Al Via TREND Nuove Frontiere Della Scena Britannica: Al Teatro Belli dal 3 ottobre – al 17 novembre

La ventitreesima edizione di Trend – Nuove Frontiere della scena britannica, in programma dal 3 ottobre al 17 novembre 2024 presso il Teatro Belli, affronta temi centrali e urgenti come la violenza di genere e il ruolo della donna nella società contemporanea. Attraverso una selezione di testi che spaziano da autrici e autori emergenti a nomi affermati, il festival offre una prospettiva profonda e sfaccettata sulla condizione femminile, attraverso voci di donne forti e storie intense.

Si parte con ISMENE/ANTIGONE (Pale Sister) di Colm Toìbìn, una rilettura in chiave femminista del mito di Antigone, in cui Ismene, la sorella silenziosa, dà voce al conflitto tra obbedienza e resistenza, esplorando la lotta delle donne contro l’oppressione e la loro ricerca di autonomia in un mondo patriarcale. Segue PLEASE, FEEL FREE TO SHARE di Rachel Causer, che esplora i confini della condivisione personale nell’era digitale.

Penelope Skinner in EIGENGRAU affronta le dinamiche di genere, mettendo in luce come le donne lottino per l’autonomia e l’autodeterminazione in un mondo dominato da stereotipi maschili; mentre in FUCKED riflette sulla vulnerabilità femminile e la rabbia repressa, che esplora il modo in cui le donne affrontano il dolore e il trauma.

FAITH HEALER di Brian Friel indaga il potere e la fede, mentre MEAT di Gillian Greer affronta le conseguenze della violenza sessuale. FOUR MINUTES TWELVE SECONDS di James Fritz esamina l’impatto delle immagini private nel mondo pubblico, e WILD SWIMMING di Marek Horn offre una prospettiva ironica sulle relazioni tra i sessi. BAGLADY di Frank McGuinness offre una riflessione intima e personale sulla marginalizzazione femminile, raccontando la storia di una donna che ha subìto una violenza familiare e cerca di elaborarne il trauma; LEOPARDS di Alys Metcalf esplora la fiducia e il tradimento, e LELA & CO. di Cordelia Lynn racconta la storia toccante di una giovane vittima di tratta.

Chiudono il festival MUM di Morgan Lloyd Malcolm, un’esplorazione sulla maternità e la perdita, e BARBABLU’ di Hattie Naylor, che rivisita il mito in chiave contemporanea, affrontando il tema dell’abuso di potere.

Un’edizione, quindi, che promette di scuotere e ispirare, invitando il pubblico a interrogarsi sulle ingiustizie e sulle sfide che le donne affrontano oggi.

Trend si conferma un osservatorio privilegiato per riflettere sulle questioni di genere, offrendo al pubblico un’esperienza teatrale coinvolgente e provocatoria.

dal 3 al 6 ottobre

ISMENE/ANTIGONE

Pale Sister

di Colm Tóibín

liberamente tratto dall’Antigone di Sofocle

adattamento e regia Carlo Emilio Lerici

con Francesca Bianco e Eleonora Tosto

alla chitarra Matteo Bottini

produzione Teatro Belli

L’Antigone di Sofocle visto dalla prospettiva di sua sorella Ismene. Il testo segue infatti la donna mentre racconta la sua personalissima versione della famigerata sfida lanciata da sua sorella nei confronti dello zio di entrambe e re di Tebe Creonte, mentre aumentano le pressioni sulla stessa Ismene affinché agisca per vendicare sua sorella, o addirittura seguire il suo tragico esempio.

Pale Sister di Colm Tóibín (2019) è il titolo di una delle più recenti riletture di Antigone in chiave contemporanea – e dichiaratamente femminista – da parte di uno scrittore irlandese. Prima di lui già Seamus Heaney, Tom Paulin, Brendan Kennelly, Carl Aidan Matthews, tra gli altri, hanno sfruttato la tragedia come analogia per le divisioni che hanno dilaniato l’Irlanda a causa del dominio britannico.

Incentrato sulla figura di Ismene, di cui Tóibín prende le difese, Pale Sister è un monologo teatrale in cui il buon senso e la pacatezza di Ismene prevalgono sull’intransigenza di sua sorella Antigone. Solo all’apparenza una “pallida” copia di Antigone, oltre che simbolo di viltà, qui Ismene emerge invece come portatrice di testimonianza e simbolo del ruolo vitale che le donne possono svolgere nella trasmissione della memoria a seguito di conflitti violenti. Riflettendo su fatti di cronaca recenti e sul dilagare di una comunicazione sempre meno efficiente, questo primo esperimento teatrale di Tóibín propone un esempio di drammaturgia impegnata in cui evoluzione e movimento sono affidati alla pratica sapiente di un’articolata politica del silenzio. Tóibín prende gli elementi alla base della tragedia greca – sostanzialmente pietas e terrore – e, a questi, aggiunge istanze attuali come il genere, il potere ed il suo abuso e la contrapposizione tra il silenzio e la parola. La risposta, ponderata e delicatamente distillata, di Tóibín a Sofocle scava fino in fondo alle radici del coraggio. Come certe persone riescono a trovare dentro di sé la forza di seguire la propria coscienza trovandosi di fronte ostacoli insormontabili? Una questione molto attuale, soprattutto se vista attraverso gli occhi di una giovane donna impotente.

dal 7 al 9 ottobre

PLEASE, FEEL FREE TO SHARE

di Rachel Causer

regia Dafne Rubini

con Martina Gatto

traduzione Marco M. Casazza

direzione creativa Ivan Specchio

aiuto regia Lorenzo Guidozzi

luci Cecilia Sensi

foto Paolo Falasca

organizzazione Pamela Parafioriti

una produzione Esosementi

in accordo con Antonia Brancati srl

Sinossi

Alex, consulente web e social media, ha sviluppato una dipendenza per le bugie. Foto photoshoppate, personal branding aggressivo, l’ebbrezza dei like. Poi il padre muore. Il lavoro la costringe ad andare in un gruppo di supporto per il lutto e… all’improvviso il palcoscenico non è più un social, ma la realtà. E’ la situazione ideale per dare una nuova vita all’immagine di sé e non se la fa sfuggire – lo show ha inizio.

