José Saramago, che non sarebbe mai arrivato a scrivere per intero un nuovo romanzo, dopo il profondo Caino, uscito nel 2009, scrive una seconda invettiva religiosa. Io arrivo dove posso ed al resto ci pensate voi, perché io vi do la materia su cui pensare anche se mi porterò nella tomba le mie conclusioni. E questa materia è rappresentata dalle armi, dall’interrogativo sul loro commercio, su come potessero venire vendute ai regimi dittatoriali. Profondamente pacifista quanto ateo, Saramago partiva da un paradosso: mai uno sciopero era stato fatto in una fabbrica di armi, eppure anche lì dentro doveva celarsi qualcuno che non amava la guerra. A Milano i padroni fecero sparare uccidendo al primo tentativo di sommossa. Nella guerra civile spagnola si narra che all’interno di una bomba fosse trovato un biglietto scritto in portoghese: non scoppierà mai. Chi l’aveva costruita l’aveva resa inoffensiva. Saramago aveva già dato il titolo a quest’opera rimasta incompiuta per la morte, a giugno 2010: «Alabardas alabardas, espingardas espingardas», prendendo a prestito un verso dello scrittore portoghese Gil Vicente. Ora sono giunte in libreria alcune decina di pagine, tre capitoli già pieni di cose, a promettere un testo che mai avremo, ma che è facile intuire sarebbe stato impegnato e senza sconti, come il premio Nobel ci ha abituati. ‘‘Alabarde alabarde”, così nella versione italiana. Pur in nuce ha alcuni caratteri già delineati: Arturo Paz Semedo, direttore vendite di armi leggere alla Produzioni Bellona, nome dedicato alla dea romana della guerra; Felicia, la moglie separata pacifista; l’amministratore delegato dell’azienda; gli zelanti archivisti. Una lettura di Malraux fa interrogare Arturo sul ruolo delle fabbriche d’armi; vuole capire se la Bellona ne ha vendute ai fascisti spagnoli e italiani negli anni Trenta del Novecento. L’amministratore delegato gli accorda il permesso di consultare gli archivi credendo che scriverà una storia dell’azienda, ma possiamo presumere che userà questa possibilità per ben altro. Quale sarà il suo percorso, comunque tortuoso e tormentato, lo possiamo delineare solo da alcune note che Saramago ci ha lasciato nel suo diario. Sappiamo che, nella testa dell’autore, l’istinto pacifista nato in Arturo fra Malraux e il desiderio di riconquistare la moglie si scontrerà con la bramosia di fare carriera, realizzare il sogno di passare alle «armi pesanti» della Bellona. Quando l’otterrà, Saramago lo farà «mandare a cagare» una volta per tutte da Felicia.
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