Nel processo in corso presso il tribunale vaticano sugli abusi sessuali avvenuti nel Preseminario Pio X si allarga il perimetro degli accusati. Il preseminario ospita ragazzi della scuola media e del ginnasio-liceo che vogliono riflettere sul loro futuro e su una possibile chiamata alla vita sacerdotale. I ragazzi prestano anche servizio liturgico come ministranti nella Basilica di San Pietro: sono, dunque, i “chierichetti del Papa”. Il processo, celebrato sotto la presidenza di Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, è iniziato lo scorso 14 ottobre e nel pomeriggio di martedì si è svolta la seconda udienza. Sul banco degli imputati siedono sinora due sacerdoti, don Gabriele Martinelli e di don Enrico Radice, accusati il primo abusi, il secondo, rettore del Preseminario all’epoca dei fatti, di favoreggiamento, ai danni di un giovane ospite del preseminario. Le indagini erano state avviate nel novembre del 2017 a seguito di notizie divulgate dal giornalista Gianluigi Nuzzi nel libro “Peccato originale”, al quale seguirono poi le trasmissioni televisive “Le Iene” e “Quarto Grado”. Emergeva il racconto di un ex alunno del San Pio X, il polacco Kamil Jarzembowski, che, entrato nel settembre del 2009, nell’estate del 2014 aveva denunciato alle autorità ecclesiastiche abusi su un suo compagno di stanza di cui era stato testimone oculare. La presunta vittima, L.G., presente in aula martedì, si è costituito parte civile. Il suo avvocato, Dario Imparato, ha inoltre chiamato in causa i livelli superiori del preseminario.
Il Preseminario San Pio X, all’interno delle mura vaticane, voluto da Pio XII nel 1956, fu infatti affidata a don Giovanni Folci, un sacerdote della diocesi di Como. La gestione del Preseminario è tuttora affidata all’Opera Don Folci e alla diocesi di Como. Nel corso dell’udienza di martedì pomeriggio l’avvocato Imparato ha presentato un’istanza di citazione in giudizio del Preseminario e dell’Opera Don Folci perché, ha detto, “riteniamo che ci siano responsabilità oggettive nella Istituzione che sovrintende il Preseminario”. Il legale della presunta vittima ha citato, in particolare, la “mancata vigilanza” e la “grande negligenza” nel controllo di questi seminaristi. Il presidente Pignatone ha chiesto quale “persona giuridica” fosse citata in giudizio e l’avvocato ha risposto il Preseminario “come ente”, “altrimenti la Diocesi di Como”. Dopo che il tribunale ha sospeso l’udienza e si è ritirato per decidere sulla richiesta, Pignatone ha dichiarato che “l’istanza presentata di citazione del Preseminario è accolta e autorizzata” dal Tribunale vaticano e va notificata a cura della parte civile entro dieci giorni prima della prossima udienza. Il promotore di giustizia e gli avvocati delle parti, ha spiegato il presidente del tribunale, possono proporre eventuali obiezioni entro i tre giorni successivi alla presentazione dell’istanza dell’avvocato Imparato. Interpellato dai cronisti a margine dell’udienza, lo stesso legale ha dato la seguente interpretazione della decisione del tribunale: “Io capisco che ha accolto solo il Preseminario, ma non l’Opera. Ma comunque l’istituzione è affidata alla Don Folci”, attualmente guidata da don Angelo Magistrelli”.
A novembre del 2017 la diocesi di Como, allora guidata dal vescovo Diego Coletti, reagì alle prime notizie degli abusi difendendo il processo di selezione per il preseminario. In un comunicato del 20 novembre 2017 precisava che “i presunti fatti denunciati a mezzo lettera nel 2013, in seguito agli accertamenti conclusi nel 2014 da parte di tutte le competenti sedi ecclesiastiche, erano stati ritenuti infondati e tutte le valutazioni sulla personalità del seminarista erano risultate positive. Tra la documentazione prodotta non risultava alcun parere negativo da parte delle persone a conoscenza della vicenda”. Nel corso della prima udienza del processo vaticano, il 14 ottobre, è emerso che l’allora rettore, oggi imputato, don Enrico Radice, nel 2013 diffuse “una falsa lettera” del vescovo Coletti in cui parlava dell’imminente ordinazione sacerdotale di Martinelli. A settembre dell’anno scorso il promotore di giustizia del Tribunale dello Stato Vaticano, ossia il pm, aveva chiesto il rinvio a giudizio per i due sacerdoti. Nonostante i fatti denunciati risalissero ad anni in cui la legge all’epoca in vigore impediva il processo in assenza di querela della persona offesa, da presentarsi entro un anno dai fatti contestati, il rinvio, sottolineava la sala stampa vaticana, “è stato possibile in virtù di un apposito provvedimento del Santo Padre del 29 luglio scorso, che ha rimosso la causa di improcedibilità”.