Man mano che la sua storia – o le sue storie – ci vengono propinate le sue bugie le si sfaldano davanti. Alex dovrà confrontarsi con ciò che si cela sotto la scintillante superficie: delle relazioni dolorose, un passato e le sue conseguenze, le cicatrici oltre i like.

Note di regia

Con la stessa rapidità in cui si svolge la menzogna di uno spettacolo, così si sfalda.

L’universo di Alex è continua proiezione di specchi, di alter ego, di impalcature che sostengono e proteggono le sue ombre. Le sedie sono posizionate, l’oratore è esperto e la luce è a favore. Il cerchio diventa il luogo in cui mostrarsi mano a mano, fin dove si è pronti, anche se non fino a fondo. La facciata di Alex è destinata a scomporsi, perchè è vero che le persone non cambiano… ma forse è vero anche che ciò dipende da quanto saldamente sono ancorate alle loro stesse menzogne.

dal 10 al 13 ottobre

EIGENGRAU

di Penelope Skinner

regia Federico Le Pera

con Lorenzo Terenzi, Luca Massaro,

Silvia D’Anastasio, Veronica Stradella

aiuto regia Elena Cozzi

costumi Valentina Basiliana

direttrice di produzione Ilaria Ragni

scenografia Roman Sersal

foto Pino Le Pera

traduzione Marco M.Casazza

produzione Società per Attori

Sinossi

Dal tedesco “grigio di fondo”, Eigengrau è una divertente tragicommedia sui temi della solitudine e del bisogno di relazioni autentiche. Rose, un’inguaribile romantica in cerca di lavoro, divide l’appartamento con Cassie, una femminista militante molto più concreta che la rincorre continuamente per saldare l’affitto. Rose va a letto con Mark, un pubblicitario della city, uomo metrosessuale e anaffettivo, che invece da lei vuole solo sesso. Unico punto in comune: anche Mark è agli antipodi col proprio coinquilino, Tim, un vecchio compagno di università che non riesce a trovare lavoro e custodisce in casa le ceneri della nonna appena morta. Tim e Cassie vengono inevitabilmente coinvolti nella storia di sesso/amore tra il riluttante Mark e la pressante Rose, col risultato che il quartetto si ritrova invischiato in una rete d’inganni ed auto-inganni senza fine. Tra legami e tradimenti, affiorano le paure e le ossessioni di una generazione che pare non aver più nulla in cui credere.

Note di regia

I personaggi si raccontano davanti ad una gigante lavagna nera, attraverso la quale prenderanno forma – per mano loro – i luoghi del racconto, ma anche su cui, gli stessi personaggi appunteranno pensieri taciuti e parole chiave di cui si condisce l’animo umano davanti a disavventure, dolori, amore, violenza. Il fil rouge che lega i protagonisti è dunque l’assenza di comunicazione. Nel mondo moderno per via di questa incapacità, stiamo troppo spesso mettendo da parte le nostre emozioni, che invece – seppur istintuali e controverse – se ben tradotte, nutrirebbero le nostra e l’anima altrui. Questo spettacolo è un grido muto. Una sottolineatura al fatto che continua a compiersi. Attraverso un linguaggio brillante e segni scritti, vorremmo restituire quanto impreparati si sia alla vita, quanto il bambino – prima ancora che l’adulto – abbia bisogno di spiegazioni alla miriade di “perché” in cui ci si imbatte, offrendogli così armi comunicative sufficienti ed aiutandolo a prendere le distanze da soluzioni sbrigative come la violenza o il distacco.

dal 14 al 16 ottobre

FUCKED

di Penelope Skinner

con Chiarastella Sorrentino

regia Martina Glenda

traduzione Francesca Romana degl’Innocenti e Marco M. Casazza

scene Sara Palmieri

aiuto regia Arianna Cremona

consulenza progetto sonoro Matteo Domenichelli

voce fuori campo Giuseppe Brunetti

direttore di scena Giovanni Piccirillo

foto locandina Anita Martorana

produzione Compagnia Mauri Sturno

Sinossi

F, in una spirale di flashback, ripercorre a ritroso il suo viaggio dall’adolescenza all’età adulta. Dalla stripper di oggi, in uno squallido locale la notte di Capodanno, torniamo fino alla sua verginità. Quelli di “puttana”, “fidanzata”, “vittima”, “troia”, “oggetto”, “vergine” sono i panni che veste lungo le tappe relazionali che fino ad oggi l’hanno “fottuta”.

