Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Barbara Lalle la sua recensione su ‘Arlecchino servitore di due padroni, in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 20 maggio.
Fino a domenica 20 maggio al teatro Argentina di Roma sarà in scena ‘Arlecchino servitore di due padroni’ con la regia di Strehler scritta nel 1947 tratta dalla quasi omonima commedia di Carlo Goldoni scritto nel 1745 e dal titolo più breve ‘Il servitore di due padroni’. Goldoni la pensò inizialmente sotto forma di canovaccio per il famoso arlecchino contemporaneo Antonio Sacco, molto legata all’ancora viva commedia dell’arte anche per la presenza di molte maschere (Pantalone, Dottor Balanzone, Arlecchino, Brighella e Smeraldina/Colombina), solo successivamente sarà riscritta in forma di commedia borghese con un copione completo.
Strehler cambiò il titolo per la tournée straniera e dal debutto a fine stagione nel ‘47 ha avuto più di XIII edizioni e 2.200 repliche.
In 70 anni gli Arlecchini sono stati tre, il più famoso e longevo dei quali è stato Ferruccio Soleri a cui si devono improvvisazioni che sono entrate a far parte in modo stabile della messa in scena strehleriana (es. la scena mimata della mosca).
Il proposito è quello di far rivivere una forma antica di fare teatro, quella della commedia dell’arte, sfruttando gli strumenti del metateatro.
Il quid dell’adattamento pensato da Strehler per la commedia goldoniana, che in un certo senso rovescia le scelte del drammaturgo veneziano in favore di una teatro ‘borghese’ settecentesco, sta tutto nel desiderio di proporre allo spettatore contemporaneo una forma di teatro ormai scomparsa, forse più semplice e diretta, ma che contiene certamente tutti gli ingredienti fondamentali del teatro tout court: la commedia dell’arte italiana, che ha dominato per almeno due secoli le scene europee con i suoi canovacci e le sue maschere.
Strehler lo fa dal punto di vista di un regista del Novecento, che viene dopo il naturalismo borghese e le avanguardie storiche, e quindi usa un espediente raffinato, il metateatro, per ricreare l’atmosfera degli spettacoli delle compagnie itineranti dell’epoca d’oro delle maschere. Al centro della scenografia c’è un piccolo palco, con tanto di candele accese dal suggeritore all’inizio di ogni atto, davanti ad un fondale costituito da scenari dipinti su teloni scorrevoli cambiati di scena in scena, attorno c’è lo spazio di servizio delle quinte. Tutto avviene davanti agli occhi degli spettatori: i cambi di fondale, l’ingresso degli attori, i suggerimenti, i fuoriscena, la musica di accompagnamento. Quello che vediamo non è solo la commedia, ma anche la sua messa in scena nel suo concreto apprestamento, il dietro le quinte con i suoi intoppi ed errori. E non basta, perché, in perfetto stile da commedia dell’arte, i personaggi si rivolgono al pubblico, interagiscono con gli spettatori facendoli entrare nello spettacolo. E gli spettatori partecipano, ridono, battono le mani a tempo, si divertono. Assistere ad una replica di questo allestimento è sufficiente per capire perché ha avuto un successo così vasto e costante nel tempo.
Lo spirito della commedia dell’arte si reincarna in una moltitudine di altri elementi, come lo spazio concesso all’improvvisazione degli attori: L’esempio migliore è la pantomima della mosca, ideata dallo storico Arlecchino del Piccolo Teatro Ferruccio Soleri, che è entrata a far parte di diritto della pièce ed è perfettamente interpretata dall’Arlecchino attuale della compagnia, Enrico Bonavera; ma vanno citate le tirate in dialetto bolognese del Dottor Lombardi, assenti nel testo goldoniano, in omaggio all’origine della nota maschera. Anche la musica di scena eseguita dal vivo, che non solo segna gli intermezzi ma trasforma una scena di dialogo della coppia principale di innamorati (un’altra tipologia fissa del genere) in un’aria cantata che non avrebbe sfigurato in un’opera comica settecentesca, contribuisce, assieme ai costumi tradizionali, a rendere veramente godibile lo spettacolo.
Si esce contenti dall’Argentina, dopo aver visto uno spettacolo nel senso più genuino del termine.
Barbara Lalle