L’ultima virata per evitare il tracollo. Per anni quella di Alitalia è sembrata un’interminabile corsa per cercare di rimettere insieme i cocci. Corsa che allo stato attuale è risultata infruttuosa. Dal taglio delle rotte interne, alla carenza di aeromobili a lungo raggio, fino ai costi sproporzionati attribuibili ai carburanti, quelli relativi al nolo dei velivoli, e il tasto dolente degli esuberi, la compagnia affidata ora alle premure della trojka di commissari (Gubitosi, Laghi e Paleari) ha operato negli anni una lunga serie di scelte che si sono rivelate tristemente fatali. Scelte messe in fila, nero su bianco, all’interno di un documento messo a punto da un consulente aeronautico con un passato da manager di diverse compagnie aeree nazionali e internazionali, in possesso dell’AdnKronos.
Mentre si guarda alle mosse delle compagnie che hanno presentato la manifestazione di interesse (Lufthansa, la stessa Etihad, British Airways e, non ultima, Ryanair), e in attesa di capire se e come la compagnia tricolore riuscirà ad avere ancora il controllo dei cieli, una delle domande rimaste inevase fino a oggi è come si è arrivati alla situazione attuale.
I costi di Alitalia sono di almeno il 30% al di sopra di quelli delle altre compagnie – spiega il consulente aeronautico – parlo di legacies, aerolinee di bandiere, tipo Alitalia. Se il confronto si sposta a compagnie come Ryanair, parliamo del 60%.
Tra i principali sospettati delle cause del dissesto, come è noto, spiccano i costi legati al carburante. 700 milioni di euro, stando a quanto emerge dalla composizione dei costi riclassificati della gestione caratteristica di Alitalia, apparsa nell’ultimo bilancio depositato al 31/12/2015.
Per il carburante, Alitalia avrebbe pagato circa il 20% in più dei valori di mercato di quel tempo. Costi generati anche da un problema di potenza dei motori di alcuni Airbus A320/216, precisa l’analisi. Nello specifico, nella flotta AZ risultano 33 aeromobili A320 equipaggiati con motori CFM56/5B6-3, un modello che solitamente viene montano su un aeromobile più piccolo, ossia sull’A319. Rispetto al motore standard con cui è equipaggiato l’Airbus A320, il motore B6 series ha una spinta inferiore, ossia 23.500 libre contro le 27mila del B4. Ciò significa che quando il velivolo decolla al massimo peso del decollo, il gradiente di salita tra i due motori è diverso. Tradotto in termini pratici, questi velivoli ‘depotenziati’’ raggiungono a pieno carico la quota di crociera ottimale in un lasso di tempo molto maggiore, ‘pesando’ sui costi sopportati dalla compagnia per il carburante.
Per il leasing dei propri velivoli, nel 2015 Alitalia ha speso 600 milioni, con un rateo mensile del 15% maggiore rispetto alla media di mercato. Questo dovuto a condizioni economiche relative alle riserve di manutenzione e alle condizioni di riconsegna assolutamente spropositate e fuori da ogni logica di mercato, si legge nell’analisi. Per il noleggio di alcuni aeroplani, Alitalia si serve della formula ‘Wet Lease’ o Acmi, ossia un modello di noleggio che include l’aeromobile, l’equipaggio, la manutenzione del velivolo e la sua assicurazione. Una formula, spiega l’esperto, assolutamente antieconomica poiché solitamente viene realizzata per dare la possibilità alle compagnie aeree di far fronte a eventuali avarie di un aeromobile della propria flotta, sostituendolo per un periodo di tempo con un aeromobile operato da un’altra compagnia. Un meccanismo messo in atto per tutelare i diritti del passeggero.
Secondo l’analisi, Alitalia usa invece questa formula di noleggio con Etihad regional – la compagnia regionale svizzera Darwin – operando tratte che invece potrebbe operare in proprio con gli Embraer della propria flotta, con notevoli risparmi. Un esempio? Nel 2013 la compagnia ha pagato un costo orario Acmi pari a 2.200 euro/ ora volo su aeroplani Boeing 737/300 che sul mercato erano disponibili a 1.700euro/ora volo.
Altra principale causa del collasso di Alitalia è imputabile all’esternalizzazione della manutenzione, una scelta che ha contribuito a far lievitare i costi relativi alla manutenzione dei motori, alla cellula aeromobile, quelli per la manutenzione e la componentistica, ossia le attività che non sono effettuate direttamente sul velivolo e quelle sul motore in officina. I contratti di manutenzione di Alitalia sono tutti fuori mercato, tutti a danno della compagnia, sottolinea il consulente aeronautico, molto onerosi, sia quelli di leasing sia quelli di manutenzione.
Quanto alla manutenzione della cellula, i dati sono ancora più inquietanti. Per i velivoli di medio-corto raggio, Alitalia si serve di Atitech, società che fino al 2008 era controllata da Alitalia, poi privatizzata e quindi venduta a seguito del primo fallimento. La nuova Alitalia Cai entrò in Atitech con una partecipazione di minoranza. Per anni Alitalia ha pagato ad Atitech un costo esorbitante per la manutenzione della cellula degli aeromobili. 75 euro per ora di lavoro, poi ridotto a 55 euro. Una corretta gestione in house della manutenzione della cellula, specifica l’analisi, non supera invece i 40 euro per ora/lavoro. Per anni, Alitalia ha pagato quindi il doppio dei prezzi di mercato.
