Sui mercati prevale la cautela. Ma se da una parte c’è il rischio che oggi la Bce deluda le attese esuberanti degli investitori, dall’altra fra gli addetti ai lavori c’è chi invita a non sottovalutare ‘Supermario’, che potrebbe tirare fuori nuovamente un “coniglio dal cilindro” innescando una correzione sui mercati. Per Draghi il consiglio direttivo della Bce di oggi, con i governatori già ieri sera a cena a discutere gli scenari e le proposte sul ‘quantitative easing’ e i tassi arrivate dagli uffici tecnici, è un appuntamento-chiave: una terza prova di fiducia nella Bce, unica istituzione europea con piena autonomia e leadership, dopo il ‘whatever it takes’ che salvò l’Europa dai debiti nazionali e il ‘Qe’ che raffreddò la febbre degli spread.
Così la vedono molti operatori dopo che a dicembre la risposta giudicata deludente della Bce aveva depresso le borse e fatto balzare l’euro. Rispetto a tre mesi fa, però, sono cambiate molte cose. Sempre più si parla di un rischio di credibilità per la capacità delle banche centrali di incidere sull’economia. La Germania continua a fare il ‘falco’, con la forte opposizione delle Sparkassen alla politica espansiva. Ma il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che peraltro oggi non voterà, al di là del gioco delle parti che lo vuole eterno scettico non sta andando all’attacco frontale di Draghi.
L’inflazione dell’Eurozona è ripiombata sottozero, le Borse da gennaio a oggi hanno mostrato preoccupanti crepe, la Cina rallenta, il Fmi ha avvertito dei rischi per la ripresa globale. Persino la Fed ha quasi fatto marcia indietro sui tassi. A tutto ciò si aggiunga lo scacchiere geopolitico inquietante, la crisi dei rifugiati e il rischio ‘Brexit’ sempre più concreto. Tanto che la Bce, stando alle indiscrezioni dell’Handelsblatt, ha chiesto agli istituti di credito maggiori quali rischi deriverebbero da un’uscita della Gran Bretagna dall’Ue e vuole sapere quanto siano preparati all’opzione della Brexit. Per un banchiere centrale – riferisce ancora il quotidiano tedesco – un’ipotesi del genere rappresenta “il più grande fattore di instabilità di quest’anno”. I mercati stanno attenti a non esporsi troppo.
Ma gli eventi intercorsi fra quella deludente riunione di dicembre e oggi potrebbero bastare, a Draghi, per convincere il consiglio Bce a una mossa decisa, in grado di superare le stime prudenti degli investitori: è meglio colpire forte i mercati subito, è il ragionamento, piuttosto che dover fare ancora di più dopo per inseguirli. “Se Draghi non fa quello che ha promesso, i mercati rischiano di essere molto delusi e il rischio è un crollo sui mercati e i tassi aumentano e non credo sia l’interesse della Banca Centrale Europea”, ragiona Lorenzo Bini Smaghi, ex consigliere esecutivo Bce e al momento presidente di SocGen.
Certo la Bce da sola non basta, e non si esclude che Draghi faccia un appello più forte del solito al ruolo dei governi per la crescita. Per tutti questi motivi, anche se in media fra gli investitori ci si aspetta che gli acquisti di debito con il ‘Qe’ vengano aumentati a 75 miliardi di euro al mese dai 60 attuali, c’è chi non esclude gli 80 miliardi o più. Gli analisti danno per scontato un taglio dei tassi sui depositi dal -0,30% al -0,40%, ma c’è chi si aspetta un -0,50%. L’effetto sorpresa su uno di questi due elementi, che rappresentano il cardine della probabile manovra di domani, riporterebbe probabilmente l’euro verso gli 1,05 dollari. E non si escludono altre mosse: un’estensione del Qe ad altre categorie di titoli oltre al debito pubblico, come i bond bancari o delle aziende o – s’ipotizza – persino le cartolarizzazioni di prestiti più rischiosi. Un’indicazione che faccia da ‘shock’ per i mercati sulla ‘forward guidance’, sul percorso futuro della politica monetaria, magari chiarendo che la Bce aspetterà, prima di ritirare il suo Qe, un bel po’ dopo che l’inflazione si sarà riavvicinata al 2%.