Eleonora Evi “ha detto che la comunicazione del partito è concentrata su di me e oscurava lei, come se fosse una mia macchinazione”, prosegue Bonelli. Ma “non sono io che cerco la stampa o le trasmissioni”. E poi, precisa, “non c’è un diritto divino a essere presenti in televisione o intervistati dai giornali. Uno la leadership dev’essere in grado di costruirsela, passo dopo passo”.
Quindi racconta un episodio che ritiene significativo: “Qualche mese fa, Meloni incontra i partiti di opposizione sul salario minimo. Mi telefona il sottosegretario Mantovano per invitarmi a Palazzo Chigi. Io chiamo Eleonora Evi e le dico: ‘Vacci tu, io non vengo’. Sono uno che vuole oscurarla? Potevo andarci da solo, potevamo andarci assieme, è andata lei da sola. Finisce l’incontro, mi chiamano i giornalisti per chiedermi come fosse andata, li avverto che all’incontro col governo è andata Eleonora e non io. Che cosa scopro? Che in quel confronto con la presidente del Consiglio erano intervenuti Schlein, Calenda, Fratoianni, Magi, i 5 Stelle e che lei, invece, aveva fatto scena muta”.
Bonelli non ci sta a prendersi del maschilista: “Io interpreto la politica come una cosa romantica, sentirmi accusare di patriarcato, bullismo o sessismo mi dà fastidio. Tra l’altro è proprio per romanticismo che, per caso, sono finito a fare politica”. “Sul trenino Roma-Ostia, anno 1988, sento le persone che parlano di una speculazione edilizia tra Casal Bernocchi e Vitinia. Un’ondata di cemento sulla Valle di Malafede”, conclude Bonelli. “Eh no, quello era un posto che conoscevo centimetro per centimetro, il luogo delle passeggiate col primo amore. Mi inca*** di brutto, decisi che dovevo impegnarmi in prima persona”.