Si accende lo scontro sul referendum sull’autonomia differenziata. Roberto Calderoli evoca la bocciatura dei quesiti da parte della Corte costituzionale. “Ci sono chiari elementi di inammissibilità”, lancia il sasso il ministro degli Affari regionali. Parole che le opposizioni interpretano come il timore di perdere le consultazioni, dopo la massiccia adesione alla raccolta di firme, oltre 500mila, che potrebbe rappresentare un ostacolo sul percorso riformatore del governo. “Ha paura del voto popolare”, è la replica che arriva dalle opposizioni. Dal Pd fino ad Avs leggono l’uscita del ministro come una inopportuna invasione di campo: “Spetta alla corte costituzionale decidere”, rimarcano le minoranze. Che puntano sul voto popolare, ma c’è chi mette in guardia sull’ipotesi inammissibilità: “Il rischio c’è”, ammette Riccardo Magi, segretario di +Europa.
Calderoli spiega in una intervista ad Affaritaliani: “Essendo l’autonomia regionale differenziata complessa e quindi disomogenea e collegata alla legge di bilancio, non dovrebbe essere ammissibile il referendum abrogativo. Fermo restando che ovviamente deciderà la Corte costituzionale”. Non solo, però, perché questo potrebbe non essere l’unico motivo che potrebbe spingere la Consulta a bocciare i quesiti, perché “sono legati all’obbligatorietà costituzionale della legge con riferimento in particolare all’articolo 116 della Costituzione e ancora nella definizione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) secondo la lettera m del secondo comma dell’articolo 117 della Carta ma inattuato da 23 anni e più volte sollecitato nella sua definizione da parte della stessa Corte costituzionale”.
“Tutto ciò oltre all’obbligatorietà dell’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione ovvero federalismo fiscale e perequazione ordinaria e straordinaria”, aggiunge ancora il ministro prima di precisare che l’iter per arrivare al voto sarà lungo, e dovrà passare anche dalla Corte di cassazione “che dovrà verificare non solo il numero delle firme valide ma anche il relativo accompagnamento del certificato elettorale di ogni cittadino. Ovvero che cinque consigli regionali abbiano deliberato il medesimo testo referendario, cosa che a tutt’oggi non si è ancora verificata”, conclude.
“Per fortuna non decide” Calderoli ma la Consulta, ribatte a stretto giro il responsabile Riforme del Pd Alessandro Alfieri. “Capisco che sono spaventati dal numero di firme raccolte in pochi giorni – ha detto ancora il senatore dem -, ma Calderoli stia più tranquillo. Al di là dell’ammissibilità del quesito, noi stiamo facendo questa battaglia per sensibilizzare l’opinione pubblica su una riforma pasticciata che fa male tanto al Nord quanto al Sud, complicando la vita degli imprenditori con più burocrazia. Non solo, la legge Calderoli colpisce l’istruzione e la sanità pubblica aumentando le disuguaglianze nel Paese”.
I dubbi, però, rimangono. Per Colucci, “Calderoli fonda le sue dichiarazioni sul collegamento alla legge di bilancio, ma è un collegamento formale non sostanziale. E gli altri rilievi posti sembrano superabili dall’esame della Corte costituzionale”.
E anche Magi lancia l’allarme sull’ipotesi bocciatura: “Il rischio c’è” non tanto sul collegamento tra la legge e la legge di bilancio, che “è formalistico, non è effettivo, anche perché non è previsto nessun impegno di spesa ma anzi potrebbe rimandare a un’altra legge”, quanto sulla Corte costituzionale che, “negli ultimi anni, è andata ben al di là dei confini dell’articolo 75 della Costituzione restringendo la possibilità da parte dei cittadini di votare determinati referendum”.
Insomma sono molti gli attori non ascoltati a fondo dal governo, che ora ritiene destinato a essere bocciato il quesito referendario. Tra questi Svimez, pochi giorni fa citata dalla premier Meloni per gli ultimi dati economici sul Mezzogiorno. Numeri alla mano, Svimez afferma che «negli anni successivi alla stipula delle intese, il meccanismo di finanziamento basato su quote di compartecipazione dei tributi riscossi sul territorio possa determinare un extra-finanziamento per le Regioni ad autonomia differenziata». Mentre la fondazione Gimbe, in un recente rapporto pubblico sugli effetti dell’autonomia sulla sanità, dopo una sfila di tabelle e grafici afferma: «Quel che è certo è che l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le Regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche Regioni del Nord. Le quali rischiano, paradossalmente, di peggiorare la qualità dell’assistenza sanitaria per i propri residenti».
La nota della Cei: custodire l’unità
È a conclusione dunque di questo dibattito ampio sulle ricadute dell’autonomia differenziata, che ha coinvolto le principali istituzioni del Paese, e a conclusione di una fase di ascolto dei territori, che l’episcopato italiano, lo scorso 24 maggio, ha reso pubblica una nota in cui si ricorda che il ddl-Calderoli «rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica». Un rischio che «non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute». Ma anche la voce dei vescovi si è aggiunta alle altre autorevoli voci non ascoltate dal governo.