“E’ mia ferma convinzione che la crisi della giustizia sia prima di tutto dovuta alla mancanza di strutture, uomini e mezzi. Essa dipende in misura molto minore dall’inadeguatezza delle norme”. A spiegarlo e’ il presidente della Corte d’appello di Roma, Luciano Panzani, nella sua relazione sull’anno giudiziario. “Cosi’ come in passato – afferma Panzani – nel distretto del Lazio ed a Roma in particolare il problema piu’ delicato e difficile da risolvere era quello dell’insufficienza ed inadeguatezza dei locali in cui hanno sede gli uffici giudiziari. La mancanza di spazi idonei non crea soltanto disagio. Diventa causa d’inefficienza. La Corte di Appello, il Tribunale e il Giudice di Pace di Roma sono fortemente condizionati nella loro produttivita’. Le udienze sono contingentate perche’ occorre ripartire le aule tra piu’ sezioni o collegi. I giudici non parlano tra di loro e non fanno giurisprudenza comune perche’ non hanno la possibilita’ di fare vita d’ufficio. Molti di loro lavorano a casa e vengono in ufficio soltanto il giorno dell’udienza. E’ normale – evidenzia Panzani – che una stanza sia divisa tra piu’ colleghi e che avere una scrivania dove lavorare sia visto come un privilegio che ci si deve conquistare. I corridoi e le cancellerie sono invasi da torri pericolanti di fascicoli ammucchiati con gravi problemi di privacy. La consultazione degli atti da parte degli avvocati e’ talvolta problematica. Le code agli sportelli sono in luoghi impropri”. E “tutto cio’ va oltre i limiti del tollerabile ed ha evidenti profili d’insensatezza. La mancanza di spazi, oltre ad essere fonte di rischi (i fascicoli ammassati costituiscono pericolo di incendio ed anche in taluni casi superano i limiti di sicurezza in relazione al peso complessivo per mq), e’ causa non soltanto di disagio, ma di inefficienza. Mancano ovviamente gli spazi per i testimoni e per le attivita’ degli avvocati”.
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