È morto nella sua casa a Milano, per arresto cardiaco, Andrea Merloni, uno dei quattro figli di Vittorio, papà di Indesit, il colosso degli elettrodomestici venduto nel 2014 agli americani di Whirlpool.
Andrea aveva appena 53 anni, è stato presidente della holding Fineldo, che controllava il 41% di Indesit prima della vendita al gruppo americano. Grande appassionato di moto e yacht, passioni entrambi che tentò di trasformare in affari, provando a rilanciare lo storico marchio Benelli, ma senza riuscirci fino in fondo.
Sognatore, simpatico e intelligente, eterno “Peter Pan” dell’industria com’era stato soprannominato da qualcuno, era l’erede designato di papà Vittorio, come lui rigoroso ma anche audace, proprio come aveva chiamato il suo amato yacht dove viveva anche per mesi.
Senza mezze misure, un po’ controcorrente, senza figli, dopo la separazione dalla moglie Viola Melpignano aveva investito anche in Brema, famosissimo brand di giubbotti di Fabriano.
La storia della famiglia Merloni è strettamente legata a quelle delle omonime Industrie Merloni, fondate nel 1930 a Fabriano, in provincia di Ancona, da Aristide Merloni. Una piccola azienda a conduzione familiare che inizia a produrre bilance, fino ad arrivare agli inizi degli anni Cinquanta ad avere il 40% di tutto il mercato. Pochi anni dopo parte la produzione di bombole per il gas liquido e di scaldabagni, e vengono messi in commercio anche fornelli a gas da applicare alle bombole.
Merloni fa il primo salto e inizia a produrre in larga scala elettrodomestici. Nel 1960 crea il celebre marchio Ariston, col quale commercializza i prodotti che vende direttamente.
Continua la sua ascesa lunga decenni, diversificando e acquisendo. Si mette a produrre, con grandissimo successo, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, frigoriferi, congelatori, forni e piani cottura. Compra Indesit, Scholtès, Stinol e Hotpoint, per citarne alcuni.
All’apice del successo l’azienda arriva a contare circa 5mila dipendenti sparsi nei 10 impianti produttivi, 7 in Italia (Fabriano, Maragone e Santa Maria), Costacciaro, Gualtieri, Matelica, Nocera Umbra (Gaifana), Sassoferrato, e 3 all’estero (Finlandia, Svezia e Ucraina), 19 filiali in Europa, e 2 negli Stati Uniti e Australia, con un fatturato di 847 milioni di euro.
Nel 2008 il ramo del gruppo Antonio Merloni viene travolto dalla crisi, che porta alla chiusura di due stabilimenti, e al procedimento di amministrazione straordinaria, perché dichiarato insolvente in base alla Legge Marzano, avendo debiti per 543,3 milioni di euro. Nel 2010 si arriva a un accordo per il salvataggio e la reindustrializzazione dell’Antonio Merloni, che prevede interventi finanziari da parte del Governo e da quelli delle regioni Marche, Umbria ed Emilia-Romagna.
Nel 2014 il gruppo decide di vendere Indesit a Whirlpool, per una valorizzazione complessiva di 758 milioni di euro. Gli americani comprarono il 60% dell’azienda, corrispondente a un 66% di diritti di voto. Si dice che sia stato Andrea l’unico ad opporsi alla vendita di Indesit, come avrebbe voluto suo padre. I suoi fratelli, invece, non se la sentivano di sfidare i colossi dell’elettrodomestico a basso costo capaci di invadere i mercati europei.
Nel 2015 Merloni diventa a tutti gli effetti un’azienda internazionale. Registra un fatturato di 1,34 miliardi di euro, grazie alla commercializzazione di oltre 7,2 milioni di prodotti all’anno in oltre 150 Paesi e forte di 6.600 dipendenti in 33 Paesi diversi.
Indesit Company diventa leader in molti Paesi europei, tra cui l’Italia, il Regno Unito e la Russia, e oggi è il secondo produttore in Europa per quota di mercato, con circa 16mila dipendenti, 16 stabilimenti e 24 sedi commerciali nel mondo.
Oggi la situazione di Whirlpool in Italia è esplosiva. Dal primo novembre 2020 è stato decretato lo stop alla produzione nello stabilimento Whirlpool di Napoli. I dipendenti costretti a stare a casa, ma l’azienda assicura che “pagherà la piena retribuzione ai dipendenti fino al 31 dicembre 2020 con riserva di ulteriori valutazioni successive a tale data”.
Il premier Conte ha fatto sapere di aver messo a disposizione “qualsiasi soluzione economica e di aiuti come decontribuzione, equity, contratti di sviluppo, fondi Industria 4.0 e garanzia SACE”, ma l’ad Blitzer ha spiegato che non riescono a creare una prospettiva industriale per Napoli per rendere competitiva la produzione.