“La riforma Cartabia va nella giusta direzione, una norma che ci voleva ma molto ancora deve essere fatto affinché si possa realizzare la parità tra le parti nel procedimento penale”. E’ questo il pensiero dell’avvocato penalista Massimiliano Parla intervistato da Roberta Feliziani nel corso della trasmissione “Mattina con noi”. Ma si è parlato anche delle nuove norme previste dallo schema del D.Lgs. approvato il 4 novembre 2021 dal Consiglio dei Ministri che recepisce la direttiva comunitaria in materia di presunzioni di innocenza e diritto all’oblio impostaci dall’Europa e voluto con forza dal Ministro Cartabia.
“La riforma recepisce una direttiva europea del 2016. Il testo si pone in una ottica di voler tutelare i nomi, i dati e più in generale la reputazione degli imputati/indagati”. Per l’avvocato Parla è importante che in questa norma venga posto l’accento sugli indagati affinché possa evitarsi la ‘gogna mediatica’ perché spesso “indagati sottoposti ad una semplice indagine vengono etichettati dai mezzi di informazione come già colpevoli”, un passaggio, questo inammissibile. La nuova norma avrà un impatto anche sul trattamento delle notizie che riguardano gli indagati e gli imputati. Per il penalista, la norma “si occupa degli indagati e in particolare sul profilo delle mere ipotesi: in conferenza stampa spesso gli indagati finiscono per essere già condannati. Le comunicazioni hanno un peso. Gli obiettivi della direttiva sono di stabilire con certezza i limiti entro i quali possono essere fatte queste esternazioni alla collettività in relazione ai danni reputazioni che gli indagati possono subire”. Un aspetto che rappresenta un novità rispetto al passato perché la ratio del provvedimento legislativo mira ad evitare storture comunicative ed evitare problemi alle persone. Per l’avvocato Parla è importante “salvaguardare la reputazione dell’indagato anche per evitare problemi, futuri, anche di natura anche psicologica. Serve un giusto bilanciamento tra le cose” e quindi non sbattere in prima pagina ‘il mostro’. “I dati del ministero sono emblematici: su 600mila procedimenti penali i 2/3 dei casi si sono chiusi con una pronuncia di archiviazione da parte degli stessi titolari delle indagini. Inoltre oltre il 50% delle declaratorie di avvenuta prescrizione maturano già nella fase delle indagini preliminari. Capita che per un reato che prevede una pena di 5 anni la giustizia impiega sette anni e mezzo per celebrare il primo grado. La costituzione ci parla di ragionevole durata del processo e questa in Italia non esiste come condizione di garanzia”. “L’autorità giudiziaria con la nuova norma deve evitare di far apparire l’interessato come colpevole” quindi vanno “vietate qualsiasi esternazione che diano una quasi certezza di colpevolezza”. Il tutto, però, calmierato con il diritto di cronaca che non può essere cancellato con un tratto di penna. Altra novità recepita dalla riforma riguarda il diritto all’oblio, che rappresenta una ulteriore tutela per le persone, indagate ma soprattutto condannate. Questo aspetto della norma, dice l’avvocato Parla, “impedisce che la forza espansiva di una notizia ormai di nessun interesse continui a incidere sulla reputazione e l’onore dell’individuo. La riforma Cartabia ha messo confini precisi che non possono essere oltrepassati anche quando l’interesse pubblico è preminente rispetto a quello privato”. In definitiva è stata intrapresa “la giusta direzione affinché la presunzione di innocenza si applicata anche nella tutela dei dati personali per evitare che le notizie possano essere oggetto di speculazione da parte dell’autorità pubblica o della cronaca: a riguardo si possono ricordare i casi Tortora o Sabani. Non è possibile venire a sapere di essere sotto ad un procedimento dai titoli dei giornali: un malcostume tutto italiano che va evitato”, conclude l’avvocato Parla.