Acca Larenzia, Fabio Rampelli ricorda la tragedia di 46 anni fa e la sofferenza delle famiglie e della destra italiana in una intervista a Radio radicale. “Un punto di non ritorno – ha detto Rampelli – a causa di uno Stato che si voltava dall’altra parte impedendo che si facesse chiarezza sugli omicidi di Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni. Credo che questo sia il problema vero, la giustizia negata. Ho chiesto tante volte la riapertura delle indagini. A livello parlamentare – ha spiegato il vicepresidente della Camera – ho cercando la sponda della sinistra. Ho presentato una proposta di legge per l’istituzione della violenza politica sugli anni 70. Non ci sono soltanto i ragazzi di destra uccisi ma ci sono anche quelli di sinistra: una sequenza impressionante di giovani uccisi vigliaccamente rimasti tutti senza giustizia, considerati figli di un Dio minore”. “Vogliamo la verità storica – ha concluso – per capire, per indagare chi ha fatto questo gioco sporco alimentando la strategia della tensione”.
Su Acca Larenzia e sul libro di Valerio Cutonilli su quell’eccidio, di recente ristampato dalla casa editrice Settimo Sigillo, la Fondazione An e il Secolo d’Italia hanno organizzato a Roma, l’11 gennaio, un dibattito dal titolo “Acca Larenzia e il maledetto ’78: il dovere della memoria”. Vi hanno preso parte, dopo i saluti di Antonio Giordano, vicepresidente della Fondazione, l’autore Valerio Cutonilli, Maurizio Lupini, sopravvissuto alla strage di Acca Larenzia e che firma una lettera ai tre ragazzi caduti che chiude il libro di Cutonilli, il giornalista Francesco Lo Sardo, la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti e Luca Tarantelli, il figlio di Ezio Tarantelli ucciso dalle Br con la mitraglietta skorpion usata anche nell’agguato al Tuscolano. Ha moderato la giornalista del Secolo d’Italia Annalisa Terranova.
I proventi dei diritti d’autore del libro sono destinati interamente a una borsa di studio “in memoria di Franco, Francesco e Stefano”, un’idea – si spiega nell’annuncio dell’iniziativa – nata dal “desiderio di ricordare in modo degno i ragazzi caduti” espresso dai due sopravvissuti alla strage, Maurizio Lupini e Vincenzo Segneri. Il concorso è stato ufficialmente presentato nel corso dell’incontro dell’11 gennaio.
I proventi dei diritti d’autore del libro sono destinati interamente a una borsa di studio “in memoria di Franco, Francesco e Stefano”, un’idea – si spiega nell’annuncio dell’iniziativa – nata dal “desiderio di ricordare in modo degno i ragazzi caduti” espresso dai due sopravvissuti alla strage, Maurizio Lupini e Vincenzo Segneri.
«Smentisco la ricostruzione apparsa sul Fatto Quotidiano di oggi in relazione alla targa in ricordo di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni posta ad Acca Larenzia. Nel 2010 la giunta capitolina di centrodestra approvò il toponimo ‘Largo Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni; vittime del terrorismo 7 gennaio 1978′, e per questo ho lanciato un appello al sindaco Gualtieri per la realizzazione del toponimo come già fatto alle moltissime vittime del terrorismo riconosciute dallo Stato. La targa a cui fa riferimento il pezzo fu apposta proprio per contestare l’attribuzione della toponomastica istituzionale da ambienti extraparlamentari. Nessuno dei nomi citati è stato coinvolto nella deposizione della targa. Chiediamo alla redazione del Fatto Quotidiano immediata rettifica dell’articolo». Così il presidente della commissione Cultura della Camera Federico Mollicone.
La targa fu apposta da gruppi extraparlamentari in aperta polemica anche con la stessa Meloni e ci sono e i comunicati stampa dell’epoca a dimostrarlo. I termini utilizzati al suo interno non facevano più parte da diverso tempo del lessico né di Alleanza nazionale né tantomeno di Fratelli d’Italia.