Note di regia

In una stanza incasinata, un po’ come la proprietaria, ci apre il suo racconto F, l’anonima protagonista del testo di Penelope Skinner. F, oggi, è una spogliarellista senza un soldo in tasca con problemi di dipendenza. Ma F, oltre a questo è stata e continua ad essere moltissime altre cose. Mentre F legge un racconto che ha scritto a dodici anni, in cui una giovane contadina viene salvata dall’amore del valoroso Duca Randalf Fior di Leone, ci si rende subito conto di qualcosa: F è “fottuta” da molto prima di quanto potesse immaginare, è “fottuta” dal principio. Fucked parla di quanto sia forte l’internalizzazione del pensiero che prima o poi qualcuno verrà a salvarci così da poter vivere finalmente felici e contenti. Ma se non fosse realmente questo il segreto per il lieto fine? E se tutte le favole raccontateci da bambini non avessero fatto che portarci ancor di più fuori strada? Come in un racconto, attraverso una serie di capitoli, F ci porta nel suo processo di analisi e presa di coscienza di sé stessa. Ogni capitolo ha un titolo, o meglio, una definizione. Definizioni che le sono state appiccicate addosso, che darebbe il senso comune o che si è auto attribuita e che vengono presentate nel testo così come apparirebbero sulle pagine di un vocabolario. “I am human and I need to be loved, just like everybody else does”, così canta Morrissey sulle note di How soon is now? e così si sente la caotica protagonista. F vive nell’inguaribile sofferenza di chi crede che qualcuno altro possa regalarle più felicità di quanto lei stessa possa fare. Per questo motivo F incappa in atteggiamenti autodistruttivi che la portano all’autoincriminarsi proprio quando non dovrebbe. Si apre così, tra gli altri temi, una delicata riflessione sul mastodontico ruolo del senso di colpa delle vittime in situazioni di abuso. Fucked ribadisce ancora una volta, perché ancora ce n’è bisogno, quanto sia difficile essere una ragazza e stare al mondo. F cade, ricade e per ogni volta che viene “fottuta” eccola che rimbalza in piedi inarrestabile, regalandoci la speranza di poter cambiare il vecchio e noioso finale della favola in cui il cavaliere salva la donzella in pericolo.

Martina Glenda

dal 18 al 20 ottobre

FAITH HEALER

Il Guaritore

di Brian Friel

regia Riccardo De Torrebruna

con Emilio Dino Conti, Angela Sajeva,

Riccardo De Torrebruna

collaborazione al progetto Chiara Frigo

traduzione Carla De Petris

produzione Teatro di Dioniso

Sinossi

Frank Malone è un guaritore il cui dono è tanto volubile da rovinargli l’esistenza. Nove volte su dieci non succede nulla. Le domande sul suo potere divino lo perseguitano, sgretolano la sua identità fino a relegarlo in una degradante dipendenza dall’alcol. E se fosse solo un ciarlatano? In compagnia dei suoi complici, Teddy, il suo pirotecnico impresario e Grace, la sua sposa, o amante, torna in Irlanda dove è nato. Qui avviene la svolta che riesce a liberarlo dall’affanno, gettando una luce su ciò che lega profondamente questi personaggi, dato che ognuno racconta la verità a suo modo.

“Of all contemporary authors, there is no one I admire more highly than Brian Friel”. Peter Brook

Note di regia

Davanti a tre file di testimoni, come quelli che ogni sera rimanevano muti, sospesi, in attesa del miracolo, si presentano Frank, un guaritore dal potere volubile e intermittente, Grace, la sua tormentata compagna e Teddy, il suo funambolico impresario. Uniti da un disegno che ancora non riescono a comprendere, si prodigano, ognuno a suo modo, per offrire una versione degli anni in cui, a bordo di un furgone sgangherato, hanno percorso il limbo dei piccoli villaggi del Galles e della Scozia con la promessa di sollevare gli umiliati e gli offesi dalla sofferenza. Fino al ritorno in Irlanda, dove Frank è atteso dall’ultima prova del suo destino e gli altri sono chiamati a riempire il vuoto che egli ha lasciato.

Un thriller situato nella coscienza di tre personaggi scandagliata dalla magistrale scrittura di Brian Friel.

Restando assolutamente fedele ai tre monologhi del testo originale, la drammaturgia di questo nuovo, inedito adattamento, li tramuta in un dialogo a distanza, dove i tre protagonisti rivivono i conflitti e le dipendenze che li hanno tenuti insieme come un confronto dal ritmo serrato, impietoso e senza prova d’appello.

dal 21 al 23 ottobre

MEAT

di Gillian Greer

regia Giulio Mezza e Martina Glenda

con Caterina Grosoli, Giulio Mezza, Elena Orsini

traduzione Elena Orsini

aiuto regia Bruno Ricci

movimento Caterina Grosoli

scene Sara Palmieri e Fiammetta di Santo

video Editing Gaia Siria

progetto sonoro Gully

grafica Carlo Grosoli

col sostegno di La Cetra di Apollo

La blogger Max entra nell’ esclusivo ristorante di Ronan, il suo ex. Ronan, ora chef di prestigio, desidera ardentemente provarle il suo successo ma Max è lì con un piano preciso: informarlo della sua prossima mossa autoriale. Max nel suo nuovo libro scriverà di un evento traumatico che lì ha coinvolti e poi scissi. Ma eccoli ancora una volta insieme. Al ristorante. Ad affrontare la resa dei conti. Sarà possibile districare un passato condiviso quando i ricordi non coincidono? Meat è una storia di classe e di consenso in una società capitalistica e patriarcale fondata sulla cultura dello stupro. Stupro della terra, degli animali, della donna. Nessun mostro, un uomo e una donna normali che però si affrontano su fatti mostruosi e che lentamente vedono disintegrarsi davanti ai loro occhi definizioni che credevano scolpite nel marmo.

