Il governo ha approvato in Consiglio dei Ministri il Documento di Economia e Finanza (di seguito la bozza del testo). La riunione è durata circa trenta minuti e ha portato a un accordo pressoché totale tra tutte le parti in causa.
Nel documento c’è un anticipo della Flat Tax voluta da Matteo Salvini, che sarà inserita nel documento del 2020. Insostenibile l’aliquota al 15% per il ceto medio richiesta inizialmente dalla Lega. Al momento nel testo si fa riferimento solo ai redditi fino ai 30.000 euro, con il discorso che sarà ripreso dopo le elezioni.
Mancano le norme per il rimborso ai truffati dalle banche. Il governo sembrava destinato a procedere seguendo la via indicata dal ministro Giovanni Tria. Il Mef ha pubblicato una nota sui rimborsi ma Palazzo Chigi ha fatto sapere che ci sono ancora dettagli da limare.
La buona notizia, che arriva direttamente da Palazzo Chigi, è che il governo sarebbe riuscito a rispettare anche le direttive dell’Unione europea. La seconda buona notizia viene dal fatto che non sono previste nuove tasse e non sarà varata una manovra correttiva. L’unica nota dolente sarebbe legata all’Iva, con il Movimento Cinque Stelle che ha chiesto certezze nel corso del Consiglio dei ministri.
Per il 2019 il governo prevede una crescita 0,1%, un sostanziale passo indietro rispetto alla prima previsione (+1%). La crescita potrebbe potenzialmente raggiungere lo 0,2% alla luce della politica economica espansiva varata dal governo con Quota Cento e Reddito di Cittadinanza ma anche con il Decreto Crescita, approvato al momento salvo intese.
Riportando le stime dell’Istat, il governo afferma come il numero di percettori del reddito e della pensione di cittadinanza ammonterebbe a 2 milioni e 706 mila individui, di cui 1 milione e 791 mila in età lavorativa. Tra questi, il 57%, poco più di un milione, sarebbe occupato. A fronte di questi numeri, però, viene stimato un aumento delle forze di lavoro riconducibile all’Rdc di 470 mila unità, all’incirca la metà dei percettori non occupati. Non solo. Il Documento sottolinea che un aumento esogeno della partecipazione al mercato del lavoro induce, di norma, un incremento del tasso di disoccupazione e una riduzione delle retribuzioni medie, come confermato dalle proiezioni per i prossimi tre anni. Nell’elaborazione delle stime, viene utilizzato il modello Item (il modello ecometrico del Mef). Per i primi due anni gli stipendi sono impostati come fissi. Al terzo anno sono lasciati liberi e l’effetto è una diminuzione rispetto ai livelli originari. La riduzione si verifica nonostante il provvedimento abbia fissato una soglia minima di retribuzione, pari a 858 euro, affinché una proposta di lavoro sia da ritenere congrua.
La soluzione del governo è una speranza: ‘È auspicabile che, nel medio-lungo periodo, l’effetto delle politiche attive nella forma di una maggiore offerta di formazione, possa agire sulle retribuzioni portandole al di sopra dei livelli dello scenario di base’. In merito a quota 100, il tasso di sostituzione annunciato si scontra con i numeri scritti nel Def. Nel Documento viene stimata una riduzione dell’occupazione rispetto allo scenario di base di 0,3 punti percentuali nel 2019, di 0,5 nel 2020, di 0,4 nel 2021 e di 0,3 nel 2022. Per il 2019 è previsto un tasso di sostituzione del 35%, dato che la misura sarà pienamente operativa solo nel quarto trimestre. Negli anni successivi, l’incidenza del turnover risulterebbe compresa tra il 70 e l’80%, comunque di gran lunga inferiore ai tassi dichiarati via via dal governo.
Per il reddito, nelle stime elaborate dal Ministero presieduto da Giovanni Tria, sono previsti costi per 7,1 mld nel 2019, 8,06 mld nel 2020, 8,32 per il 2021 e per gli anni successivi. Con quota 100, invece, si avrà un aggravio per le casse pubbliche di 3,78 mld per il 2019, di 7,86 mld nel 2020, di 8,4 mld nel 2021 e di 7,94 mld nel 2022.