E’ partita stamattina Amanda Knox, dopo aver atteso due ore all’aereoporto Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino. Il volo la porterà a Londra e da qui proseguirà per Seattle. E’ apparsa sorridente e finalmente felice, per la ritrovata libertà.
Si e’ poi stretta in un abbraccio al funzionario dell’Ambasciata Usa a Roma, che l’aveva accompagnata e assistita durante le pratiche burocratiche in aeroporto, e ha ringraziato il dirigente di Zona della Polizia di frontiera, Antonio Del Greco, che ha ”protetto” la sua privacy depistando giornalisti, cameraman e fotografi che fin dall’alba stazionavano davanti alle aerostazioni dello scalo romano. Amanda, dopo le pratiche burocratiche relative al suo passaporto, ha atteso l’ora dell’imbarco nella saletta vip dove ha abbracciato ripetutamente i familiari, ha parlato a lungo al telefono cellulare, e si e’ limitata a bere un succo di frutta e acqua minerale. Quando e’ uscita dalla saletta, sorvegliata da alcuni agenti, tutti i passeggeri del volo BA 553 si erano gia’ imbarcati. Lei, ormai distesa, non si e’ neppure protetta quando si e’ accorta che c’era chi la stava riprendendo con la telecamera. Poi l’imbarco veloce con i familiari: tutti hanno viaggiato in classe turistica.
Amanda: grata a chi le ha mostrato affetto e rispetto: Una lettera in cui esprime tutta la sua gratitudine a chi , nel nostro Paese, le è stato vicino, non facendole mai mancare affetto e, soprattutto rispetto. Così Amanda saluta l’Italia: ”A tenermi la mano e a offrirmi del sostegno e del rispetto attraverso le barriere e le controversie c’erano degli italiani… Chi mi ha scritto, chi mi ha difesa, chi mi è stato vicino, chi ha pregato per me. Vi sono sempre grata. Vi voglio bene. Amanda”.
E’ questa la lettera che la Knox, il giorno dopo la sua partenza per gli Usa, ha fatto avere alla Fondazione Italia Usa, i cui dirigenti sono stati costantemente al suo fianco durante i quasi quattro anni di detenzione. Ecco il testo integrale della lettera. ”Amanda mi ha detto che ci teneva molto a ringraziare pubblicamente i tanti italiani che l’hanno sostenuta ed appoggiata in questi anni di ingiusta detenzione e che hanno creduto in lei e nella sua innocenza. Mi ha confermato che in futuro intende tornare nel nostro Paese”, ha detto Corrado Maria Daclon, segretario generale della Fondazione Italia Usa, che l’ha accompagnata ieri sera in automobile dal carcere di Perugia a Roma, dove la ragazza americana ha trascorso la notte. “Durante il viaggio da Perugia a Roma – ha aggiunto – Amanda era serena, pur con tutte le forti e contrastanti emozioni che si possono intuire per una persona che vede la libertà per la prima volta dopo quattro lunghi anni rinchiusa ingiustamente dentro una cella”.
Ma anche Raffaele Sollecito. È ritornato, finalmente, a casa. Ora si trova nell’abitazione del padre in Puglia. Dopo che stanotte è uscito dal carcere di Terni dopo l’assoluzione in appello per l’uccisione di Meredith Kercher. E’ arrivato poco dopo le 5 nella villa dove vive il padre, a Bisceglie, comune a una trentina di chilometri da Bari.
Raffaele Sollecito e’ arrivato insieme a suo padre ed era sdraiato sul sedile posteriore, nascosto da una coperta. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni ai giornalisti che lo attendevano. Poco prima nella villetta erano entrati alcuni parenti: cugini e zii di Raffaele, che lo hanno aspettato all’interno. Da Raffaele sono andati anche alcuni amici che sono poi usciti dalla villetta intorno alle 6, anche loro senza parlare con i giornalisti. Solo uno zio di Raffaele ha riferito che il ragazzo ”e’ molto, molto provato”.
