‘Amigdala’, uno shock ‘a metà’

‘Amigdala’, uno shock ‘a metà’

 

Messina – Andata in scena come chiusa della stagione del Clan Off di Messina e unica produzione firmata dai due direttori artistici, Giovanni Maria Currò e Mauro Failla, ‘Amigdala’, messinscena performativa incentrata sul sentimento della paura e sulle infinite sfumature di cui si colora, è spettacolo che si può vedere, anche e, forse, soprattutto per misurare la temperatura delle ricerche artistiche – di sensibilità e di estetica – che caratterizzano il bistrattato, ma potente e crescente, movimento culturale del territorio messinese.  ‘Carotaggio’ efficace, tra i tanti possibili, nel substrato che offre anima alla città, ‘Amigdala’ si nutre di un intenso bisogno di guardare all’altro, di uscire da sé, di prestare la propria maschera a narrazioni capaci di rivelare il proprio particulare come autenticamente universale.

La regia tenta di muovere dentro lo spettatore le sensazioni che reggono la messinscena. Un traguardo che in alcuni momenti viene raggiunto e in altri resta lontano. A pesare negativamente sono alcune scelte che si rivelano troppo didascaliche per pescare nel profondo di una platea ormai largamente abusata da immagini ‘forti’, con il risultato che anziché illuminare la potenza, pur percepibile, dello spettacolo, ne si svela il meccanismo artificioso. L’unitarietà delle evocazioni viene talvolta inficiata dalla diversità dei talenti del cast – alcuni attori con tutta evidenza sono più portati alla parola, altri dicono meglio attraverso il proprio corpo, e non sempre gli uni e gli altri sono efficacemente integrati. E alcune immagini – per esempio le macchie rosse a simulare sangue su vesti candide – risultano ingenue anziché spiazzanti.

Tuttavia, il processo di transfert artistico, lo shock vivificante si compiono in altri momenti, a partire da quelli iniziali, privi di parola, pittorici ancor prima che coreografici, con sul palco tutti gli attori (Orazio Abate, Kasia Albrecht, Nino Cosenza, Piera Costantino, Manuela Smeriglio e Martina Costa, Angelo Morabito, Cinzia Murabito, Sabrina Pellegrino, Carlo Spinelli). E ancora nella simulazione dello stupro in cui sola è la vittima ma si percepisce nitido il carnefice, grazie agli spossati movimenti dell’attrice, o anche nella confessione del folle in grado di trarre a lungo in inganno chi la ascolta (probabilmente il testo più drammaturgico tra quanti usati nello spettacolo), nella teoria di maschere che si capovolgono al buio così da costringere il pubblico a dubitare dei propri occhi. E – molto – nei lampi di colore matti e disperati, nei tappeti sonori, nelle interpretazioni corali. Grazie anche a citazioni visive (i movimenti scenici sono di Brunella Macchierella), recuperate da quel territorio che ci accomuna tutti, il nostro immaginario e i profondi dubbi che lo innervano.

Blackcap

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