Berlusconi ha sdoganato l’anticomunismo

Più che la destra, è l’anticomunismo che Silvio Berlusconi   ha sdoganato. Prima di lui, a predicarlo e a praticarlo erano infatti solo i nativi della riserva missina. Persino la Democrazia Cristiana, che pure ne aveva beneficiato per un paio di decenni, aveva smesso di farlo, abbagliata com’era dall’abbraccio «tra le masse popolari e quelle cattoliche»  vaticinato dagli aedi del compromesso storico con il Pci di Enrico Berlinguer.

Un vero paradosso se solo si pensa che tra Unione Sovietica, Cina, Nord-Corea, Vietnam, Cambogia, Cuba e Paesi non allineati quell’ideologia teneva in scacco ben più di un miliardo di uomini. Vivo, vegeto e minaccioso ovunque, in Italia il comunismo aveva invece conservato pressoché intatto il suo fascino e il suo potere di seduzione. Merito  del suo dominio culturale, talmente egemone e pervasivo in quegli anni da riuscire a ribaltare la frittata. E ad additare nel fascismo, a quell’epoca morto e sepolto da almeno tre decenni, il vero pericolo per la nostra democrazia. Cosicché non stupisce se, ad eccezione dei collezionisti di cui prima, a nessuno venne in mente di presentare anche al Pci il conto del fallimento del comunismo realizzato, miseramente accartocciatosi sotto il peso schiacciante delle sue tragiche utopie.

Achille Occhetto rimpiazzò il Pci con il Pds. I compagni avevano voltato pagina: ora si chiamavano Progressisti e, grazie a Craxi, i loro capi potevano esibire biglietti da visita con tanto di stemma dei Socialisti europei. Berlusconi, che proprio qui, sul più bello, entra in scena: «Ma quando mai! Restano i comunisti di sempre».

L’Italia era ancora visceralmente anticomunista, solo che nessuno più – aveva la forza o la voglia di ricordarglielo. Ci pensò, appunto, Berlusconi…

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