E’ ancora allarme occupazione per la Banca Mondiale. Secondo l’ente internazionale, infatti, occorrerebbero 600 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, in particolar modo, nei paesi in via di sviluppo. Per i governi mondiali, infatti, il problema dell’occupazione dovrebbe essere la preoccupazione principale, in quanto “creare nuovi posti di lavoro significa assorbire i giovani che entrano nel mercato, favorire lo sviluppo e prevenire tensioni. L’assenza di lavoro, infatti, può avere un impatto sociale negativo, spingendo i giovani verso ‘gang’ per compensare la mancanza di identità e il senso di appartenenza che un posto di lavoro offre”. “I cambiamenti demografici, il progresso tecnologico e gli effetti della crisi finanziaria stanno ridisegnando il panorama dell’occupazione. I paesi che si adattano con successo a questi cambiamenti e che centrano le loro sfide nel mercato del lavoro possono guadagnare importanti miglioramenti negli standard di vita, nella crescita della produttività e in termini di società più coese”, sottolinea il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong King. In molti paesi che hanno subito rallentamenti durante la seconda guerra mondiale, è difficile raggiungere ancora oggi livelli pre-crisi. Ma il lavoro non è solo un modo per realizzarsi professionalmente, ma anche come persona. “L’occupazione è in grado di modificare le modalità con cui la gente vede se stessa e interagisce con gli altri”, precisa la Banca Mondiale, mettendo in evidenza come le sfide nel mondo del lavoro variano da paese a paese e dal livello di sviluppo. I governi – mette ancora in evidenza l’istituto di Washington – dovrebbero definire i lavori con il maggior impatto sullo sviluppo e concedere al settore privato, che rappresenta il 90% dell’occupazione a livello mondiale, incentivi per creare lavoro. I governi hanno anche la responsabilità di offrire stabilità macroeconomica e un contesto favorevole per le imprese.