La tragedia avvenuta all’ospedale Cannizzaro di Catania il 18 ottobre ha riacceso i riflettori sulla questione dell’obiezione di coscienza nei casi di aborto. L’articolo 9 della legge n.194/78 prevede che i medici e il personale sanitario possano non prendere parte alle procedure di interruzione volontaria di gravidanza qualora dichiarino di essere obiettori di coscienza. La dichiarazione dell’obiettore, recita la legge, deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dall’ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. Al comma 3 la legge stabilisce che l’obiezione non esenta il personale medico dall’espletamento dell’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Inoltre l’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Sulla questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione che ha evidenziato e specificato che l’obiezione non autorizza il medico ad omettere di prestare l’assistenza prima ovvero successivamente ai fatti causativi dell’aborto, in quanto deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione della gravidanza. La seconda sentenza risale all’11 aprile del 2016 in seguito a un ricorso presentato dalla CGIL. L’organo comunitario ha deciso di accogliere l’istanza sostenendo che in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture alternative, in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78. Una realtà che comporta notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute. In base ai dati presentati dalla CGIL al Consiglio Europeo, a livello nazionale le percentuali di medici obiettori variano dal 67% del Nord all’80,5% del Sud. Gli obiettori di coscienza sono 73% in Calabria, 82% in Campania, 86% in Puglia, 87,6% in Sicilia, 80% nel Lazio, 90% in Basilicata, 93,3% in Molise. Eccezion fatta per la Valle D’Aosta (13,3%) e la Sardegna (49,7%), tutte le Regioni superano abbondantemente il 50%”, questi i dati di una inchiesta de ‘La27ora’. L’obiezione di coscienza è un diritto consolidato, non solo per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza, ma è responsabilità dello Stato far sì che non si traduca nella soppressione di altri diritti di pari dignità, come il diritto alla salute fisica e psichica della donna.