Al Teatro San Ferdinando di Napoli, dal 28 novembre all’8 dicembre, in scena Enzo Moscato con ‘Festa al celeste e nubile santuario’

FESTA AL CELESTE E NUBILE SANTUARIO, testo e regia Enzo Moscato con Cristina DonadioLalla EspositoAnita MoscaGiuseppe Affinito. Luci Cesare Accetta,  musiche Claudio Romano, scena Clelia Alfinito, costumi Daniela Salernitano. Una produzione Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, Compagnia Teatrale Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo, in scena dal 28 novembre al 8 dicembre 2019, durata dello spettacolo 1h e 45’.

Enzo Moscatotorna a firmare la regia di ‘Festa al celeste e nubile santuario’, uno dei testi che all’inizio degli anni Ottanta ha dato vitale impulso a quella che e’ stata definita la nuova drammaturgia napoletana. Un’indagine su tre assurde solitudini, sui rapporti asfittici fra tre sorelle che vivono una condizione ‘isterica’, della quale assumono su di se’ le forme tipiche: mutismo, cecita’ e falsa gravidanza. Questa situazione da piccola tragedia quotidiana porta con se’ degli aspetti grotteschi ma anche un’antropologia legata alla condizione della donna,  e alla cultura magico-religiosa del popolo meridionale. Ma il testo richiama anche la forma del giallo, avventurandosi nei territori del gotico e del noir, senza dimenticare la ricca lezione linguistica dell’autore.

La drammaturgia napoletana di Enzo Moscato da sempre è  nel segno dell’era post-eduardiana e ne rappresenta, se non la continuità, gli sviluppi. La commedia rappresentata in scena, autentica nuova drammaturgia,  si stacca  dal filone pulcinellesco, per imboccare la strada della commedia realistica,  tragica e farsesca, ricercata nel linguaggio attraverso  arcaiche espressioni idiomatiche.

C’è il recupero della  dignità dialettale, senza concessioni, senza sudditanze, senza genuflessioni all’italico matriarcato linguistico. In altre parole tutti in scena si guardano bene,  e non si sognano,  daal’italianizzare quelle esplosioni vesuviane, ricche di musicalità, ma  incomprensibili per chi ha poca confidenza col napoletano. E’orgoglio linguistico che si rappresenta attraverso mimica rappresentativa e linguaggio.

Enzo Moscato in ‘Festa al celeste e nubile santuario’, non si pone troppi problemi di comprensibilità linguistica, confidando sulla complicità  espressiva e gestuale di Cristina Donadio, Lalla Esposito e Anita Mosca che  interpretano tre sorelle che vivono in un angusto basso napoletano, tra oggetti domestici e pettegolezzi. C’è anche una spicciola professione di fede, che va  dal culto della Madonna all’esaltazione della verginità.

Le tre ‘insolite’ nubili sorelle vengono  fotografate in un’esistenza banalmente quotidiana, ripetitiva, solo riscattata dall’esaltato culto per la Vergine Immacolata e dalla rigidissima condotta etico-sessuale che ne consegue. I loro rapporti personali sono  gerarchici e improntati a un sistema di diritti-doveri-poteri appartenenti al più tradizionale schema anagrafico-familiare.

I loro rapporti personali sono  gerarchici e improntati a un sistema di diritti-doveri-poteri appartenente al più tradizionale schema anagrafico-familiare: il comando assoluto è nelle mani di Elisabetta, la maggiore, l’inflessibile custode della virtù propria e delle sorelle, come della giusta obbedienza ai dogmi e ai ministri della Chiesa.

Subito dopo viene Annina, la visionaria, colei che afferma di ‘vedere’ e di ‘parlare’ con lo Spirito Santo, di ricevere ineffabili messaggi della Madonna e, tra questi, principalmente, quello che segnala, a più riprese, l’Evento, il Sacro Evento che sta per ‘realizzarsi’ sotto i loro occhi, tra le desolate mura del loro basso, in mezzo a prosaici detersivi, caramelle, forcine per capelli. In ultimo, c’è Maria, la muta,  totalmente priva di potere, ma anche forse l’enigmatico/oggetto/corpo del Miracolo, dell’imperscrutabile scelta divina.

Elisabetta perde gli occhi, indispensabile strumento del suo controllo, quasi una punizione divina inflitta alla sua miope sicurezza. Annina rifiorisce, nel cuore e nella carne, come baciata da una Grazia ciarliera e dispotica più che metafisica. Maria, da passiva ancella, si trasfigura gradualmente attraverso incredibili fenomenologie che sono Epifania della Virgo Incontaminata, l’eccelso modello a cui, da una vita, in varia misura, tendono o fingono di tendere a configurarsi i tre personaggi.

Attraverso  ingranaggi imprevedibili la  muta Maria, dopo un mestruo celeste, si scopre incinta. L’autoritaria  Elisabetta, come detto,  perde la vista. È il trionfo di  Annina la bigotta che, nel prodigio di Maria, vede il segno di miracolose predestinazioni.

Le tre femmine conquistano il favore del pubblico attraverso   le arti magiche d’una espressività tutta partenopea: con il gesto, la mimica e le  coloriture linguistiche.  Quando parliamo di coloriture linguistiche parliamo di coloriture dialettali e della bellezza dei suoni, vera parte integrante della ‘lingua napoletana’.

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