Agenzie Fiscali. Draghi blocca il cambio dei direttori: Prima il parere dell’Avvocatura dello Stato e poi l’ok in Cdm

Nulla di fatto in consiglio dei ministri sulle nomine dei direttori delle Agenzie Fiscali. Il dossier sarà analizzato, probabilmente, la prossima settima quando è in calendario un nuovo CdM. Gli accordi sembrano, però, essere definiti e non dovrebbero esserci sorprese dell’ultima ora: il manuale Cencelli applicato alla lettera meno la pratica dello spoil system. Al vertice della macchina fiscale italiana sarà confermato Ernesto Maria Ruffini, in quota Renzi. Anche all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sarà confermato l’economista Marcello Minenna, vicino ai 5Stelle. L’unico cambio si profila ai vertici dell’Agenzia del Demanio. L’attuale direttore, Antonio Agostini, sarà sostituito con Alessandra Dal Verme, cognata del commissario all’Economia dell’Ue Paolo Gentiloni. Ma bisognerà aspettare ancora qualche giorno. Lo stop in consiglio dei ministri sembra che sia giunto direttamente dal premier Mario Draghi che, come racconta qualche presente che chiede l’anonimato, avrebbe alzato non poco la voce sui ‘cambi’ ai vertici delle agenzie fiscali perché irritato da uno strano attivismo di qualche membro del suo staff e di alti dirigenti di via XX Settembre. Il presidente del consiglio, raccontano, vuole analizzare bene il dossier e non vuole nessuna fuga in avanti: le presidenze delle agenzie fiscali, in questa fase storica, rivestono un ruolo fondamentale, è stato il suo ragionamento, per la ‘rinascita’ dell’Italia e non possono passare solo per soddisfare i desiderata di qualcuno. Tanto che il presidente del consiglio, prima di dare il via libera alle nomine, sarebbe pronto a chiedere un parere all’Avvocatura di Stato per evitare ricorsi e bloccare la macchina amministrativa statale. Tutti indizi questi che fanno pensare come il problema sia legato soprattutto al cambio al vertice dell’Agenzia del Demanio, attualmente guidata da Antonio Agostini.

L’accordo politico, sponsorizzato dal commissario Ue all’Econimia, Paolo Gentiloni, con il supporto, raccontano, di Giuseppe Chiné, Roberto Garofali e Antonio Funiciello vorrebbe Alessandra Dal Verme alla guida dell’agenzia di via Barberini. E qui iniziano i problemi che avrebbero portato Draghi a congelare la nomina e a chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato. Attualmente la Dal Verme ricopre il ruolo di dirigente dell’ispettorato generale per gli affari economici alla Ragioneria dello Stato. Una struttura che si occupa di “problemi economico-finanziari concernenti la cooperazione internazionale” e quindi prevede la sua partecipazione in rappresentanza del Ministero in seno alla delegazione italiana ai comitati finanziari e gruppi di lavoro presso OCSE, FISA, ESO, OIL, UNIDO, Organizzazione meteorologica europea, IUE, FAO, CERN, Cooperazione allo sviluppo presso Consiglio Dell’Unione Europea. Ora con il passaggio alla guida del Demanio la cognata di Gentiloni si troverebbe a gestire un bel pacchetto di interventi del Recovery Found.

Sulla Dal Verme pesa, infatti, una ‘incompatibilità’ sia di opportunità politica che tecnica. Innanzitutto c’è il nodo dell’ex presidente del consiglio: tra le incompatibilità dei commissari europei spicca proprio quella di non avere parenti o affini nei Paesi membri dell’Unione europea che gestiscono investimenti e risorse che hanno a che fare con fondi comunitari. E l’attività dell’Agenzia del Demanio riveste un ruolo fondamentale nella progettazione e realizzazione del Recovery Found. A questa si aggiunge una norma del Testo unico della dirigenza pubblica che statuisce che i dirigenti delle amministrazioni vigilanti non possono avere incarichi operativi negli enti vigilati. Insomma la Dal Verme, passando al Demanio, rivestirebbe il ruolo di vigilante e vigilata. Ma non solo: come si legge nel suo curriculum vitae pubblicato sul sito del ministero, è stata Presidente del Collegio Sindacale – Autovie Venete SpA e Componente effettivo del Collegio sindacale – Alitalia SpA. E se dovesse approdare all’Agenzia del Demanio sarebbe chiamata a dare tante spiegazioni sulle decisioni dell’Agenzia che in qualche modo investono anche questi due colossi. Su tutte l’affaire Atlantia e quindi Autostrade: un settore di interesse del Demanio che porterebbe la Del Verme, per le sue precedenti cariche in aperto contrasto con la direzione cui aspirerebbe. Il dossier Autostrade Spa è ancora lì aperto e con i grillini ancora sulle barricate potrebbe diventare un grosso problema per Mario Draghi.

La professionalità della Dal Verme non si discute ma non si comprende il pressing sfrenato del cognato Paolo Gentiloni a volerla a tutti costi alla guida del Demanio. Probabilmente si aspira a gestire la grossa mole di interventi cui è chiamata l’Agenzia nell’attuazione del Recovery Found. Oppure ad incidere su qualche dossier di pertinenza di via Barberini che potrebbe rispondere ad interessi di lobby o gruppi di potere. Due dubbi che hanno, probabilmente, spinto proprio il premier a congelare la nomina e chiedere lumi all’Avvocatura dello Stato.

L’avvicendamento rientra nel cosiddetto spoil system, regolato dalla legge n. 145/2002, che prevede come “le nomine degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione o degli organi equiparati degli enti pubblici, delle società controllate o partecipate dallo Stato, delle agenzie o di altri organismi comunque denominati, conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura, computata con decorrenza dalla data della prima riunione delle Camere, o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al Governo”. Di fatto ogni Governo entrante può porre a capo dei principali enti pubblici delle persone di fiducia anche, come nel caso di Minenna e Ruffini, confermando i vertici in essere facendo una valutazione di merito.

Ma sul tema bisogna ricordare una sentenza del tribunale del lavoro di Roma, del novembre del 2019, in cui  i giudici del tribunale del lavoro nel decidere sul caso sollevato dal direttore delle Dogane Giovanni Kessler pur cassando la richiesta di quest’ultimo sulle indennità percepite, hanno riconosciuto che la funzione del direttore dell’Agenzia non è un incarico politico ma bensì amministrativo dovendosi rispettare pertanto la durata contrattuale indicata nei tre anni. A sostegno di ciò i giudici hanno portato la convenzione stipulata tra il ministero dell’economia e l’Agenzia delle Dogane che ha durata triennale. In quel contesto Vincenzo Patricelli, coordinatore di Flp, aveva dichiarato come da “Flp da tempo afferma che i direttori delle Agenzie fiscali non dovrebbero essere soggetti a spoils system in quanto figure di gestione e non di indirizzo politico, ma essere valutati, come tutti i dirigenti, al termine del loro mandato e solo allora confermati o sostituiti”.

Ora bisogna aspettare il parere dell’Avvocatura e poi l’ultima parola spetta a Mario Draghi. Ma il pressing di Paolo Gentiloni per vedere la cognata alla guida dell’Agenzia del Demanio non si ferma nemmeno difronte a queste evidenze.

EB

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