Donald Trump intensifica la sua offensiva legale con un nuovo ricorso nel Michigan mentre in Georgia il segretario di Stato, il repubblicano Brad Raffensperger, ordina il riconteggio a mano. Nello Stato del Midwest, l’obiettivo del presidente, che non riconosce la vittoria dello sfidante Joe Bidens, è impedire la certificazione del risultato del 3 novembre che lo vede in svantaggio di 148.000 voti (pari ad un margine del 2,6% ), secondo i dati non ancora ufficiali, con l’accusa di brogli, in particolare nella contea di Wayne, roccaforte del partito dell’Asinello che comprende anche la Motor City, Detroit.
In Georgia, lo Stato del Sud dove un democratico non vince dal 1992, Biden è avanti di appena 14.000 voti. Il riconteggio riguarda solo le schede per le presidenziali e non quelle per 2 seggi al Senato che saranno decisi al ballottaggio il prossimo 5 gennaio e che decideranno il controllo della Camera Alta.
Al netto di Georgia, North Carolina e Arizona (ancora in sospeso), il candidato dem vanta comunque 279 grandi elettori (su 538), ovvero 9 in più rispetto alla soglia minima necessaria per trasferirsi alla Casa Bianca. Ma questo solo grazie al muro blu ricostruito nella Rust Belt, cioè a dire a patto che vengano confermate le vittorie di Biden in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, che portano in dote rispettivamente 16, 10 e 20 Grandi Elettori.
Sebbene la maggioranza dei ricorsi presentati da Trump appaiano con scarse possibilità di successo, non sono stati depositati con modalità random ma delineano una strategia ben precisa, con nel mirino proprio gli Stati che gli servono per restare alla Casa Bianca. E non è solo il partito repubblicano (praticamente al completo) che lo spalleggia nel non concedere la vittoria al rivale, con il leader del Senato Mitch McConnell che giudica fondate “al 100%” le rivendicazioni di Trump e il segretario di Stato Mike Pompeo che parla di transizione già avviata per il secondo mandato.
Secondo il costituzionalista John Yoo ,docente di diritto alla Berkeley School of Law, visiting fellow dell’American Enterprise Institute e visiting scholar della Hoover Institution della Stanford University, Trump potrebbe (e dovrebbe) spuntarla niente di meno che in Pennsylvania. “La campagna del presidente Trump può mettere in discussione il voto sulla base del fatto che la Corte Suprema della Pennsylvania ha interferito incostituzionalmente sull’autorità legislativa dello Stato, unica titolata a decidere tempo, luogo, e maniera dell’elezione federale e sulla selezioni degli elettori presidenziali”, osserva Yoo sul Washington Examiner .
“Perché se la Costituzione federale garantisce questi poteri alla legislatura della Pennsylvania – prosegue Yoo – i tribunali statali non hanno alcuna autorità per modificare le leggi sulle elezioni per gli incarichi federali, compresa la presidenza”. Trump contesta il fatto che nel Keystone State siano stati conteggiati anche i voti per posta arrivati fino a 3 giorni dopo l’Election Day e come la scadenza sia stata progressivamente allungata a ridosso del voto. Il caso è già finito alla Corte Suprema, con il giudice conservatore Samuel Alito che ha ordinato un conteggio separato delle schede arrivate dopo il 3 novembre.
“La Corte Suprema potrebbe bocciare l’estensione della scadenza al 6 novembre decisa dalla Pennsylvania – avverte Yoo – ed ordinare allo Stato di rifiutare ogni scheda arrivata dopo l’Election Day. E questa non è una battaglia costituzionale fantasiosa. Il giudice Samuel Alito ha già chiarito il suo punto di vista sul fatto che la Corte Suprema della Pennsylvania ha violato la Costituzione”.
E il ricorso trumpiano potrebbe assumere una rilevanza nazionale, riaprendo la partita della presidenza. Lunedì, 10 Stati rossi (Missouri, Alabama, Arkansas, Florida, Kentucky, Louisiana, Mississippi, South Carolina, South Dakota e Texas) hanno depositato una memoria legale sottolineando l’importanza di tutelare l’autorità costituzionale degli Stati in materia di elezione. “La decisione della Corte Suprema della Pennsylvania travalica la sua responsabilità costituzionale – scrivono – invade l’autorità della legislatura della Pennsylvania e viola la clausola (della Costituzione) sulle elzioni”.
Chi avrà ragione? Difficile dirlo ma le istanze di Trump appaiono qualcosa di più del voler semplicemente mettere le mani avanti per giustificare una bruciante sconfitta. Potrebbero non incidere sul risultato elettorale ma li sembra puntare dritto alla Corte Suprema, lo stesso tribunale che 20 anni assegnò la presidenza a George W. Bush che contestò la vittoria di Al Gore in Florida.