La lotta all’inquinamento causato dai sacchetti di plastica leggera viene scaricata sui portafogli dei consumatori. Invece di fornire alternative (ad esempio, sacchetti di carta o box in cartone), la normativa entrata in vigore il 13 agosto scorso stabilisce che dal primo gennaio tutte le buste di plastica, anche i sacchetti leggeri e ultraleggeri usati per gastronomia, ortofrutta e macelleria, non possano più essere forniti gratuitamente: gli esercenti che non lo faranno rischiano sanzioni dai 2.500 ai 100mila euro.
Dal primo gennaio le buste dovranno essere biodegradabili e compostabili con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile del 40%. Una percentuale che salirà al 50% nel 2020 e al 60% nel 2021. Inoltre, per le bustine da usare a contatto con il cibo sarà richiesta l’idoneità alimentare certificata. Misure queste sì, molto utili. Ma la tassazione senza fornire alternative è un errore perché – quantomeno nella grande distribuzione – non può produrre risultati in termini di riduzione di quantità o volumi. Del tutto positiva (e senza costi per il consumatore) è invece la norma decisa in un emendamento alla legge di bilancio che introduce il divieto di commercializzazione dal 2019 dei cotton-fioc in plastica non biodegradabile e l’eliminazione dal 2020 delle dannose microplastiche nei cosmetici.