Albania, migranti e toghe rosse: ‘Ancora un altro stop ai trasferimenti’. Ira del governo: inaccettabile

Altro stop all’esperimento Albania. I giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma hanno sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento dei sette migranti trasbordati sulla nave Libra in Albania, rinviando la questione alla Corte di giustizia europea.

Non essendoci dunque, entro le 48 ore previste dalla legge, la convalida dei fermi disposti dal questore di Roma, egiziani e bengalesi sono liberi e, non potendo restare in Albania come previsto dal protocollo siglato da Giorgia Meloni e Edi Rama, torneranno in Italia, riportati a Brindisi.

Albania, nuovo stop delle toghe rosse ai trasferimenti di migranti col plauso dell’opposizione e somma indignazione del governo che parla di decisioni «inaccettabili». Di fatti eversivi» e di «sentenze emanate contro gli italiani». Dunque, il copione si ripete: le toghe rosse insistono a sabotare l’intesta Roma-Tirana bloccando il trasferimento di altri migranti in Albania, continuando a “mirare” ad alzo zero contro il governo e la sua politica sui migranti da espellere e rimpatriare. Una manovra di accerchiamento e di speronamento che punta a sbarrare la rotta intrapresa dal governo che non può che esasperare l’esecutivo che, ancora una volta in queste ore, non può che far registrare una reazione di aperta indignazione. Ancora una volta i giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma hanno sospeso la procedura di convalida in relazione ai trattenimenti dei sette migranti, egiziani e bengalesi, portati venerdì scorso in Albania. Alla luce del nuovo decreto “Paesi sicuri” varato dal governo i giudici chiedono l’aiutino da casa altresì detto “parere” della Corte di giustizia europea che però si esprimerà sul decreto del governo in merito ai “Paesi sicuri” solo a luglio prossimo.

E nel frattempo, però, con la sospensione della decisione delle toghe, allo scadere dei termini per la convalida dei trattenimenti, i migranti potranno essere riportati in Italia. Per un ottavo migrante, anche lui richiedente asilo e risultato vulnerabile, era già stato disposto il rientro nel Bel Paese. Va ricordato, inoltre, che lo scorso 18 ottobre i giudici della sezione specializzata in materia di immigrazione del tribunale di Roma non avevano convalidato i trattenimenti, emessi dalla questura di Roma, per i primi migranti che erano stati portati all’interno del centro di permanenza per il rimpatrio di Gjader. Ordinanza che è stata poi impugnata dal Viminale in Cassazione.

Centrodestra indignato, Tajani: «La scelta del tribunale Roma va contro la tripartizione dei poteri. Inaccettabile. Quando uno di questi poteri scavalca i propri confini mette in difficoltà la democrazia. Ci sono alcuni magistrati che stanno cercando di imporre la loro linea politica al governo. Questo non è accettabile”, ha tuonato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, commentando la sentenza del tribunale di Roma sui migranti in Albania, a margine dell’evento elettorale del centrodestra a Bologna.
A stretto giro il leader azzurro ha anche aggiunto: «Io rispetto tutte le decisioni della magistratura, non faccio polemica e non offendo nessuno. Dico soltanto che è una scelta che va contro la tripartizione dei poteri», sottolinea nuovamente Tajani, spiegando che «non è un magistrato che decide qual è un Paese sicuro. Perché non lo sa, perché non si occupa di queste cose. Se il governo che ha gli strumenti per farlo dice che un Paese è sicuro, allora c’è qualcosa che non funziona».
La separazione dei poteri nel diritto, è uno dei principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale.

Consiste nell’individuazione di tre funzioni pubbliche principali nell’ambito della sovranità dello Stato (legislazione, amministrazione e giurisdizione) e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello Stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario (gli stessi termini vengono usati anche per indicare la funzione a ciascuno attribuita), in modo da garantire il rispetto della legalità ed abbattere eventuali distorsioni democratiche dovute ad abusi di potere e fenomeni di corruzione.

«Un’altra sentenza politica non contro il governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza – ha fatto eco alle parole di Tajani il vicepremier e ministro Matteo Salvini sul nuovo stop del tribunale di Roma ai migranti negli hotspot in Albania –. Governo e Parlamento hanno il diritto di reagire per proteggere i cittadini, e lo faranno. Sempre che qualche altro magistrato, nel frattempo, non mi condanni a sei anni di galera per aver difeso i confini…» ha poi rimarcato in calce il leader del Carroccio, intervenendo a Bologna alla manifestazione promossa dal centrodestra a sostegno della candidata governatrice per l’Emilia Romagna Elena Ugolini. Prima di assestare l’affondo finale: «L’immigrazione incontrollata, il sistema dell’accoglienza di massa, costa all’Italia 2 miliardi l’anno. E nessuno mi toglie l’idea che quelle sentenze servano alle cooperative rosse per continuare a fare soldi sulla pelle di quella gente».

