Alitalia, casse vuote e rischio esuberi

Alitalia è ormai giunta al redde rationem. Dopo essere passato, nelle ultime settimane, sotto la lente d’ingrandimento degli advisor indipendenti Roland Berger e Kpmg, a partire da oggi il piano industriale sarà presentato dai vertici dell’azienda ad azionisti e stakeholder.

Il business plan sarà poi illustrato al governo  che a inizio gennaio aveva chiesto ad Alitalia un piano dettagliato e condiviso, e poi ai sindacati. La questione più spinosa è quella degli esuberi di personale, che potrebbero salire a 2mila unità o addirittura, come si vocifera, anche fino a 4mila.

 Nel corso dell’incontro con la compagnia di bandiera sul tema del rinnovo del contratto di lavoro nazionale tenutosi venerdì scorso, i sindacati hanno indicato la metà di marzo come deadline per la presentazione del piano industriale.

Dopo la prova muscolare dello sciopero del 23 febbraio scorso e al termine di una lunghissima trattativa, le parti hanno siglato un’intesa in cui si ribadisce la validità del ccnl e impegna azienda e sindacati a rinnovarlo dopo la presentazione del business plan, entro la fine di maggio. In pratica, l’accordo conserva il diritto agli scatti di anzianità bloccati dall’azienda dal primo gennaio scorso allo scopo di risparmiare sul costo del lavoro.

‘L’accordo raggiunto mi sembra un importante passo avanti per ricreare un clima costruttivo utile ad affrontare le prossime settimane. Voglio ringraziare i sindacati e l’azienda a nome del governo per il segnale di responsabilità che hanno dato’, ha affermato in una nota il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, su Twitter ha scritto: ‘E’ positivo l’accordo in Alitalia per il rispetto del contratto nazionale e le tutele per i lavoratori. Ma ora occorre un vero piano industriale che rilanci la compagnia’.

Anche la leader della Cgil Susanna Camusso ha espresso soddisfazione per l’accordo raggiunto: ‘Mi pare sia un risultato positivo che è quello di aver ribadito il contratto nazionale di lavoro. Poi c’è ovviamente il tema del suo rinnovo a primavera’.

Ora però il sindacato attende di conoscere quale sia il piano industriale, il piano di investimenti, quali scelte si vogliono fare, come si qualifica la compagnia, quali servizi offre al Paese. Mi sembrano,   ha sottolineato Camusso,  tutte domande per le quali non è chiaro quale sia la risposta. E noi vorremmo un piano industriale che indichi una strada di sviluppo.

Intanto il tempo stringe per Alitalia. La compagnia di bandiera ha archiviato il 2016 in profondo rosso (si parla di perdite di gestione vicine ai 600 milioni) e ora i riflettori sono tutti puntati sulla situazione della liquidità e sulla cassa della compagnia, che preoccupa anche il governo, come è emerso  nell’incontro con i sindacati al ministero delle Infrastrutture.

‘Sono problemi seri. Non si affrontano a cuor leggero. La preoccupazione c’è’, ha detto chiaro e tondo il ministro Graziano Delrio, a proposito della situazione di Alitalia.

La compagnia, intanto, ha assicurato di essere in linea con l’obiettivo di arrivare a una riduzione dei costi di almeno 160 milioni nel 2017. Obiettivo che però non comprende i risparmi legati alle misure sul costo del lavoro.

 C’è margine fino alla fine di marzo, al massimo fino a metà aprile, poi senza il via libera al piano di Unicredit e Intesa Sanpaolo, soci e creditori, i soldi in cassa potrebbero esaurirsi. Ed è per prepararsi a questo scenario estremo che sul tavolo dell’esecutivo è già pronta una soluzione: l’amministrazione controllata, un commissariamento in tutto e per tutto simile a quello del 2008. Con il quale il governo scriverebbe in prima persona la rotta di risanamento del vettore.

La procedura che scatterebbe,   corsi e ricorsi del capitalismo italiano,  è proprio quella fissata nel 2008, quando Alitalia era arrivata sull’orlo del fallimento: la ristrutturazione di grandi imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Si attiverebbe in caso di dichiarazione di insolvenza da parte del tribunale, richiesta dalla stessa società oppure, ipotesi più probabile, dai creditori. Dalla compagnia nessun commento ufficiale su questo scenario, nella consapevolezza che l’unico modo per evitarlo è ottenere dai soci il via libera al piano. Il lavoro dei consulenti, Roland Berger per la parte industriale e Kpmg per quella finanziaria, è alle battute finali. E già in settimana, forse dopo un passaggio lampo in consiglio di amministrazione, il documento potrebbe essere presento a governo, sindacati e azionisti. Comprese le banche, che devono assicurare le linee di credito necessarie a sostenerlo.

Le stime dicono che Alitalia, come dicevamo,  ha chiuso il 2016 con un passivo di circa 600 milioni di euro. La prima versione del piano quinquennale messo a punto dall’ad Cramer Ball prevedeva una riduzione dei costi per 160 milioni di euro nel solo 2017, esclusa la voce riguardante il personale. Ma dopo la verifica degli advisor, che ne hanno testato la sostenibilità in presenza di scenari avversi, e vista la pressione degli istituti di credito, l’entità dei tagli potrebbe aumentare. Fino a 400 milioni di euro a regime. Anche perché l’altra voce che determina il bilancio, i ricavi, è più aleatoria: nel 2015 quelli da biglietti venduti hanno subito una frenata importante e eventi poco prevedibili, da un attacco terroristico in Europa a una concorrenza ancora più aggressiva dei rivali, potrebbero condizionarli in negativo. Con una sforbiciata più energica alle spese sarebbe sufficiente incrementare il fatturato di 100 milioni di euro, obiettivo alla portata. Per poi aprire il capitolo personale: le voci parlano di circa duemila esuberi tra i dipendenti diretti, prospettiva che però sia i sindacati che il governo rifiutano.

Di solito le secche di liquidità delle compagnie si concentrano a novembre, mentre la primavera, quando molti prenotano le ferie, è un momento propizio. Alitalia però starebbe perdendo cassa al ritmo di mezzo milione di euro al giorno. L’ok al piano da parte di Intesa e Unicredit, nella duplice veste di soci (al 40%) e creditori, è quindi il primo decisivo puntello. Le banche devono accettare la conversione in azioni dei loro crediti e attivare subito nuove

 Generali ha già detto che non intende convertire il suo bond da 300 milioni. Se dovessero chiudere i rubinetti, di fatto un atto di sfiducia nei confronti di Etihad, un commissariamento entro Pasqua sarebbe la logica conseguenza. Il governo è pronto.

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