Allarme latte in tutta Italia, prezzi fuori controllo

Il caro energia si abbatte anche, violentemente, sulla spesa degli italiani. Il latte, a breve, potrebbe addirittura superare i 2 euro al litro. A lanciare l’allarme sono i colossi Granarolo e Lactalis, che hanno deciso di intervenire insieme in questa crisi, superando “i consueti antagonismi di mercato”, per porre all’attenzione del governo Draghi la forte preoccupazione per un’inflazione galoppante che da 12 mesi colpisce l’agroalimentare italiano, e in particolare il settore lattiero caseario.

“Occorre un intervento pubblico che scongiuri conseguenze ancora più disastrose per le migliaia di imprese che compongono la filiera” dichiarano i due gruppi in un comunicato congiunto.

Inflazione insostenibile: quanto ci costa di più il latte

L’inflazione ha toccato in maniera importante, con numeri a doppia cifra, quasi tutte le voci di costo che compongono la filiera del latte. Ad oggi l’inflazione ha portato a un aumento di listino del 23/24%, ma i costi energetici continuano a crescere in misura esponenziale.

Nonostante entrambe le aziende abbiano assorbito autonomamente un’inflazione che oscilla tra il 25% e il 30%, dalla primavera il prezzo del latte per il consumatore è cresciuto raggiungendo gli 1,75/1,80 euro al litro (dato Nielsen) e potrebbe aumentare ulteriormente entro dicembre 2022, fino a toccare i 2 euro al litro.

“È impensabile che un alimento primario e fondamentale nella dieta italiana possa subire una penalizzazione così forte da comprimerne la disponibilità di consumo”. Per quanto riguarda solo il comparto energia, senza una netta inversione di rotta avremo un’inflazione del 200% nel 2022 rispetto al 2021 e un rischio di oltre il 100% nel 2023 rispetto al 2022, sottolinea il Presidente di Granarolo Gianpiero Calzolari.

“È insostenibile anche da parte di una grande azienda, dal momento che si protrae nel tempo e che se fosse scaricata tal quale sul mercato colpirebbe significativamente i nostri consumatori e avrebbe inevitabili conseguenze sui consumi, con ricadute negative su tutta la filiera”.

L’aumento del costo energetico sulla organizzazione di Granarolo ha generato un impatto che Calzolari definisce “devastante”, che sarebbe stato anche maggiore se non fossero intervenuti con coperture ad hoc. I due colossi del latte italiano chiedono un intervento urgente del governo con un provvedimento transitorio, per contenere questo aumento dell’inflazione, scatenato – denunciano – “prevalentemente da questioni geopolitiche e da evidenti fenomeni speculativi” (qui vi abbiamo parlato delle imprese che rischiano di più a causa della crisi energetica).

Le cause dell’aumento vertiginoso del prezzo del latte

Le cause? L’alimentazione animale in primis, aggravata dalla siccità che riduce sia i raccolti degli agricoltori sia la produzione di latte, che ha reso necessario un aumento quasi del 50% del prezzo del latte riconosciuto agli allevatori.

Ma anche il packaging, con i prezzi di carta e plastica in aumento costante da mesi, e altri componenti di produzione impiegati nella produzione di latticini. Oggi, però – avvertono Granarolo e Lactalis – la preoccupazione maggiore è rappresentata dall’incremento dei costi energetici, “che nelle ultime settimane sono aumentati a tal punto da rendere difficile trasferirli sul mercato”.

A rischio l’intera filiera agroalimentare italiana

Secondo Coldiretti, quasi 1 allevamento su 10, pari all’8%, è in una situazione così critica che potrebbe chiudere a causa dell’esplosione dei costi.

“Fino a oggi grazie alla cooperazione fra allevatori, industrie e grande distribuzione si è riusciti a contenere gli aumenti nei confronti di consumatori e cittadini – spiega il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -, ma adesso non siamo più in grado di reggere se non con un aumento dei prezzi perché la situazione sta diventando insostenibile”.

A rischio, insomma, c’è l’intera filiera produttiva. Un sistema composto da 24mila stalle da latte italiane che garantiscono una produzione di 12,7 milioni di tonnellate l’anno, che alimenta una catena produttiva lattiero-casearia nazionale con un valore immenso: oltre 16 miliardi di euro.

Un settore che anche dal punto di vista occupazionale è fondamentale: sono infatti oltre 200mila i lavoratori, fra occupati diretti e indotto.

C’è poi anche un discorso più ampio, di tenuta sociale. “La stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale – sostiene Prandini –, ma ha una rilevanza sociale e ambientale. Perché quando una stalla chiude, si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori in particolare in zone svantaggiate”.

La chiusura di un’azienda zootecnica significa anche che non riaprirà mai più, con la perdita degli animali e del loro patrimonio genetico custodito e valorizzato da generazioni di allevatori.

Cosa serve fare? Secondo Coldiretti, lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali, con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni.

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