Duro anche l’affondo di Maurizio Gasparri. Con quello che sta avvenendo con i giudici «siamo di fronte a fatti eversivi… la dottoressa Albano che accusa il governo Meloni: siamo di fronte a fatti gravissimi, siamo a una Capitol Hill al contrario», ha affermato il capogruppo di Forza Italia, intervenendo in Senato, a fine seduta. Concludendo poi: «Noi siamo pezzi di Repubblica di fronte a pezzi di eversione».

E sull’onda dell’indignazione si colloca certamente anche il commento di Claudio Borghi, senatore della Lega, intervenendo in Senato sulla decisione odierna del Tribunale di Roma, ha a sua volta osservato: «Una volta il giudice poteva rimandare alla Consulta. Ora la nostra Costituzione non conta più nulla; ora rimandano all’Europa. Si è davvero passato il segno». Chiosando infine il suo intervento con un monito che ha surriscaldato la temperatura dell’Aula già incandescente tra i banchi dell’opposizione: «La prossima volta invece di portarli in Albania, li porteremo a casa di quel giudice. Ora è arrivato Trump e le cose cambieranno»…
Cosa farà ora il governo? La missione Albania serve come propaganda, meno nel concreto. Il Viminale, a quanto si apprende, si costituirà di fronte alla Corte di giustizia europea per sostenere le proprie ragioni dopo le decisioni dei giudici. Ma bastano pochi minuti dal deposito della sentenza che si scatena ancora una volta la bagarre politica.
Per questo Riccardo Magi di +Europa dice: “Siamo stati facili profeti. A questo punto, il governo ha l’obbligo di interrompere le deportazioni: non può e non deve esserci una terza missione prima del giudizio della Corte di Giustizia Ue sui paesi sicuri”. “E anche i sette… – aggiunge il senatore dem Filippo Sensi – Davvero incredibile l’inettitudine, l’incapacità, lo spreco, l’inutilità”. “Li avevamo avvertiti – aggiunge Nicola Fratoianni di Avs – Siamo di fronte a un film già visto”.
Intanto, quel che era già accaduto con il primo gruppo di dodici persone soccorse in mare dalla guardia di finanza e rinchiuse nel centro di Gjader è accaduto di nuovo. Con una novità, anzi due: la sostanziale disapplicazione del decreto Paesi sicuri varato in fretta e furia dal governo tra il primo e il secondo trasferimento nella speranza di evitare un nuovo flop e di alzare la voce con i magistrati. E il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, autrice della sentenza con la quale il 4 ottobre scorso ha stabilito che, ai fini del trattenimento di un migrante, un Paese può dirsi sicuro solo se lo è in ogni sua porzione di territorio.

Non è un unicum: alla Corte Ue si erano già rivolti in questi giorni il tribunale di Bologna, quello di Catania e ancora quello di Roma. Oggi la nuova decisione dei magistrati della sezione immigrazione della capitale. Un nuovo freno al progetto Albania, che sin qui è costato allo Stato migliaia di euro con centri vuoti seppur operativi da esattamente da un mese.

“Deve evidenziarsi – si legge in una nota del tribunale di Roma firmata dalla presidente della sezione immigrazione, Luciana Sangiovanni – che i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto – come in qualunque altro settore dell’ordinamento – la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”.

A chi racconta una altra versione, risponde l’Anm: “Di fronte alle nuove polemiche innescate dalle ultime decisioni dei giudici romani, mi preme solo ricordare che la primazia del diritto dell’Unione europea è l’architrave su cui poggia la comunità delle corti nazionali e impone al giudice, quando ritenga la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione, di applicare quest’ultima o, in caso di dubbio, di sollevare rinvio pregiudiziale, cosa che è stato fatto in questo caso dal tribunale di Roma. Non ci si può quindi lamentare del fatto che i giudici fanno il loro dovere né dare loro la colpa di inciampi nel perseguimento di politiche migratorie che spetta ovviamente al governo decidere ma che non possono prescindere del quadro normativo europeo e sovranazionale nel quale si collocano”, spiega il segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati Salvatore Casciaro.

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