A ricordare che alle accuse di violenza si accompagnano sempre le opinioni di esterni osservatori, ecco comparire sulla scena un’altra donna, l’impeccabile cameriera Jo che guiderà un percorso culinario al confine con la mostruosità dei sensi. Nel mondo del politically correct di un ristorante di lusso, ecco imporsi un teatro di battaglia in cui si mangia, si urla, si vomita, ci si sputa in faccia la verità e la carne, sempre la carne. Carne come cibo primordiale, simbolo della morte, del perverso gusto dell’uomo di nutrirsi di essa, in un insondabile confronto tra il consumare e il consumarsi. Carne viva e carne morta, tra i nostri denti. L’unico obiettivo di una società capitalista carnivora è divorare: cibo/sentimenti. Ma quando tutto questo cibo finirà, ci mangeremo l’un l’altro?

Giulio Mezza e Martina Glenda

dal 25 al 27 ottobre

FOUR MINUTES TWELVE SECONDS

Quattro minuti e dodici secondi

di James Fritz

regia e traduzione Giancarlo Nicoletti

con Chiara Becchimanzi, Claudio Vanni

Flavia Lorusso, Samuele Ghiani

scene Alessandro Chiti

aiuto regia Giuditta Vasile

musiche Mimosa Campironi

disegno luci David Barittoni

coproduzione Altra Scena & Goldenart Production

In accordo con Arcadia e Ricono Ltd su gentile concessione di Berlin Associates Ltd

Quattro minuti e dodici secondi. Questa è la durata del video hard che, dal telefonino del diciassettenne Jack, è finito online ed è stato visto da mezzo milione di persone. Chi l’ha pubblicato? Jack giura di non averlo fatto. E sua madre gli crede. Ma può veramente fidarsi? Ed è vero, come dicono tutti, che la sua ex fidanzata è stata costretta a girare il video? Suo figlio è un mostro o è una vittima dell’era digitale?

Mescolando dramma e attualità, Quattro minuti e dodici secondi è un thriller mozzafiato estremamente contemporaneo, capace di gettare luce sulle insidie di un mondo in cui gli smartphone sono onnipresenti e nulla muore online, eccetto la reputazione. Per la prima volta in Italia, il testo di James Fritz è uno dei lavori di maggior successo del West End

londinese degli ultimi anni, nominato agli Olivier Award e rappresentato in numerosi paesi.

Sinossi

Diana è la madre del diciassettenne Jack, ragazzo estroverso e studente brillante, pronto per una maturità a pieni voti che gli consentirà di ottenere una borsa di studio in una prestigiosa università. Lei suo marito David non sono mai usciti dal quartiere sud della grande città in cui sono cresciuti, ma hanno grandi aspirazioni per il figlio.

All’uscita di scuola,Jack viene picchiato dal fratello maggiore della sua ex ragazza Lara, dopo che un video dei due adolescenti che fanno sesso è finito online e nel giro di una settimana è stato visto da mezzo milione di persone. Jack giura di non averlo caricato, di non averlo nemmeno mostrato a nessun altro, ma qualcuno deve averlo fatto. Peggio: la scena di sesso ripresa ha un che di violento, la mano di Jack tiene chiusa la bocca di Lara, che afferma anche di essere stata costretta e quasi violentata.

Diana cerca in tutti i modi di proteggere il suo bambino, e quale madre non si batterebbe come una leonessa per il suo cucciolo, ora che viene messo seriamente a rischio il suo futuro? Man mano che Diana si determina ad andare a fondo, dubitando di tutti e cercando la verità, diventa evidente che Jack (che non appare mai in scena) forse non è una vittima innocente ma un colpevole, e che in un’era digitale di vite nascoste le persone che amiamo potrebbero non essere sempre chi pensiamo che siano. In un turbine di recriminazioni, bugie e dubbi etici, l’interrogativo si fa sempre più grande: cosa deve fare una madre? Difendere il figlio o il proprio genere femminile?

dal 29 al 31 ottobre

WILD SWIMMING

di Marek Horn

regia Collettivo Transitorio

delle Immersioni

con Martina Massaro, Evelina Rosselli

traduzione e adattamento Elena Orsini Baroni

scene e costumi Caterina Rossi

disegno luci Camilla Piccioni

produzione esecutiva PAV

 

Una spiaggia deserta nel Dorset, Inghilterra. È il 1618. Ma anche il 1854. O il 1920…

Dalle acque gelate, emerge trionfante la possente figura di un intrepido gentiluomo inglese.

È Oscar! L’eroe della nostra storia.

(Voci femminili urlano) “Oscar è tornato! Grazie al cielo!”

Ha appena terminato il suo primo anno di università. È un giovane poeta alle prime armi, di ritorno nella terra dei suoi padri, dei suoi nonni, dei suoi avi.

E poi…Poi c’è Nell. Nell, beh…Nell non si è mai allontanata da lì. Nell è in quello che potremmo definire un “anno sabbatico”. Questo perchè, in età elisabettiana, finché non ti sposi, tutta la tua ca**o di vita è praticamente un anno sabbatico.

Wild swimming è un testo scritto da un uomo a difesa degli uomini. Un testo che indaga, attraverso un viaggio nel corso dei secoli, la crisi del privilegio maschile e della mascolinità. A portarlo in scena sarà un collettivo di artiste che ha deciso di incarnare il punto di vista degli uomini al punto da vestirne, letteralmente, i panni.

