La lotta tra un artista convenzionale, integrato nel sistema politico, e un altro dal carattere bohèmien, quasi hippy. Una battaglia che si svolge a Roma sul terreno dell’arte, ma anche dell’amore. Vincerà la combinazione di genio e sregolatezza, ma non senza ostacoli che a un certo punto della vicenda sembrano insormontabili. Vince quindi Benvenuto Cellini da Firenze, sconfiggendo l’artista di casa Ettore Fieramosca, prendendo il cuore della donna corteggiata da entrambi, oltre a guadagnarsi la considerazione del Papa dopo aver fuso la statua più bella nella sua officina. La storia messa in musica da Hector Berlioz nel 1838, ispirata alla vita dello scultore vissuto alla fine del ‘500, è stata ambientata nel XIX secolo dove la Roma dei papi si fonde in parte con l’atmosfera parigina. L’idea è venuta a Terry Gilliam, storico componente del gruppo comico inglese Monty Python e regista di pellicole come Brazil, nell’allestimento presentato all’Opera di Roma che aveva debuttato all’English National Opera a Londra. Non è facile mantenere un ordine sul palco, ma tutto gira nel modo giusto in un caos ben organizzato. Un elemento che tocca anche la lettura musicale affidata alla bacchetta di Roberto Abbado. Mantenere il filo della narrazione attraverso una partitura di lunga durata non è stato un compito facile. Abbado ha evidenziato Berlioz come se fosse stato il fratello maggiore di Jacques Offenbach dei Racconti di Hoffman: l’orchestra ha accarezzato la melodia dei momenti solisti e sostenuto con forza le già citate scene corali.
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