Arresto in Brasile confermato per Cesare Battisti: lo ha deciso il giudice federale, Odilon de Oliveira, durante l’udienza di custodia svoltasi in videoconferenza nella sede della polizia federale di Corumba’. Il magistrato ha ritenuto che ci fossero i presupposti per la custodia cautelare in carcere. Secondo il giudice del Mato Grosso do Sul – stato del Brasile centro-occidentale dove Battisti è stato fermato dalla polizia stradale – l’ex terrorista ‘di fatto’ stava cercando di varcare il confine del Brasile in direzione della Bolivia. Per de Oliveira, dunque, la misura preventiva nei confronti dell’italiano è necessaria proprio per scongiurare il pericolo di fuga.
Mentre Roma ribadisce la ferma volontà di assicurarlo alla giustizia italiana il prima possibile, all’indomani del suo arresto l’ex terrorista ha ostentato tranquillità e dichiara di non temere l’estradizione perché protetto da un decreto dell’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula. ‘L’Italia è fortemente determinata a far sì che Battisti sconti la pena e la sconti nel nostro Paese’, ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, sottolineando che ‘sono stati fatti tutti i passaggi necessari presso le autorità politiche e giurisdizionali brasiliane e assicurando che ne saranno fatti altri’.
L’impegno per riportare Battisti in Italia va avanti da anni ma negli ultimi tempi, con l’insediamento del nuovo presidente brasiliano Michel Temer, di tutt’altro colore politico rispetto a Lula e alla Rousseff, si è impressa una decisa accelerazione. Nei mesi scorsi il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha dato mandato all’ambasciatore italiano in Brasile di richiedere formalmente alle autorità di riavviare le procedure per estradare l’ex terrorista, condannato all’ergastolo per quattro omicidi. La richiesta è stata sottoposta in Brasile ad una prima analisi tecnica, secondo indiscrezioni della stampa brasiliana, ma intanto ha ottenuto il consenso di due ministri ‘pesanti’: quello della Giustizia, Torquato Jardim, e degli Esteri, Aloysio Nunes Ferreira. Per quest’ultimo, in particolare, un eventuale via libera all’estradizione di Battisti sarebbe un gesto importante dal punto di vista diplomatico.
Il governo brasiliano avrebbe anche già trovato il modo di aggirare il decreto Lula, quello che nel 2010 concesse a Battisti lo status di rifugiato politico e quindi un visto permanente in Brasile. In base ad una delibera della Corte Suprema del 1969, infatti, la pubblica amministrazione può annullare i propri atti in presenza di un vizio oppure revocarli per ragioni di convenienza o di opportunità. Battisti evidentemente non crede, o ostenta di non credere, a questa possibilità e sfacciatamente dichiara di sentirsi ‘blindato’ dal decreto dell’ex presidente-operaio. Una sicurezza tradita però dai fatti.
E’ infatti ipotizzabile che la sua tentata fuga in Bolivia sia conseguenza proprio del pressing del governo italiano sul presidente Temer, che gli ha fatto temere che il Brasile non fosse più un luogo sicuro per lui. Alla polizia l’ex militante dei Pac, che ha cercato di fuggire a bordo di un taxi boliviano, ha raccontato di voler andare in Bolivia per pescare e fare shopping. Una spiegazione alla quale gli agenti brasiliani non hanno creduto. Corumbà, la città al confine nella quale è stato fermato, dista centinaia di chilometri dal luogo in cui vive Battisti. Inoltre l’ex terrorista aveva con sé cinquemila dollari e duemila euro in contanti e per la legge brasiliana per portare fuori dal Paese cifre in denaro superiori ai diecimila real (circa tremila euro) bisogna dichiararle alle autorità. Tra gli oggetti trovati nell’auto anche una ‘polvere di colore biancastro’: gli inquirenti non escludono che possa trattarsi di cocaina, gli esami sono in corso.
