Mentre a Venezia prosegue la conta dei danni dopo l’alluvione, il governo non può permettersi di sottovalutare il caso Ilva. Soprattutto dopo che ArcelorMittal ha presentato l’atto per il recesso del contratto di affitto. Il premier Conte ha rinviato il Consiglio dei Ministri. Ufficialmente per Venezia, ma di certo il fatto che nel governo non ci sia unità di intenti per l’altra tragedia, quella di Taranto, ha aiutato.
Al momento sembra che l’unica soluzione sia quella di una battaglia legale con ArcelorMittal. Trattenere i franco-indiani all’ex Ilva sembra impossibile, almeno procedendo per la via della diplomazia. Aprendo un contenzioso tutto può succedere. Anche che lo stabilimento di Taranto resti fermo a lungo. Uno scenario che l’Italia non può permettersi. La prima notizia è positiva per il Paese. Il Tribunale di Milano ha fissato per il prossimo 6 maggio la prima udienza sulla richiesta di recesso del contratto avanzata da ArcelorMittal. Fino a quel momento la società deve rimanere in Italia. Agendo magari con serietà provando a tenere fede agli impegni presi.
Stefano Patuanelli, ministro per lo Sviluppo Economico in quota Movimento 5 Stelle, parla della battaglia legale del secolo. Ma le idee non sono tante. “Non voglio pensare a uno scenario post Mittal. La convinzione del governo è che non c’è nessun diritto di recesso da parte loro. Il nostro piano A, B, C e D è Mittal“. Non avere un’alternativa a disposizione è sempre un rischio. In questo caso sarebbe meglio non correrne.
Nella peggiore delle ipotesi, ossia il recesso del contratto, l’impianto tornerebbe sotto la gestione commissariale nella speranza che il passaggio possa essere indolore dal punto di vista occupazionale e dal punto di vista dell’occupazione. Stando a quanto emerso in queste calde ore, il governo si starebbe muovendo anche per cercare una nuova società che possa farsi carico dell’impianto. Al momento la parola d’ordine è prudenza. Filtrano pochissime informazioni e la sensazione è che tutti si stiano preparando per la battaglia legale del secolo contro Mittal.
E’ stato fissato per domani pomeriggio al Mise l’incontro su ArcelorMittal con i sindacati dei metalmeccanici Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil e l’azienda, sulla procedura ex articolo 47 di retrocessione dei rami d’azienda. Lo si apprende da fonti sindacali. Due giorni fa le stesse sigle hanno inviato una lettera facendo richiesta di incontro. L’appuntamento risulta alle 15.30 al ministero.
Il colosso franco-indiano, ribadisce in una apposita conferenza stampa il ministro Stefano Patuanelli, deve mantenere gli impegni presi e va richiamato al tavolo. Anche passando per il tribunale, se necessario, dove è atteso entro venerdì il ricorso d’urgenza dei commissari.
La situazione, a Taranto, peggiora di ora in ora: in città si registra la prima cinquantina di operai dell’indotto rimasti senza paga. E otto consigli di fabbrica, riuniti a Genova, invocano uno sciopero europeo per la crisi della siderurgia. Ma nella maggioranza resta altissima la tensione: gli emendamenti presentati da Italia Viva al decreto fiscale per reintrodurre lo scudo vengono giudicati inammissibili dalla presidente della commissione Finanze, la 5S Carla Ruocco. E nel Movimento la questione resta tormentata, tanto che il ministro Stefano Patuanelli, dopo al riunione fiume con i senatori è costretto a presentarsi anche dai deputati per spuntare almeno quella che lui stesso definisce “una disponibilità a discuterne” se, nel corso della trattativa, dovesse riemergere la necessità dello scudo. I 4 punti proposti dal ministro ottengono l’ok dopo una tre ore di dibattito tesissimo, e 5 senatori restano sulla linea dura e votano contro il mandato a Patuanelli a “tracciare” la linea sull’ex Ilva, slegandola dalla tenuta del governo, guardando a un piano di medio periodo che punti alla decarbonizzazione e valutando anche l’ipotesi di una legge speciale per Taranto per accelerare gli interventi sul territorio.
La trattativa con Arcelor, al momento, non c’è: il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rassicura sulla tenuta dei giallorossi (“Il governo rischia? Non scherziamo..”) ma rinvia a lunedì prossimo, “per impegni dei vari ministri”, il Consiglio previsto per giovedì pomeriggio, che doveva servire a mettere in fila le proposte per il ‘Cantiere Taranto’, cioè gli interventi a più ampio raggio per il rilancio, al di là delle vicende legate alla fabbrica. E non è nell’aria, a breve, nuovo round con i Mittal, che sembrava imminente ma ancora non è stato convocato. Si aspetta, probabilmente, l’esito del ricorso. E intanto si lavora, sotto traccia, sia alla proposta di mediazione sia all’eventualità che l’azienda abbandoni davvero l’Italia.
Il governo punta a ridurre al minimo, se non ad azzerare, la richiesta degli esuberi. Duemila potrebbero essere gestibili attraverso la cassa integrazione, ma andrebbe riscritto il piano industriale “di dieci mesi non di sei anni fa” che Mittal, sottolinea più volte Patuanelli, “non ha rispettato”. In questo quadro comunque, oltre a garantire un soccorso sul fronte dell’occupazione, l’esecutivo potrebbe mettere sul piatto anche un ingresso di Cassa depositi e prestiti, con l’8-10%, a puntellare l’operazione. Sempre Cdp potrebbe essere, invece, il perno attorno a cui ricreare una nuova cordata di privati. Per il subentro potrebbe rendersi necessario prima un nuovo passaggio dell’ex Ilva alla gestione commissariale e una nuova gara. Ma si potrebbe invocare, suggerisce Vincenzo Sanasi D’Arpe, giurista esperto di grandi crisi d’impresa, anche la legge Marzano che consentirebbe di saltare questo passaggio. Resta infine la strada della nazionalizzazione ‘a tempo’, coinvolgendo controllate di Cdp per superare i vincoli di statuto della Cassa: una operazione che potrebbe passare anche la tagliola europea degli aiuti di Stato perché si svolgerebbe in un’area depressa.