Da un mese i Talebani hanno preso il controllo di Kabul, ripiombando l’Afghanistan indietro di venti anni. Non è passato il disorientamento diffuso fra gli alleati Nato per il tempismo e la strategia con cui gli Stati Uniti hanno gestito il ritiro delle truppe e aperto le porte al ritorno dei miliziani islamisti. Bruxelles, causa crisi afgana, ha dovuto rivedere le strategie sul fronte della politica economica visto che il dramma dell’Afghanistan costituisce un test cruciale per la solidarietà e la coesione dell’Unione. Il Consiglio straordinario Affari Interni del 31 agosto ha indicato una strategia bipartita. Da un lato le regole di ingaggio per la politica degli aiuti: in assenza di un riconoscimento ufficiale dell’Emirato islamico cui finora nessun Paese europeo ha aperto le porte, i Paesi membri dovranno inviare soldi e rifornimenti esclusivamente alle agenzie dell’Onu per aiutare la popolazione locale. Il nodo più intricato è dato dalle politiche di accoglienza. Veti incrociati hanno costretto a un compromesso al ribasso che prevede di dare priorità al sostegno dei Paesi limitrofi che più saranno esposti nei prossimi mesi ai flussi dei profughi afgani, dal Pakistan al Tagikistan, dall’Iran all’Uzbekistan. Una soluzione per creare una prima linea d’urto dell’ondata migratoria che tuttavia non definisce una strategia comune per accogliere in Europa i rifugiati politici in fuga dal regime.
Almeno 20 civili sono stati uccisi nella valle del Panshir, teatro di scontri tra i talebani e la resistenza guidata da Ahmad Massoud.
‘E’ impossibile fornire assistenza umanitaria in Afghanistan senza parlare con le autorità de facto del Paese. Credo che sia molto importante parlare con i talebani in questo momento’, ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in conferenza stampa dopo la riunione ministeriale a Ginevra che mira a raccogliere oltre 600 milioni di dollari di aiuti per le organizzazioni umanitarie da destinare al popolo afghano: ‘Non credo che se le autorità di un Paese si comportano male, la soluzione sia punire collettivamente un intero popolo’.
I talebani hanno assicurato per iscritto all’Onu accesso sicuro agli aiuti e libertà di movimento per gli operatori umanitari che operano in Afghanistan. Lo ha detto il vicesegretario Onu per gli affari umanitari, Martin Griffiths, che la settimana scorsa si era recato a Kabul, alla conferenza dei donatori di Ginevra. Griffiths ha letto una lettera del governo talebano che si impegna tra le altre cose a ‘levare ogni ostacolo agli aiuti, proteggere la vita degli operatori umanitari’ e a non entrare nelle basi dell’Onu e di altre ong, chiedendo aiuto alla comunità internazionale per la ricostruzione e la lotta al narcotraffico.
Vista la mancanza di sostegni diplomatici la diplomazia talebana chiede aiuto al Qatar per attivare gli indispensabili rapporti internazionali di cui il paese ha vitale bisogno. Ed ecco la visita a Kabul dello Sceicco Mohammad bin Abdur Rahman Al-thani, Vice Primo Ministro insieme, del Ministro degli Esteri del Qatar oltre al consigliere di stato sceicco Mohammad bin Ahmad Al-Mosnad. Il Qatar ha ‘esortato i funzionari afgani a coinvolgere tutte le parti afgane nella riconciliazione nazionale’.
Nel corso della visita a Kabul, il ministro degli Esteri del Qatar ‘si è congratulato con la leadership dell’EIA e con tutto il popolo afghano per la vittoria e ha sottolineato l’importanza di rafforzare le relazioni bilaterali e attirare più assistenza umanitaria internazionale’: hanno fatto sapere i social che sostengono il nuovo governo di Kabul.
