Berlusconi e la coalizione di ‘destra-centro’

 Nel momento della sua «discesa in campo» Berlusconi era già l’imprenditore più popolare d’Italia,  incarnazione di quel miracolo italiano destinato a far da assordante sottofondo al suo impegno politico e al suo discorso pubblico.

Berlusconi vi si decise per “supplenza” nei confronti di una nomenclatura – ivi compreso il Mariotto Segni ispiratore dei referendum elettorali che avevano seppellito la Prima Repubblica – riluttante a convertirsi al nuovo corso. Al contrario, Berlusconi aveva già capito tutto. E fu subito scandalo: «Se votassi a Roma, sceglierei Fini». Clamoroso endorsement scandito a margine dell’inaugurazione di un centro commerciale a Casalecchio di Reno mentre per la poltrona di sindaco della Capitale duellavano due emergenti, Gianfranco Fini appunto, e Francesco Rutelli. I giornali tradussero il tutto come «Cavaliere nero» e «sdoganamento» della destra missina. In realtà, apriva al  Ventennio berlusconiano.

Un Ventennio, a ben guardare, più leggendario che reale dal momento che da allora fino al 27 novembre del 2013, data in cui il Senato lo espulse dai propri ranghi a seguito della condanna definitiva per frode fiscale, di anni a Palazzo Chigi Berlusconi ne ha trascorso meno di dieci. Ma è suo il sigillo sull’epoca: il bipolarismo, il sondaggio, lo spot tv, il partito azienda, il conflitto d’interessi, la società civile, la cena del lunedì con gli alleati, e, più tardi, il contratto con gli italiani, i delfini spiaggiati, la diretta telefonica, l’esorcismo sulla sedia di Marco Travaglio, le fidanzate di papi, il cagnolino Dudù e, da ultimo, il non-matrimonio rappresentano altrettante pietre d’inciampo di un vissuto politico e di un immaginario collettivo destinati a resistere all’usura del tempo.

Nessuno, del resto, è stato più di lui un professionista della resurrezione, avendo alternato polvere e altare in un turbinio incessante di inchieste, processi, ribaltoni parlamentari, espiazione di pene alternative, malattie e operazioni a cuore aperto. Certo, ha avuto la soddisfazione di spirare insignito del laticlavio che gli fu strappato, ma è anche vero che nulla gli è stato risparmiato. In compenso, lascia in eredità un’Italia libera dalle gabbie ideologiche del ‘900, di cui è frutto prezioso la coalizione di destra-centro  oggi in gran spolvero tanto a Roma quanto in periferia.

«Silvio Berlusconi è stato soprattutto un combattente. Un uomo che non ha mai avuto paura a difendere le sue convinzioni.  Ed è stato quel coraggio e quella sua determinazione a farne uno degli uomini più influenti della storia d’Italia; a consentirgli di imprimere una svolta nel mondo della politica, nel mondo dell’impresa della comunicazione». GiorgiaMeloni è visibilmente commossa. Ed esprime parole piene di dolore e, insieme, di riconoscimento del valore umano e politico del Cavaliere in ogni ambito.

Giorgia Meloni sottolinea inoltre in un video dai suoi profili social la grande lezione che Berlusconi  lascia al nostro Paese. “Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi porre dei limiti; che non doveva mai darsi per vinta. Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso molte battaglie. Ed è per lui che  porteremo a casa gli obiettivi che insieme ci eravamo dati. Addio Silvio”.

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