Assoluzione con formula piena per Amanda Knox e Raffaele Solelcito: Amanda Knox e Raffaele Solelcito, sono stati assolti con la formula più ampia. La Corte d’assise d’appello di Perugia li ha così sollevati, per non avere commesso il fatto, dall’accusa di omicidio. Dopo poco meno di quattro anni passati in carcere, hanno ottenuto l’immediata scarcerazione. Questa sentenza spazza via le condanne a 25 e 26 anni di reclusione che stavano scontando in cella in seguito all’arresto da parte della polizia all’alba del 6 novembre del 2007. Quattro giorni dopo che Meredith Kercher, studentessa inglese a Perugia per studiare, era stata uccisa nell’abitazione di via della Pergola che divideva con Amanda e due italiane. Anche se loro hanno sempre negato di avere ucciso la giovane inglese. Una sentenza accolta dalle urla e dai fischi dei tanti in attesa davanti al palazzo di giustizia perugino. Accompagnati dal coro ”vergogna” durante le interviste di alcuni dei difensori alle principali tv mondiali. In aula i familiari di Meredith Kercher, la madre Arline, la sorella Stephanie e il fratello Lyle, avevano assistito praticamente attoniti alla lettura della sentenza. I giudici hanno inflitto tre anni di reclusione alla Knox per la calunnia a Lumumba. Pena comunque gia’ scontata.
Tale assoluzione, risponde alle scoperte fatte grazie alla perizia genetica disposta dalla Corte il 18 dicembre del 2010 su richiesta delle difese mentre era stata loro negata in primo grado. Esame che ha riguardato il coltello indicato dall’accusa come l’arma del delitto e il gancetto del reggiseno indossato da Meredith quando venne uccisa a Perugia, la sera del primo novembre del 2007. I giudici avevano infatti accolto la richiesta delle difese richiamando la regola posta dall’articolo 533 del codice di procedura penale. Quella che prevede la condanna ”soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”. I giudici avevano quindi rilevato che ”la individuazione del Dna su alcuni reperti e la sua attribuzione agli imputati” risultava ”particolarmente complessa per la obiettiva difficoltà da parte di soggetti non aventi conoscenze scientifiche di formulare valutazioni ed opzioni su materie particolarmente tecniche senza l’ausilio di un perito d ‘ufficio”. I periti, dopo avere stabilito di non poter ripetere gli esami svolti dalla polizia scientifica, hanno ritenuto ”non attendibili” i risultati raggiunti. In particolare per il Dna attribuito a Sollecito, misto a quello della vittima, sul gancetto del reggiseno e di Meredith sulla lama del coltello. Valutazione fatta esaminando i documenti già agli atti. I periti hanno cosi’ definito ”inattendibile” il profilo genetico attribuito alla Kercher perche’ ”non supportato da procedimenti analitici scientificamente validati”. E per il Dna di Sollecito hanno parlato di ”erronea interpretazione del tracciato elettroforetico relativo al cromosoma Y”. Per entrambi i reperti, poi, secondo i periti ”non si può escludere che i risultati possano derivare da fenomeni di contaminazione”. Conclusioni che hanno dato ragione a quanto sempre sostenuto dalle difese di Sollecito e della Knox, nonché dai loro consulenti. Una prova scientifica ”sgretolata” dai periti della Corte d’assise d’appello di Perugia come ha più volte sostenuto l’avvocato Giulia Bongiorno, l’ex avvocato di Andreotti che ha curato la difesa di Sollecito. Eliminando quello che il legale ha sempre considerato ”l’unico indizio” a carico del giovane pugliese. Una perizia dalle conclusioni considerate ”ineccepibili” dai difensori della Knox, gli avvocati Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova. Per capire perché i giudici abbiano assolto Sollecito e la Knox sarà necessario attendere le motivazioni della sentenza. Appare però chiaro fin d’ora che il ragionevole dubbio ingenerato dalla perizia abbia avuto un ruolo forse determinante. Certamente maggiore dei testimoni sentiti in appello su richiesta delle difese, come l’ex pentito Luciano Aviello e Mario Alessi, l’assassino di Tommaso Onofri. Un dubbio forse in grado di mettere in discussione anche le altre prove raccolte dai pubblici ministeri e alla base della sentenza di primo grado. Come le parole di Guede che aveva collocato i due giovani sulla scena del delitto, le impronte dei piedi nudi in casa e le testimonianze. Tuttavia i magistrati sono pronti ad appellare la sentenza in Cassazione. Ma quel che è certo, è che da stasera i due ragazzi respireranno finalmente aria libera. Chi ha ucciso Meredith Kercher?
E’ questo l’interrogativo che resta, alimentando la rabbia di chi vorrebbe giustizia per quella giovane ragazza morta. Giustizia che, come spesso accade In Italia, forse non arriverà mai.