Riusciranno a difendere le istanze del maschile o non sapranno resistere alla tentazione di sabotarle?

dal 2 al 3 novembre

BAGLADY

di Frank McGuinness

regia Gabriele Furnari Falanga e Diletta Masetti

con Diletta Masetti

disegno luci e collaborazione artistica Riccardo Leonelli

traduzione Carlo Emilio Lerici

produzione Povero Willy

Sinossi

Baglady è un’opera teatrale scritta dal drammaturgo irlandese Frank McGuinness. Si tratta di un monologo intenso e toccante, incentrato sulla figura di una donna emarginata, la “Baglady”, che racconta frammenti della sua vita e delle sue esperienze traumatiche. Il monologo si svolge in un contesto indeterminato, probabilmente una stanza vuota o un angolo della strada, dove la protagonista, con addosso tutti i suoi averi, svela lentamente le sue paure, le sue sofferenze e i segreti più oscuri del suo passato. Attraverso una narrazione frammentata e spesso caotica, la Baglady riflette sulla violenza psicologica e fisica subita, sul suo senso di isolamento e sulla sua disperata ricerca di dignità. Il personaggio parla a se stessa e al pubblico, oscillando tra momenti di rabbia, tristezza e persino ironia. Con il suo linguaggio poetico e crudo, McGuinness offre una meditazione profonda sulla solitudine, la vulnerabilità e l’invisibilità delle persone ai margini della società. Baglady è un’opera che sfida gli spettatori a confrontarsi con le realtà dolorose dell’emarginazione e del trauma, portando alla luce il potere della resistenza e della sopravvivenza umana.

Note di regia

Baglady è un viaggio intimo e straziante nell’animo di una donna spezzata, un monologo che si svolge su una soglia tra realtà e memoria, dove il tempo si dissolve e i ricordi diventano ombre tangibili. L’opera richiede una regia che sappia accogliere questo spazio fragile, creando un’atmosfera che amplifichi la tensione tra l’invisibile e il visibile, tra ciò che è stato perso e ciò che rimane, anche solo come frammento o eco.

La scena è semplice, quasi spoglia, una zona liminale che non appartiene a nessun luogo preciso, ma potrebbe essere ovunque: una stazione, una strada abbandonata, o un angolo dimenticato della mente. Gli oggetti, come la borsa che la protagonista porta con sé, diventano talismani carichi di significato, simboli della sua vita passata e dei suoi segreti taciuti. Ogni gesto della donna deve avere una qualità rituale, come se ogni azione fosse intrisa di una necessità dolorosa e silenziosa.

La luce, a tratti morbida e a tratti tagliente, deve seguire il ritmo interiore del testo, come se le parole stesse della donna la modellassero, portandoci dentro e fuori dai suoi ricordi.

La protagonista è un “fantasma vivente”, la sua vulnerabilità non cerca mai di suscitare pietà. Le sue parole sono come frecce che puntano verso il pubblico, talvolta dolci, talvolta spietate, e attraverso di esse emerge il ritratto complesso di una donna che lotta disperatamente per non scomparire del tutto.

In questa messa in scena, Baglady non è solo il racconto di una vita dimenticata, ma diventa un grido universale contro l’oblio, un invito a guardare nell’abisso della sofferenza umana e a riconoscere, anche solo per un momento, l’umanità che vive nelle ombre.

dal 5 al 6 novembre

LEOPARDS

di Alys Metcalf

traduzione e regia Enzo Aronica

con Riccardo Bàrbera e Liliana Mele

musiche originali Alessandro Molinari

Due sconosciuti si incontrano per la prima volta nel bar di un hotel.

Ma l’incontro non è casuale.

Ben e Niala. Incontro tra generi, generazioni e geni. E colori.

Due ambienti, due non luoghi dove pubblico e privato perdono i loro confini, nella più classica delle notti buie e tempestose: fuori, la Natura reclama il suo ordine.

Ma non lo avrà.

LEOPARDS è l’opera d’esordio di Alys Metcalf, andata in scena in prima mondiale al Rose Theatre, Kingston, London, nel settembre 2021.

dall’8 al 10 novembre

LELA & CO.

di Cordelia Lynn

tratto da una storia vera

ideato e realizzato con Desara Bosnja e la 1989 Productions

regia Maurizio Mario Pepe

con Giorgia Salari e Francesco Bonomo

aiuto regia Cecilia Di Giuli

scenografia e costumi Nicola Civinini

produzione Collettivo Amori Difficili

Sinossi

Ognuno ha una ragione per raccontare una storia e tutti costruiamo una narrazione attorno alle nostre vite. Ma solo alcune voci vengono ascoltate veramente e spesso le storie sono raccontate da uomini. Alcune donne non riescono mai a raccontare la loro storia perché sono state messe a tacere dalla paura, dalla violenza o dalla vergogna. Lela è una di quelle donne. Ma ora le parole prorompono dalla bocca di Lela, raccontandoci la vita di un piccolo villaggio di montagna, un luogo dove le donne, cantando, si prendono cura dei bambini e dei vecchi. Cantano la nascita e il trapasso mentre “gli uomini gestiscono la parte in mezzo”. Ci racconta di come ha incontrato un socio in affari di suo cognato, che l’ha portata oltre confine in un luogo in guerra dove Lela vivrà la guerra per le strade e per il suo corpo. La commedia bruciante di Cordelia Lynn è consapevolmente sfuggente. E’ un monologo, ma ha un cast di due attori. La commedia, a detta dell’autrice, è “basata su una storia vera”. Ma, come dice Lela, a volte le storie sono una bugia ma “possono diventare verità a furia di raccontarle”. Tutto dipende da chi racconta la storia e da come la racconta. In teatro, avvolti dai drappi di velluto rosso, dal buio e dai giochi di luce, crederemo a tutto il racconto, mentre nel mondo reale, continueremo ad andare in giro con gli occhi ben chiusi, preferendo di restare all’oscuro.

