Attacco in malafede del FinancialTimes su governo Meloni

«Luna di miele finita» tra Giorgia Meloni e i mercati, titola il Financial Times. «Il forte rallentamento economico aumenta le preoccupazioni sulla posizione politica del governo di destra dopo il disastro fiscale delle banche», aggiunge il quotidiano della City. «C’è una rifocalizzazione sull’Italia – spiega nell’articolo Filippo Taddei, capo economista di Goldman Sachs -. E la gente si chiede dove sta andando il Paese». Peccato che il dottor Filippo Taddei vanti nel curriculum un piccolo conflitto d’interessi, che non viene citato dal FT, nel senso che dal 2013 al 2017 è stato responsabile nazionale economico del Pd. «Il governo ha ripetutamente affermato di essere impegnato a far funzionare il Pnrr e i mercati considereranno la decisione sul deficit fiscale come una prova. Se aumentano il debito, ciò suggerisce che sono i primi a non credere nella ripresa», sottolinea ancora. Rincara Lorenzo Codogno, capo economista al ministero dell’Economia fino al 2015: «Non c’è dubbio, la luna di miele è finita. Le imprese si stanno rivoltando contro il governo. Ci sono forze all’interno della coalizione che non sono realmente in sintonia con i mercati o con gli interessi degli investitori». Anche Codogno ha un problema di credibilità: a inizio giugno, parlando al Festival dell’Economia di Trento, aveva idee leggermente diverse. In un’intervista a Repubblica l’economista della London School of Economics diceva: «L’economia italiana è la più resiliente d’Europa», confrontando la frenata tedesca e il rallentamento cinese. Cos’è cambiato?

L’articolo se la prende poi con Meloni per l’assenza al Forum di Cernobbio  e per la tassa sugli extraprofitti delle banche. Qui sta lo spartiacque tra «Meloni brava» e «Meloni cattiva». È bastato chiedere un prelievo alla finanza per tornare a dipingere l’Italia come un posto pericoloso. Addirittura «filo-bolscevismo», come aveva scritto lo stesso FT dopo l’approvazione del decreto che tassa i cosiddetti super guadagni delle banche.

È vero che il Pil non è più roboante. Nel secondo trimestre c’è stato un calo dello 0,4% e le statistiche sull’industria segnalano contrazione da mesi. Però anche uno studente del primo anno di economia sa che a causare questo rallentamento è stata la Bce. «Le condizioni di finanziamento si sono inasprite ulteriormente e frenano in misura crescente la domanda», scrivevano la scorsa settimana gli esperti di Francoforte. Anzi, «alla luce del maggiore impatto di tale inasprimento sulla domanda interna e dell’indebolimento del contesto del commercio internazionale si leggeva ancora nella nota della Bce sono state riviste significativamente al ribasso le proiezioni per la crescita economica, che si porterebbe nell’area dell’euro allo 0,7% nel 2023». Sicché sono proprio Lagarde e soci ad ammettere che stanno facendo di tutto per fermare l’economia nella speranza di raffreddare l’inflazione. Che cosa c’entra il governo Meloni?

In alcuni siti italiani, dopo l’uscita dell’articolo del FT, c’è chi ha provato a mettere il carico evidenziando che lo spread è salito a 180 punti. Certo, è cresciuto, così come gli interessi da pagare sul Btp decennale, cioè sul debito italiano a 10 anni; ciò però è legato ad alcune dichiarazioni aggressive dei funzionari della Bce che minacciano persino di alzare ancora i tassi.

“A me fanno paura non le valutazioni dell’Ue ma quelle dei mercati che comprano debito pubblico”. A dirlo chiaramente è stato il ministro dell’Economia in persona, Giancarlo Giorgetti. Parole che fanno seguito a un articolo del Financial Times secondo cui la luna di miele tra i mercati finanziari e il governo Meloni sarebbe già terminata

Prima di capire cosa sta succedendo, occorre fare un passo indietro. In passato, in un primo momento, la stampa anglosassone aveva presentato questo governo come “incapace e fascista”, attingendo un po’ a quella retorica italiana, che spesso non soppesa i termini nel modo giusto. C’erano quindi delle aspettative negative in partenza. Poi invece soprattutto Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sono sembrate persone serie e il governo è partito molto bene, in continuità con l’agenda Draghi e impegnato nella messa a terra del Pnrr. Lì è partita la luna di miele e anche i mercati e gli investitori hanno manifestato fiducia e apprezzamento.

Quest’estate il governo è entrato in modalità “populismo e campagna elettorale”, iniziando ad alzare i toni e la voce. Ma ciò è stato fatto senza alcuna logica, creando il panico e senza portare a casa un solo euro. Il primo intervento di questo tipo è stato la tassa sugli extraprofitti, che solleva tutta una serie di questioni costituzionali. Il governo è partito con alcuni numeri di gettito stimato che avrebbero minato la stabilità del sistema finanziario, ma quei numeri sono scesi in poche ore. Ma un governo non può operare così, nessuna azienda lo può fare. Inoltre, il Mef è azionista di controllo di una banca, Mps. Se vuole che remuneri i depositi, faccia in modo che offra il 5% di interessi così potrà guadagnare quote di mercato.

Dello stesso tenore è il provvedimento allo studio sugli npl (crediti deteriorati o non perfroming loan, ndr) che dovrebbe dare la possibilità ai debitori di ricomprarsi i crediti a un prezzo prestabilito. Anche questo provvedimento, che appare davvero incomprensibile, creerebbe un grosso problema alle banche. Che poi sono le stesse che contribuiscono, insieme ai grandi investitori esteri, a sostenere il debito italiano comprando Btp e altri titoli di Stato. Poi c’è l’intervento che ha riguardato Ryanair…

Il problema qui è che l’Italia ha avuto per anni una compagnia aerea di sua proprietà nella quale sono stati investiti oltre 12 miliardi degli italiani. Ora quindi lo Stato, che con Alitalia ha solo perso soldi, sta dicendo agli altri come devono fare a gestire il loro business. Non credo che lo Stato possa avere il diritto né l’arroganza di farlo. Il risultato, a meno di correttivi del decreto in Parlamento, è che da e per le isole ci saranno meno voli e a prezzi più cari.

Sono tre annunci che di fatto vanno contro il mercato e che per questo non possono piacere agli investitori internazionali.

I mercati, che prima avevano concesso il beneficio del dubbio, con l’annuncio di questi tre provvedimenti hanno alzato il cartellino giallo, come a dire che l’Italia ora è osservata speciale. Prima c’era stata una certa benevolenza legata a diversi fattori, tra cui le medie aziende che sono più forti, l’economia che regge e i grandi gruppi che appaiono defilati rispetto allo scontro tra Cina e Stati Uniti. Ora però questi tre provvedimenti, che allo Stato non hanno portato alcun tipo di beneficio, hanno spaventato tutti.

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