Per contenere i costi legati alla manutenzione dei propri motori, ad esempio, sarebbe bastato puntare su Alitalia Maintenance System, l’ex officina motori di Alitalia, oggi fallita. Se Alitalia riportasse in house la manutenzione primaria dei propri aeromobili, sia la cellula sia il motore, si potrebbero risparmiare circa 120 milioni di euro annui rispetto a costi di manutenzioni sostenuti nel 2015, si legge ancora nel documento. Inoltre, verrebbero re-impiegati migliaia di lavoratori oggi in cassa integrazione.
Spropositati anche i costi in overhead, ossi i costi indiretti, che ammontano a circa 635 milioni di euro, che includono oneri accessori per il personale (circa 60mln di euro), parcelle consulenti (40 mln), servizi finanziari, assistenza passeggeri e merci (74 mln), catering passeggeri, ed altro.
Nel 2015, per i soli oneri accessori per il personale, Alitalia ha speso 60 milioni di euro. Dati che si riferiscono, ad esempio, agli hotel per gli equipaggi in sosta, per il training del persona, la mensa dipendenti e il vitto rimborsato agli equipaggi in sosta. Per quanto riguarda la formazione, Alitalia utilizza Etihad tramite la sua scuola Etihad Academy, scuola non riconosciuta Easa (l’agenzia europea per la sicurezza aerea che si occupa del controllo del settore aeronautico dell’Ue).
Perché si addestrino i piloti cadetti ad Abu Dhabi occorrono per forza i cosiddetti controllori esaminatori certificati Easa – afferma il consulente aeronautico. Si può supporre che Alitalia mandasse i suoi ispettori ad Abu Dhabi, magari pagando anche per i servizi che Etihad forniva, quando tutto questo poteva farsi a Roma. Solo di training Alitalia ha speso 50 milioni, e una parte di questa somma si sarebbe potuta risparmiare.
Altro dato preoccupante sono i 40 milioni spesi in consulenza di terzi. Su altre voci, come catering o oneri diversi o sui costi per l’assistenza alle merci e ai passeggeri o sulle penalità pagate ad altri vettori, si sfiorano i 190 milioni di euro a carico di Alitalia. Cifre elevatissime che bisognerebbe verificare per capire a cosa si riferiscono.
100 milioni di euro sono imputabili al sistema di prenotazione e vendita dei biglietti. L’ex compagnia di bandiera per gestire le vendite ha acquistato di recente un sistema denominato ‘Sabre’, in sostituzione di ‘Arco’. Una migrazione obbligata e imposta da Etihad al momento dell’ingresso nel capitale della nuova Alitalia. Implementare il sistema è costato 57 milioni di dollari, più 35 milioni di euro annui, se si considera il numero di passeggeri trasportati da Alitalia nell’anno solare, più la tassa a passeggero pari a 1,45 euro da riconoscere a ‘Sabre’ come prevede il contratto.
Che il collasso della compagnia sia imputabile, in larga parte, a scelte imprenditoriali sbagliate, non è certo un mistero. Il crac della compagnia è imputabile sia ai top management sia alla prima linea di manager che si sono succeduti in Alitalia. Il sindacato fa le sue richieste, certo, ma dall’altra parte ci sono poi i manager”.
L’analisi detta inoltre una linea diversa da quelle imboccate finora dall’ex compagnia di bandiera in merito ai dipendenti. Pensare di far tornare Alitalia in carreggiata puntando tutto sui licenziamenti è fuori da ogni logica reddituale. Tra i costi evidenziati nel bilancio, infatti, gli unici in linea con gli standard europei sono proprio quelli relativi al personale, oltre a quelli sostenuti per i diritti di sorvolo e aeroportuali. Il costo del lavoro in Alitalia è forse l’unico costo in linea con le altre compagnie europee, se non addirittura più basso. Inoltre, i dipendenti Alitalia guadagnano decisamente meno rispetto a quelli di Lufthansa e Air France.
Il bilancio d’esercizio del 2016 non è ancora stato depositato dalla compagnia. Ma si parla già di perdite ingenti. Da quello che si dice potrebbero essere 600 milioni – precisa il consulente – ma la cosa incredibile è che Alitalia parla di 200 milioni di perdite solo nei primi due mesi del 2017, con un patrimonio netto sceso a meno 40 milioni. Occorrerebbe capire come ha girato questo patrimonio netto.
Nel frattempo è stata aperta la data room per i potenziali acquirenti, i 18 che hanno superato il primo esame. L’analisi dei conti e dei dati della compagnia si annuncia un passaggio fondamentale in vista delle offerte non vincolanti da formulare entro il 21 luglio, e sulle quali si delineerà il programma dell’amministrazione straordinaria, quindi il nuovo piano industriale e la presentazione, entro ottobre, delle offerte vincolanti.
Ma con una situazione del genere, quanto tempo ci vorrebbe per far tornare la reddituale la compagnia? Un bravo manager ci metterebbe sei mesi, commenta l’autore dell’analisi, si può fare un buon lavoro. Non è un caso che siano arrivate molte offerte, Alitalia fa gola a molti. Quanto alla possibilità di vedere Alitalia a pezzi, il consulente la considera un’ipotesi scellerata. Ciò significherebbe il bagno di sangue dei 6-7mila dipendenti che andranno in cassa integrazione. Così come sarebbe da escludere l’eventualità di Alitalia di uscire da Skyteam, l’alleanza delle compagnie aeree della quale Alitalia fa parte dal 2001.
Non dovrebbe uscire da Skyteam, che è un’alleanza importante – conclude – ma certamente dovrebbero rinegoziare e trovare delle soluzioni, gli accordi dentro Skyteam andrebbero tutti rivisti da persone competenti.