Note di regia

Il testo prende vita attraverso una coreografia verbale, in cui le parole sono fisicamente lanciate avanti e indietro nel modo più energico, con la storia di Lela sempre interrotta, in un modo o nell’altro, da uomini. Vi è una violenza all’interno del linguaggio, e le interruzioni sono messe in scena come mezzo attraverso il quale viene trasmesso il messaggio della violenza patriarcale e della mercificazione dei corpi. Così, il palco è quasi vuoto per lasciar spazio alle parole, all’azione ed emozione che vi si svolge. In conclusione il testo è impegnativo per una ragione ben chiara: Lela & Co è un’opera teatrale che esige qualcosa che va al di là dell’attenzione e della simpatia; esige che si ascolti-veramente ciò che viene detto-e che poi si vada oltre, fuori dal teatro, per cambiare a cominciare da noi stessi.

Maurizio Mario Pepe

dal 12 al 14 novembre

 MUM

di Morgan Lloyd Malcolm

regia e luci Roberto Di Maio

con Manuela Parodi, Elena Radonicich

Tiziana Avarista

traduzione Manuela Parodi

con il sostegno di ZIP_Zone d’intersezione positiva

con il supporto di Artisti 7607

Sinossi

“Mum” è un viaggio febbrile nella complessità della mente materna, senza censure, che mostra senza paura la complessità del delicato rapporto madre-figlio.

E lo fa partendo dalla sera in cui Nina, affamata di sonno, decide di lasciare suo figlio di 3 mesi con suo marito e la suocera.

Questo spettacolo cambia audacemente tono, seguendo tre madri ed esplorando

l’esaurimento, il panico e il senso di inadeguatezza.

Nina si ritrova in un incubo tremendo in cui è lei stessa l’artefice delle proprie paure.

Note di regia

Uno dei periodi della vita a maggior rischio per le donne è rappresentato dalla gravidanza e dal post partum. La depressione post partum colpisce circa 1 donna su 6.

Eppure la maternità viene ancora descritta quasi esclusivamente come un momento di grande serenità, tenerezza e realizzazione. Gli aspetti contraddittori e le ambivalenze dei sentimenti materni vengono ancora ignorati e, in gran parte, censurati,

alimentando uno stigma che porta le donne a sentirsi sempre più sole, inadeguate e

“anormali”. “Mum” mette in scena il “labirinto” psicologico in cui Nina è incastrata, un labirinto di cui non si vede la fine, in cui tutto appare ambiguo e inafferrabile, dove non esistono chiari confini tra la realtà e la finzione, tra il presente e il passato, tra i ricordi e le paure. Tutto questo caratterizzerà la messa in scena da un punto di vista scenografico.

Lo spazio scenico/teatrale si smonterà durante lo spettacolo in vari pezzi seguendo lo stesso iter della psicologia della protagonista ribaltando completamente il punto di vista e la prospettiva. L’approccio simbolico e astratto all’estetica dello spettacolo si contrapporrà al lavoro attoriale e di direzione delle scene minimale e realistico. Nessun manierismo, nessuna fiction. Un lavoro crudo e credibile per arrivare dritti alla pancia degli spettatori.

dal 15 al 17 novembre

BARBABLU’

di Hattie Naylor

regia Giulia Paoletti

con Edoardo Frullini

traduzione Monica Capuani

produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri

Sinossi

Barbablù è un seduttore, ammaliatore, provocatore. Un intelligente galantuomo che ci sa fare con le donne, soprattutto con alcune. Un predatore che passeggia e fiuta la preda ancor prima che essa diventi tale. Un giocatore competitivo che contempla la vittoria come unico finale possibile. Barbablù osserva e ammicca. È gentile e premuroso. Fa un passo alla volta e non si concede mai subito e mai del tutto. Ascolta e risponde al bisogno più intrinseco. Accarezza e coccola. Desidera e idealizza. Crea connessioni perfette. Ama. Barbablù ha bisogno di sentirsi forte e superiore. Non scende dentro di sé. Non risponde alle domande. È vulnerabile e non sostiene la cura dell’altro. Barbablù tesse la sua (di lui, di lei) gabbia. È in trappola. Per non esplodere dentro, esplode fuori. Barbablù violenta, tortura, uccide. Vince.

Note di regia

Non si può combattere il male rimuovendone solo l’effetto, non si può annientare la malattia eliminandone il sintomo, non si può abolire la violenza sopprimendone la manifestazione. I numerosi tentativi contro la violenza di genere agiscono, nella maggioranza dei casi, sull’evento e sull’atto che è già stato compiuto o subìto. Barbablù è, invece, il pretesto per dar voce all’esplorazione degli strati più profondi e primordiali di comportamenti e personalità che si trasformano da apparentemente sani a malsani e patologici. Barbablù ha senza dubbio una visione distorta delle relazioni, dei sentimenti, del sesso. Ma qual è il limite oltre il quale il consentito diventa irrispettoso, violento, illegale? Le donne di Barbablù sono intrinsecamente già vittime. Sono vittime di personalità probabilmente troppo fragili, di famiglie in cui la forza femminile è sempre stata assecondata a desideri altrui, di relazioni in cui la dimostrazione del sentimento e del bene era sinonimo di sopportazione e tolleranza, di contesti in cui il senso di inadeguatezza affibbiato loro era considerato normale, di società in cui valutare un essere umano superiore o inferiore rispetto ad un altro è regolare. In ogni atteggiamento, in ogni gesto, in ogni parola, può insinuarsi quel meccanismo di gioco-forza in cui ogni relazione deve necessariamente prevedere che ci sia un vincitore e un vinto, un predatore e una preda, un carnefice e una vittima. È proprio questo gioco-forza che emerge dalla penna di Hattie Naylor e che ritengo necessario indagare e approfondire. Entrambi i partecipanti conoscono istintivamente le regole ma pochi osano infrangerle per paura di scendere in territori sconosciuti in cui la vulnerabilità è considerata la vera debolezza. È così che i due diventano avversari e finiscono per far sì che i loro ruoli arrivino perfino a confondersi. Non considerando la giustificazione neanche come remota possibilità, il tentativo è la comprensione del reale aspetto di Barbablù, per poter prendere coscienza della causa che sta alla base di questi comportamenti, riconoscerla, scegliere di annientarla, con la certezza che estirpare la radice di questo dualismo è difficile ma non impossibile.