A sbugiardare il Fatto quotidiano è indirettamente lo stesso Fatto quotidiano. Nell’articolo datato 17 gennaio 2012 si parlava infatti in altri termini. «Dopo 34 anni una nuova targa in via Acca Larentia», «a cambiarla i militanti dell’ex sede storica del Movimento sociale italiano in memoria dei tre ragazzi morti: Franco Bigonsetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. La targa, come quella che è stata sostituita, è a firma “i camerati” da “Carlo Giannotta, responsabile della sede Autonoma, aveva motivato questo cambio, affermando: «Fini e il suo gruppo, tra cui Gasparri e La Russa (da lì a pochi mesi cofondatore di Fratelli d’Italia ndr), fecero la promessa di una Italia migliore quando nel ’78 misero la vecchia targa. Promessa poi non rispettata. Per questo noi l’abbiamo sostituita ed abbiamo specificato l’ideologia che ha assassinato quei tre ragazzi”. Insomma, una polemica contro la destra.
A deporre una corona d’alloro (e non la targa), nell’anniversario della strage di Acca Larenzia, furono l’allora assessore ai Lavori pubblici della giunta Alemanno. Fabrizio Ghera, accompagnato tra gli altri da Giorgia Meloni e Federico Mollicone. Quindi tra quella targa e l’omaggio reso a quei tre ragazzi uccisi ad Acca Larenzia, non vi è alcun nesso. Per quelli del Fatto non era difficile cadere nell’errore. Gli bastava leggere almeno il loro giornale.
«Nessuno ha ricordato che le vittime erano di destra e i carnefici di sinistra. In questo caso per cento, duecento imbecilli, molto più utili alla sinistra che a noi, stanno provando a fare il ribaltone, come se sotto giudizio dovesse esserci la destra. Sotto giudizio purtroppo non sono mai andati gli assassini di Acca Larentia», ha detto il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, parlando con i cronisti nei pressi di Montecitorio della vicenda di Acca Larenzia.
«Fratelli d’Italia non ha nulla a che vedere con quanto accaduto. I nostri parlamentari ed esponenti erano presenti ad Acca Larenzia e saranno sempre presenti, alla commemorazione ufficiale fatta dal Comune di Roma», ha aggiunto Donzelli, ricordando «che si parla di ragazzi di destra uccisi dagli estremisti antifascisti, che in nome dell’antifascismo militante hanno ucciso dei ragazzi di 18 e 20 anni colpevoli solo di fare attività politica. In queste ore vorrei chiedere spiegazioni invece che a noi, al Pd, che ha nominato alla Corte dei Conti un uomo, Marcello Degni, che ha difeso Toni Negri e ha inneggiato, quando è morto, all’esponente che è stato l’ideologo del terrorismo di sinistra», ha continuato il deputato.
«Non ho sentito la Schlein condannare quello che il Pd ha messo alla Corte dei Conti che invece inneggiava a Toni Negri. Aspetto dalla Schlein la condanna di chi difende Toni Negri». Quanto al reato di apologia di fascismo, «se qualcuno commette il reato deve essere condannato, ma ci pensa la magistratura, non i commentatori politici, e non c’entra nulla FdI».
Aveva abboccato all’articolo farlocco anche Gad Lerner, che ha postato un velenoso post su X, ex Twitter. A nulla sono serviti i commenti di rettifica. Ci sono bufale che a qualcuno piacciono più della verità.
Giampiero Mughini interviene sulle polemiche suscitate dal rito del Presente, con annesso saluto romano, ad Acca Larenzia e riporta la vicenda ai suoi fondamentali: la pietà verso i giovani missini assassinati, “vittime innocenti” verso le quali ogni “cittadino repubblicano” dovrebbe avvertire il “dovere” del ricordo. Il resto, è il senso del suo ragionamento, è marginale e attiene a una ritualità che in lui non suscita “il benché minimo sussulto antifascista. Ho solo la commozione di ricordare la loro sorte”, scrive Mughini, in una lettera aperta a Dagospia.