In serata l’udienza in videoconferenza con un giudice federale, Odilon de Oliveira, conosciuto in Brasile per aver incarcerato supertrafficanti, che ha confermato il suo arresto. Al momento Battisti è accusato di evasione fiscale e riciclaggio ed il magistrato ha ritenuto che ci fossero i presupposti per la custodia cautelare in carcere visto il pericolo di fuga dato che ‘di fatto’ l’ex terrorista stava cercando di varcare il confine con la Bolivia.
Intanto dal mondo politico italiano si moltiplicano gli appelli per l’estradizione dell’ex militante dei Pac. ‘Non si perda altro tempo, il governo si adoperi con ogni mezzo affinché Battisti sconti la sua pena nel nostro Paese’, dichiara il vicepresidente della Camera e candidato premier del M5S, Luigi Di Maio.
I Pac, ‘Proletari Armati per il Comunismo’ furono una formazione terroristica di estrema sinistra che si formò in Lombardia nel 1977. Dopo le Brigate Rosse e Prima Linea, le principali organizzazioni armate di sinistra in Italia degli anni di piombo, i PAC rappresentarono, tra le molte sigle esistenti, la terza forza del terrorismo rosso per numero di attentati, tra cui 5 omicidi.
Suoi dirigenti erano Sebastiano Masala, Arrigo Cavallina, Luigi Lavazza, Pietro Mutti e Giuseppe Memeo ed i suoi membri erano per lo più di origine operaia. Il loro membro più famoso fu Cesare Battisti, che fu condannato a due ergastoli e tredici anni e che venne arrestato in Brasile nel 2007 per poi essere liberato nel 2011 in seguito alla scelta della Corte suprema brasiliana di non estradarlo. Anche Giuseppe Memeo, suo malgrado è rimasto famoso: è lui che, in una Milano da guerriglia urbana, coperto da un passamontagna scuro, jeans e stivaletti, mentre impugna una Beretta calibro 22 e spara, è colto dallo scatto di un fotografo. L’immagine, del 14 maggio 1977, è diventata una delle fotografie-simbolo degli anni di piombo.
Le prime azioni del gruppo furono di appoggio alle rivendicazioni operaie come l’8 maggio 1978 il ferimento del medico dell’Inam Diego Fava e il sabotaggio allo stabilimento all’Alfa Romeo di Milano. Ma gli obiettivi più importanti dei Proletari Armati per il Comunismo furono la lotta alle strutture carcerarie e, nei quartieri, contro coloro che venivano giudicati membri o collaboratori delle forze dell’ordine.
Riguardo al primo punto vanno ricordati il ferimento di Giorgio Rossanigo, medico del carcere di Novara, di Arturo Nigro, agente nel carcere di Verona e soprattutto l’uccisione ad Udine il 6 giugno 1978 di Antonio Santoro, maresciallo nel carcere di Udine.
Sul secondo versante invece i PAC uccisero il 16 febbraio 1979 il macellaio Lino Sabbadin a Santa Maria di Sala nei pressi di Venezia e il gioielliere Luigi Torregiani a Milano, lo stesso giorno; nell’agguato Luigi Torreggiani sparò per errore al figlio, che rimase paraplegico. Ambedue le vittime erano commercianti che mesi prima durante delle rapine avevano sparato contro dei rapinatori uccidendoli (Sabbadin aveva sparato durante una rapina presso la sua macelleria, Torregiani era intervenuto durante una rapina in corso nel ristorante in cui si trovava). La contemporaneità dei due omicidi aveva lo scopo di aumentare l’effetto mediatico e ridurre drasticamente le reazioni per legittima difesa durante le rapine, favorendo le attività della ‘piccola malavita.
Ha parlato anche la cognata dell’ex terrorista Ivea Battisti per ribadire la sua innocenza e per accusare i pentiti che si sono divertiti alle sue spalle. Per Alberto Torregiani, figlio del gioielliere Pier Luigi ucciso nel 1979 durante una rapina organizzata dall’ex terrorista, non c’è nulla da festeggiare, è un nuovo passaggio di questa battaglia interminabile. Magari siamo alla volta buona, questi due governi sono nelle condizioni di dare giustizia alle vittime.