 

Giulia Paoletti

Gli Autori

Penelope Skinner

Drammaturga e sceneggiatrice britannica, nota per le sue opere teatrali che affrontano tematiche contemporanee, spesso con un’attenzione particolare alle questioni di genere e al femminismo. È emersa sulla scena teatrale londinese con la sua opera Fucked nel 2008, che ha attirato l’attenzione per il suo approccio crudo e realistico alla sessualità e alle relazioni. La sua scrittura è riconosciuta per la capacità di mescolare la commedia con temi seri e per la rappresentazione di personaggi femminili complessi e sfaccettati. Skinner continua a essere una voce rilevante nel panorama teatrale e culturale britannico.

 

Rachel Causer

Scrittrice, performer e creatrice teatrale residente a Londra. Ha studiato presso il Mountview Academy of Theatre Arts, dove ora insegna, e ha proseguito la sua formazione come drammaturga in diversi teatri londinesi, tra cui Theatre 503, The Arcola e The Criterion Theatre. È la fondatrice di Scatterjam, una compagnia che si concentra sulla produzione di opere femminili, caratterizzate da un umorismo cupo e un impegno sociale e politico. Rachel ha scritto diverse opere teatrali, tra cui LIPPY e Please, Feel Free to Share, quest’ultima presentata al Pleasance Courtyard durante l’Edinburgh Fringe Festival 2022 e finalista per il Popcorn Writing Award 2021.

Colm Tóibín

(Enniscorthy, Irlanda 1955) ha studiato Storia e letteratura inglese all’University College of Dublin. A venti anni ha cominciato a viaggiare, prima in Spagna, poi in Argentina, in Sudan, in Egitto, negli Usa. Giornalista, saggista e romanziere, è considerato uno dei maggiori scrittori irlandesi contemporanei. Tra i suoi libri tradotti in italiano ricordiamo: Sud (Fazi, 1999); Il faro di Blackwater (Fazi, 2002) e Il testamento di Maria (Bompiani 2014), finalisti al Booker Prize; The Master (Fazi, 2004), vincitore dell’IMPAC Award; Madri e figli (Fazi, 2007); Fuochi in lontananza (Fazi, 2008); Brooklyn (Bompiani, 2009), vincitore del Costa Novel Award; La casa dei nomi (Einaudi 2018). Tóibín è stato inoltre direttore di due riviste irlandesi, “InDublin” e “Magill”, e ha collaborato a “The Sunday Independent” e “The London Review of Books”. I suoi libri sono stati tradotti in circa venti lingue.

 

Brian Friel

(1929-2015) E’ stato uno dei più importanti drammaturghi irlandesi del XX secolo. Nato a Omagh, nella contea di Tyrone, Friel è cresciuto a Derry, un’esperienza che ha influenzato profondamente la sua scrittura. Ha iniziato la sua carriera come insegnante di scuola, ma nel 1960 decise di dedicarsi completamente alla scrittura. Friel ha raggiunto la fama internazionale con la sua opera Philadelphia, Here I Come! (1964), che esplora le difficoltà di emigrare dall’Irlanda. Il suo lavoro più celebre, Dancing at Lughnasa (1990), è ambientato negli anni ’30 e racconta la storia di cinque sorelle in una piccola città irlandese, vincendo numerosi premi, tra cui il Tony Award per la miglior opera teatrale. Le opere di Friel spesso esplorano temi come l’identità, la memoria, e la comunicazione, e sono note per il loro lirismo e profondità psicologica. Friel è stato anche il co-fondatore della Field Day Theatre Company, una compagnia teatrale che ha contribuito a ridefinire il teatro irlandese. Considerato uno dei grandi drammaturghi del mondo di lingua inglese, è spesso paragonato a Anton Čechov per la sua capacità di catturare la complessità della vita quotidiana e delle relazioni umane.

 

Gillian Greer

Drammaturga di origine irlandese, nota per il suo approccio incisivo a temi sociali complessi come il consenso, la classe e le relazioni personali. È cresciuta a Dublino e ha lavorato in diversi contesti teatrali tra l’Irlanda e il Regno Unito. Greer ha acquisito notorietà con la sua opera teatrale Meat, presentata per la prima volta al Theatre503 di Londra nel 2020. Questo lavoro esplora le sfide legate al consenso e alle relazioni in un contesto post-crisi economica e post-Cattolicesimo in Irlanda. L’opera è stata acclamata per la sua capacità di affrontare temi difficili con empatia e complessità.

James Fritz

Drammaturgo e sceneggiatore britannico noto per le sue opere teatrali innovative e provocatorie. Ha raggiunto il successo con la sua opera “Four Minutes Twelve Seconds” (2014), che ha ottenuto una nomination agli Olivier Awards come miglior nuova commedia. La pièce esplora temi complessi come la privacy, il consenso e le conseguenze della tecnologia digitale nella vita quotidiana. Fritz ha continuato a esplorare tematiche sociali attraverso opere come “Ross & Rachel” (2015), un monologo che decostruisce l’idea delle coppie iconiche, e “Parliament Square” (2017), che affronta il tema dell’attivismo politico e della disobbedienza civile. Questa ultima opera ha vinto il prestigioso James Tait Black Prize per la drammaturgia. Con una scrittura incisiva e un’acuta sensibilità verso le problematiche contemporanee, Fritz è considerato una delle voci emergenti più interessanti nel panorama teatrale britannico. Ha anche lavorato in televisione e radio, dimostrando la sua versatilità come scrittore.

