Alla fine è stata fatta la scelta più facile e conveniente per tutti. Quasi obbligata. Una scelta di sicura convenienza. Altre carte non potevano essere calate sul tavolo. Chi si è proposto in queste settimane l’ha fatto solo per assicurarsi una sedia al tavolo ristretto delle decisioni. Tutti erano coscienti delle distanze tra i vari leader, presunti o tali, e tra le correnti. Troppi distinguo, troppi i personalismi, troppa paura di resa dei conti. Trappa paura di bruciarsi perché non è in grado di comprendere il futuro. Troppe, troppe variabile con il rischio di bruciarsi al primo incrocio. Troppa paura di perdere ancora più voti. Troppa paura in una crisi di identità che ad oggi non trova via d’uscita. Quindi in un caos di visione politica meglio non metterci la faccia. Ma avere un posto nella sala dei bottoni. Ed ecco la soluzione facile: una personalità senza carisma, seguito e potere sugli parlamentari. Ora serviva questo, almeno da un punto di vista burocratico. Un agnello domabile ma soprattutto sacrificabile. Un traghettatore che depotenziato già alla sua prima uscita. Questo è il nuovo segretario del Pd. Maurizio Martina, il reggente, ora è a pieno titolo il nuovo ‘leader’ dei democratici. Ma resta l’incognita dei poteri effettivi perché il partito è un cantiere aperto considerando le dichiarazioni di Renzi e Zingaretti.
“Questo partito – ha detto Martina nel suo intervento prima dell’elezione- deve scuotersi e mettersi alla ricerca fuori di qui di persone, idee e disponibilità. Questa apertura a tutte le energie democratiche penso vada ben oltre il Pd, a queste forze sbattiamo la porta in faccia o apriamo porte e finestre? Io sono per aprire”, ha proseguito. “Da oggi deve partire un lavoro di profondità, dobbiamo ricostruire i fondamenti culturali del Pd, una sfida sociale complicata, per questo propongo una rivoluzione dell’ascolto”., ha detto nel suo intervento il reggente prima di essere eletto segretario.
L’arringa di Renzi. L’ex premier si sente forte. Matteo Renzi durante il suo intervento ha detto: “Il M5s è la vecchia destra, non ho dubbi. Quelli del M5s sono una corrente della Lega, il Vaffa day si è fermato a Pontida”, ha aggiunto il senatore del Pd. “Io credo e continuo a credere – ha detto – che sia il Pd l’argine al populismo, non sono andato via quando conveniva e non vado via”. “Chi in questi ultimi 4 anni anziché dare una mano al progetto ha cercato di demolire il Pd – ha sottolineato – ha distrutto non il Pd ma l’alternativa al populismo. Hanno picchiato contro l’argine del sistema, sul web e con divisioni assurde che hanno fatto il male del Pd”. “La ripartenza non può essere un simil Pds o una simil Unione. Deciderà il Congresso, lo rispetto, se qualcuno pensa che la nostalgia è la chiave di sviluppo del Pd lo rispetterò da militante ma non coglie le novità di una destra che sta governando a colpi di tweet”, ha detto ancora l’ex premier secondo il quale “a forza di fare la guerra a noi arriva un governo che va da Casaleggio a Casa Pound. A forza di fare la guerra al Matteo sbagliato arriva il governo Salvini”. “Ora ci aspetta una traversata nel deserto, e la cosa non mi piace”. “Oggi non siamo alla terza Repubblica, vedendo Salvini e Di Maio siamo alla terza media”. “Non so cosa proporrà Martina, ho letto che proporrà un percorso. Io aggiungo il mio contributo: se fai le primarie e chiami 2 mln a votare non puoi pensare che dal giorno dopo 200 appartenenti e una corrente cercano di mettere in discussione il risultato delle primarie”, ha continuato Renzi. Aggiungendo, “dico questo per chi verrà, fate il percorso che volete, io ci sono, ma se il giorno dopo si riparte daccapo il problema non è quando si inizia ma quando si chiude il Congresso”.
Zingaretti : Matteo non ascolta il partito. “A me quello che più mi ha colpito dell’intervento di Matteo e un pò anche mi è dispiaciuto è che alla fine non si predispone mai all’ascolto degli altri, delle ragioni degli altri. Per un leader è un grandissimo limite”, dice il presidente della regione Lazio.