Intanto l’Afghanistan è in grave crisi economica nonostante la ripresa delle importazioni di materie prime e di carburanti. Tutto costa troppo inoltre il sistema sanitario è sull’orlo del collasso. Mentre scarseggiano le forniture di medicinali il personale medico fatica a curare i malati inoltre in tanti settori gli stipendi non vengono più pagati da mesi.
Va detto che le prime mosse dell’esecutivo afghano confermano le contraddizioni del nuovo regime: separazione di studenti maschi e femmine nelle università, amnistia per i collaboratori dell’ex governo e dei Paesi Nato, e richiamo in servizio della polizia del deposto regime. Ai posti di blocco intorno all’aeroporto si sono visti tornare anche agenti della polizia già operativi sotto il governo Ghani, richiamati in servizio dopo che erano stati allontanati due settimane fa. I membri della polizia, dell’esercito e degli apparati di sicurezza del deposto regime dovrebbero essere tra i beneficiari di un’amnistia annunciata per tutti coloro che hanno collaborato con il deposto governo. Dirigenti talebani hanno detto che tali strutture dovrebbero essere integrate nel nuovo sistema di potere, anche se non è ancora chiaro come ciò avverrà e da dove verranno i finanziamenti per sostenere un apparato che comprende circa 600.000 persone, mentre il Paese fa fronte a una gravissima crisi finanziaria.
L’Italia ha pagato un prezzo alto per la guerra in Afghanistan: 53 militari deceduti, 700 feriti, e una spesa complessiva di 8,7 miliardi di euro per le missioni ‘Enduring Freedom’ e ‘Resolute Support’. Ammainata la bandiera l’8 giugno a Herat, dove era stanziata una parte consistente dei 900 militari sul campo, gli italiani sono rimasti in Afghanistan dando un contributo decisivo all’evacuazione dei civili da Kabul: nella seconda metà di agosto più di 5000 persone hanno lasciato il Paese alla volta di Roma. Ora due sono le principali sfide che si pongono di fronte al governo guidato da Mario Draghi. La prima: l’impegno italiano al fianco degli Stati Uniti in Asia centrale non è terminato. Dalla primavera del 2022 l’Italia sarà infatti alla guida della missione Nato in Iraq, dove oggi sono di stanza circa 1100 militari fra le basi di Erbil e Baghdad. Un compito ancora più oneroso alla luce della fine della missione in Afghanistan e del progressivo allentamento della presenza americana in Iraq. La seconda sfida è invece diplomatica e riguarda la presidenza italiana del G20. Le circostanze fanno del forum internazionale il palcoscenico più adatto a trovare una linea d’azione comune sul futuro dell’Afghanistan. Draghi ha già dichiarato di ritenere imprescindibile un dialogo con gli attori che hanno maggiore influenza nella regione, compresi due ‘rivali sistemici’ come Cina e Russia, così come la Turchia e il Pakistan. Il G20 straordinario sarà allora un importante banco di prova dell’atlantismo pragmatico che ha finora contraddistinto il Presidente del Consiglio. Le difficoltà sul piano interno del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca uscente Angela Merkel, entrambi alle prese con insidiosi appuntamenti elettorali, spalancano a Draghi una finestra di opportunità per prendere il timone della politica estera europea.
L’infelice conclusione della missione in Afghanistan ha altresì riaperto il dibattito sul riposizionamento dell’Europa all’interno della Nato e sull’esigenza di perseguire l’obiettivo di una ‘autonomia strategica’ e di una Difesa comune europea.
Se autonomia significa un maggiore contributo economico alla Nato, la Casa Bianca di Joe Biden non ha mai mancato di ricordare agli alleati europei l’impegno a spendere almeno il 2% del Pil per sostenere le casse dell’Alleanza. Come ha sottolineato il Segretario di Stato Antony Blinken nel suo primo viaggio in Europa lo scorso marzo, gli Stati Uniti ritengono che l’Ue non sia in grado da sola di tenere testa alla pressione militare ed economica di Russia e Cina.