Marek Horn

Drammaturgo britannico emergente, noto per la sua opera teatrale Wild Swimming. Nato nel Regno Unito, Horn ha studiato presso l’Università di Bristol, dove ha coltivato il suo interesse per la scrittura e il teatro. Wild Swimming, scritto nel 2017, è probabilmente il suo lavoro più celebre e ha ricevuto grande attenzione per il suo stile innovativo e il modo in cui mescola elementi storici con un linguaggio moderno. Horn è conosciuto per il suo approccio audace alla drammaturgia, spesso sperimentando con la forma e il contenuto. Oltre a Wild Swimming, ha scritto altre opere che esplorano temi contemporanei con un tocco di ironia e introspezione. Con il suo lavoro, Marek Horn si sta rapidamente affermando come una voce distintiva nella scena teatrale britannica.

 

Frank McGuinness

Drammaturgo e accademico irlandese nato nel 1953 a Buncrana, Donegal. Ha raggiunto la fama con l’opera Observe the Sons of Ulster Marching Towards the Somme (1985), che esplora l’esperienza dei soldati irlandesi nella Prima Guerra Mondiale. McGuinness è noto per i suoi drammi che trattano temi di identità, storia e conflitto, come Someone Who’ll Watch Over Me (1992). Oltre al teatro, ha adattato opere classiche e scritto poesie e romanzi, affermandosi come una delle figure più influenti della letteratura irlandese contemporanea.

 

Alys Metcalf

Drammaturga e attrice britannica emergente, nota per il suo lavoro teatrale Reel Life. Ha studiato recitazione alla Royal Welsh College of Music & Drama e si è affermata nel panorama teatrale per la sua scrittura vivace e coinvolgente. Reel Life, uno dei suoi lavori più noti, esplora temi di amore, perdita e connessione umana attraverso una narrazione intima e toccante. Metcalf è apprezzata per la sua capacità di creare personaggi autentici e storie che risuonano emotivamente con il pubblico.

 

Cordelia Lynn

Drammaturga britannica, nata nel 1988. È conosciuta per le sue opere teatrali che esplorano temi di politica, identità e relazioni umane con uno stile incisivo e contemporaneo. Il suo lavoro più noto è The Land of Might-Have-Been (2016), che ha ricevuto ampi consensi per la sua narrazione audace e la sua riflessione critica sulla società moderna. Lynn è apprezzata per la sua capacità di intrecciare argomenti complessi con una scrittura potente e innovativa. La sua carriera continua a crescere, consolidandola come una delle voci promettenti del teatro britannico.

 

Morgan Lloyd Malcolm

Drammaturga britannica, nota per il suo lavoro nel teatro contemporaneo. È nata il 25 novembre 1979 e ha studiato recitazione e scrittura alla Royal Holloway, University of London. È particolarmente riconosciuta per la sua opera Emilia (2018), che esplora la vita e le lotte di Emilia Bassano, una poetessa del Rinascimento spesso trascurata dalla storia. Emilia ha ricevuto ampi consensi per la sua rivisitazione audace e femminista della storia letteraria. Lloyd Malcolm è anche autrice di altre opere teatrali e ha lavorato come sceneggiatrice per la televisione e il teatro. È apprezzata per la sua abilità nel trattare temi sociali e storici con una narrazione coinvolgente e provocatoria.

 

 

Hattie Naylor

Drammaturga e sceneggiatrice britannica, nota per il suo lavoro nel teatro e nella radio. Ha studiato presso l’Università di Oxford e ha iniziato la sua carriera scrivendo per la radio della BBC, dove ha ricevuto riconoscimenti per le sue opere radiofoniche. Tra i suoi lavori più noti c’è The Night Watch (2010), una pièce che esplora il tema della Seconda Guerra Mondiale attraverso una narrazione intricata e coinvolgente. Naylor è apprezzata per la sua capacità di combinare narrazione e drammaturgia in modi innovativi, spesso affrontando temi storici e sociali con una prospettiva fresca e riflessiva. La sua carriera continua a essere segnata da una produzione variegata e di alta qualità.

 

Si ringraziano:

Antonia Brancati

per Colm Tóibín, Rachel Causer, Penelope Skinner,

Gillian Greer, Marek Horn, Alys Metcalf,

Cordelia Lynn, Morgan Lloyd Malcolm

Arcadia & Ricono

per Brian Friel, James Fritz, Frank McGuinness

Agenzia Danesi Tolnay

per Hattie Naylor

 

TREND

nuove frontiere della scena britannica

XXIII edizione

Direzione generale Carlo Emilio Lerici

Segreteria Organizzativa Caterina Botti e Francesca Cutropia

Direzione tecnica Roberto Di Maio

Progetto grafico: Francesca Cutropia e Paolo Roberto Santo

Orario spettacoli:

Biglietto Intero € 18

Biglietto Ridotto (under 26 e over 65) € 13

Carnet 10 ingressi (Abbonamento ridotto under 26 e over 65) € 90

Carnet 5 ingressi (Abbonamento intero) € 70

Carnet 10 ingressi (Abbonamento intero) € 120

Informazioni e prenotazioni 06 5894875

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Teatro Belli – piazza Sant’Apollonia, 11a – (Trastevere)

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