Ed è proprio dalla sorte di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni che parte la riflessione di Mughini, che dà tutta l’impressione di volerli far riemergere dal fragore di quel “certo putiferio antifascista” che invece li ha del tutto cancellati. Mughini ne ricorda l’età: vent’anni Bigonzetti; diciotto Ciavatta; diciannove Recchioni. Ricorda che sono stati uccisi sì nello stesso luogo e nella stessa giornata, ma in due momenti, due circostanze e da assassini diversi: Bigonzetti e Ciavatta “assassinati a freddo da un nugolo di terroristi di sinistra di cui non si è saputo mai più nulla”, mentre “si apprestavano a distribuire un volantino che reclamizzava un concerto tenuto da un gruppo musicale di destra”; Recchioni “successivamente negli scontri con la polizia”. Una scena, ricorda, che “mi è stata vividamente raccontata dall’allora diciottenne Francesca Mambro, il cui destino assieme criminale e drammatico era stato orientato da quell’episodio”.
“Di tutte le azioni delinquenziali compiute dal terrorismo di sinistra nei confronti di ragazzi di destra quella di Acca Larentia resta forse la più clamorosa, persino più del brutale agguato al diciannovenne milanese Sergio Ramelli, che ci si misero in cinque ad annichilirlo a colpi di catene di bicicletta”, scrive ancora Mughini, sottolineando di aver assistito con piacere al fatto che alla commemorazione sia andato anche l’assessore Miguel Gotor, “per dire di un uomo del Pd che stimo. Idealmente parlando – ha chiarito il giornalista – c’ero anch’io a quella commemorazione, com’è dovere di un cittadino repubblicano quando ci sono da ricordare delle vittime innocenti. E nella mia memoria non conta che le vittime innocenti fossero state di destra o sinistra. Erano vittime innocenti, punto e basta”.
Quanto al “punctum dolens, quella marea di braccia levate nel saluto romano nel gridare ‘Presente’ alla pronunzia dei nomi di quei poveri ragazzi”, Mughini sembra persino tediato di doverne parlare: “Sì, sì, lo so che è un contrassegno del fascismo e che la nostra Costituzione non lo gradisce affatto. Da questo a dirne che è un segnale che tramortisce e offende ‘l’antifascismo’ duro e puro ce ne passano di chilometri. Ho visto le foto di quei militanti missini o ex missini che levava il braccio. La buona parte – sottolinea – gente oggi vicina ai sessant’anni e che magari erano stati compagni di idealità dei giovani missini assassinati a Roma. Quel braccio levato è innanzitutto un omaggio alla loro giovinezza e alla sua drammaticità, al fatto che c’era allora una larvata guerra civile tra i ventenni italiani dell’una o dell’altra parte”.
“Me la ricordo bene, benissimo, quella guerra civile. Me lo ricordo l’odio cieco da cui eravamo segnati gli uni e gli altri”, prosegue, raccontando di quella volta “che io e il giovane Benito Paolone (a Catania era il leader della Giovane Italia) venimmo espulsi entrambi dall’aula di un liceo dove si stava tenendo non ricordo più quale dibattito, e dove noi due stavamo urlando a squarciagola l’uno contro l’altro. Me lo sono ritrovato davanti Paolone trenta o più anni dopo e l’ho subito abbracciato. La nostra parte in commedia l’avevamo fatta, solo che quella commedia – la guerra civile fra i ventenni italiani – era bella e finita e per fortuna nessuno ammazzava più nessuno. Per tornare ad Acca Larentia – chiarisce quindi Mughini – non ho il benché minimo sussulto ‘antifascista’ nel vedere i nomi di quei poveri ragazzi del gennaio 1978 salutati dal braccio teso dei loro camerati di allora. Ho solo commozione a ricordare la loro sorte. E qualcuno non ci provi a farmi lezioni di antifascismo, una materia – conclude – in cui per la biografia intellettuale e morale che ho non accetto lezioni da nessuno”.