team di URB, leader globale nello sviluppo di città sostenibili e già noto per aver dato vita ai progetti di alcune tra le più futuristiche smart city ad impatto zero che esistano, come per esempio The Loop a Dubai.

Un lavoro essenziale perché, secondo le previsioni, entro la fine di questo secolo molte città dovranno affrontare la minaccia catastrofica dell’innalzamento dei mari con la conseguente – e probabile – completa sparizione.

Ma non solo: a causa del cambiamento climatico a rimetterci sarà anche la vita oceanica che, già adesso, è duramente messa alla prova dall’acidità delle acque che è in costante crescita. Le barriere coralline sono una fonte indispensabile nella filtrazione delle acque e, purtroppo, potrebbero arrivare alla completa estinzione entro la fine di questo secolo.

Consapevole di questi rischi drammatici, URB ha quindi deciso di far partire il progetto del Dubai Reefs: un ecosistema sottomarino artificiale in grado di ripristinare la biodiversità della zona. Tale ricchezza, infatti, è stata già danneggiata dai numerosi pozzi petroliferi che ci sono in questa specifica parte del nostro mondo.

Come funzionerà

Il progetto prevede 200 chilometri quadrati di barriera corallina artificiale che si rivelerà utile contro l’erosione costiera. Il Dubai Reefs si autofinanzierà tramite alcune strutture ricettive per l’ecoturismo, vale a dire eco-resort ed eco-lodge galleggianti che attireranno i turisti e che, contemporaneamente, faranno aumentare i posti di lavoro.

Allo stesso tempo il centro di ricerca, Marine Institute, farà in modo di trasmettere la conoscenza della vita oceanica. E lo farà dando vita a soluzioni a problemi urgenti come l’eliminazione di ben 5,25 miliardi di detriti plastici che sono ancora adesso dispersi nei fondali.

La barriera corallina artificiale verrà realizzata grazie alla stampa 3D (e non solo) che creerà forme e trame praticamente identiche a quelle dei paesaggi sottomarini naturali e perciò adatte alla vita delle specie oceaniche. Verrano utilizzati biomateriali, ovvero quegli stessi elementi che sono al centro degli studi del laboratorio di ricerca precedentemente nominato.

Il Dubai Reefs sarà alimentato unicamente con energia rinnovabile recuperata dal moto ondoso, dai pannelli fotovoltaici che verranno disposti sulle isole artificiali e da turbine sommerse che sfrutteranno le varie correnti sottomarine.

Al contempo le isole ospiteranno sistemi di acquacoltura dedicati alla coltivazione delle alghe che sono molto importanti per quanto riguarda la cattura della CO2 e il rilascio dell’ossigeno.

Infine, l’obiettivo di Dubai Reef è anche quello di promuovere benefici sociali, economici ed ambientali, provando a trasformare la stessa futuristica metropoli in una destinazione ecologica ed ecoturistica.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Baharash Bagherian, CEO di URB, ha dichiarato che: “La salute delle nostre città è intrinsecamente legata alla salute degli oceani. L’oceano è la fonte della vita che controlla tutto. Dal momento che sul nostro Pianeta ogni cosa è connessa, un oceano sano è una città sana. Il nostro oceano sarà completamente diverso entro la fine del secolo se non agiamo oggi”.

I progettisti di URB hanno invece concluso: “Dato che quasi tutta la terra fertile del mondo è già in uso, ma i nostri oceani, che coprono più di tre quarti del pianeta, forniscono solo il 2% del nostro cibo, è tempo di spostare l’equilibrio verso una produzione alimentare più sostenibile”.

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