Berlusconi tra il conflitto ucraino e le sanzioni a Putin

Sono alcuni giorni che Silvio Berlusconi non parla del conflitto in Ucraina. Al suo posto fa sentire la voce di Forza Italia Antonio Tajani, che  ha sottolineato la necessità di intervenire sul prezzo del grano, ponendo il problema dell’autonomia alimentare dell’Europa.

Oggi il numero due di Fi ha fatto sapere via Twitter di aver riunito dirigenti e militanti di partito residenti nella Circoscrizione Europa a cui ha partecipato anche il Cav. Ma nulla è trapelato su cosa pensi l’ex premier riguardo gli ultimi sviluppi dell’aggressione militare russa. Il suo silenzio vale più di ogni parola, dice a mezza bocca un big forzista, che ha avuto modo di sentirlo di recente.

Mai come stavolta, raccontano fonti azzurre, Berlusconi si sente coinvolto da quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa e sarebbe molto preoccupato dalla ricaduta delle sanzioni contro la Russia. Secondo il leader forzista quelle attuali non sarebbero lo strumento più adatto in questo momento per convincere Vladimir Putin al cessate il fuoco. Per il numero uno di Fi infatti, servirebbero sanzioni i graduali e commisurate mantenendo aperto il dialogo. Così rischiamo di consegnare alla Cina la Russia, che invece poteva essere una nostra alleata e amica, avrebbe commentato Berlusconi, che ha sempre messo in guardia l’Europa dal ‘pericolo Cina’ per gli equilibri geopolitici e non solo.

Il Cav, riferiscono, legge compulsivamente le notizie di agenzia che arrivano dal teatro bellico. Sia in pubblico che in privato, non avrebbe espresso alcun giudizio personale su Putin. In particolare, il presidente forzista avrebbe fatto notare che proprio a causa delle sanzioni  tante aziende non solo italiane stanno disinvestendo in Russia e questo comporta un ingente danno per l’economia con tanti posti di lavoro che vanno in fumo.

Silvio Berlusconi ci ha provato a fermare Vladimir Putin ma non ci è riuscito, come tutti gli altri del resto. Finora. Il Cavaliere è molto preoccupato per l’evoluzione della guerra in Ucraina. Preoccupato perché non vede la possibilità di un accordo di pace nonostante siano in campo la Cina e la Turchia nel ruolo di mediatori. Sembra, il suo, un pessimismo a ragion veduta nel senso che ha fonti dirette per pensare negativo. Non c’è alcuna conferma ufficiale di una sua telefonata all’amico  Vladimir Putin.

I suoi collaboratori hanno precisato, sempre ufficialmente, che il «presidente Berlusconi» ha attivato in suoi canali informali, senza specificare se siano contatti diretti con l’autocrate del Cremlino. Ma nostre fonti confermano che questo contatto diretto ci sia stato: si parla di una telefonata nei giorni scorsi e della quale avrebbe riferito anche al presidente del Consiglio Mario Draghi.

Margini di manovra zero, determinazione massima ad arrivare all’obiettivo da parte leader russo, cioè l’occupazione e il controllo politico e militare dell’Ucraina. Non gli basterà un compromesso come il riconoscimento della Crimea e del Donbass, vuole la testa di Zelensky e la neutralità dell’Ucraina scritta nero su bianco nella Costituzione, come in Moldavia. Questo almeno fino a qualche giorno fa, prima che scendesse in campo un peso massimo come la Cina che all’Onu si è astenuta sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa.

Berlusconi avrebbe detto ad alcuni collaboratori di non riconoscere più l’amico Vladimir. Per il Cavaliere la sua è una reazione spropositata, ingiustificata, foriera di pericoli incalcolabili, militari, umanitari ed economici. Peggiori rispetto a quelli che finita abbiamo visto. Per questo il leader di Forza Italia ha detto ai responsabili politici e parlamentari del suo partito di essere allineati e coperti con la linea e le decisioni del governo, dell’Unione europea e degli Stati Uniti.

C’è poi un piano di riflessione politica e personale che ai suoi occhi non giustifica per niente la decisione militare di Putin ma che porta a valutazioni critiche su come tutto l’Occidente si è mosso nei confronti della Russia. Si riferisce all’allargamento eccessivo e veloce della Nato nei Paesi baltici, l’intensificarsi della presenza di militari e armamenti in Polonia, Romania, l’addestramento dello stesso esercito ucraino. Insomma, è stato dato un colpo di spugna allo spirito di Pratica di mare: nel maggio del 2002 l’allora presidente del Consiglio Berlusconi fece stringere la mano a W. Bush e Putin. Da allora, nessun avvicinamento,  integrazione, ma una continua estensione dell’influenza europea e americana verso i confini russi.

Berlusconi fa queste riflessioni per dire che Putin ha ragione a essere arrabbiato, ma non di aver deciso l’invasione dell’Ucraina. Non aggiunge però che i Paesi che si sono resi disponibili alla continua estensione dell’influenza europea e americana sono stati liberi di farlo. Non solo. I più importanti, come Polonia e Ungheria, hanno ricevuto enormi benefici economici dall’ingresso nell’Unione europea, nonostante non brillino per Stato di diritto e democrazia. Inoltre, chi è entrato per libera scelta nella Nato si sente fortunato di essere sotto questo ombrello adesso che vedono di cosa è capace di fare Mosca.

Tra la Russia e l’Europa hanno scelto la seconda e questo Putin, che sogna il blocco slavo e la potenza perduta, non lo sopporta. Berlusconi capisce le ragioni di principio del Cremlino che tuttavia, a suo avviso, non possono spingersi fino all’azione militare perché la situazione può sfuggire di mano. È quello che teme di più il Cavaliere. Questo è il punto.

Le sue sono supposizioni, timori, fantasmi. Quello che teme, e che temono anche i vertici militari dell’Occidente, è l’incidente provocato. Un incidente pesante, come l’abbattimento di un aereo militare della Nato da parte della Russia nei cieli della Polonia. Magari potrebbe essere causato dagli stessi ucraini, attribuendone la colpa ai russi. In entrambi i casi l’obiettivo sarebbe tirare dentro il conflitto la Nato e i Paesi europei. A quel punto saremmo ai famosi boots on tre ground con tutto l’orrore che ne seguirebbe.

Nelle ultime ore sembra che si sia aperto un piccolissimo spiraglio su cui trattare tra Ucraina e Russia. Al momento si è ben lontani da una soluzione diplomatica del conflitto, ma le parole che il presidente Zelensky ha pronunciato in un’intervista alla tv americana Abc, fanno credere che qualcosa si possa smuovere.

“Il mio entusiasmo per la Nato – ha scandito Zelensky – si è raffreddato molto tempo fa, dopo aver capito che l’Alleanza Atlantica non è pronta ad accogliere l’Ucraina; questa alleanza ha paura di uno scontro con la Russia”. C’è però disponibilità “a trovare un compromesso su come questi territori continueranno a vivere (il riferimento è alla Crimea, a Donetsk e a Lugansk). Stiamo resistendo come avete fatto voi con i nazisti”, ha concluso il presidente ucraino.

Per diversi analisti, il “compromesso” potrebbe essere non la “finlandizzazione“, di cui si è molto parlato in queste settimane, bensì un “Modello Austria”. Putin gradirebbe una simile situazione? Difficile dirlo, certo è che non dovrebbe più temere di avere la Nato sulla “soglia di casa”. Un simile scenario, inoltre, consentirebbe al governo di Volodymyr Zelenksy di sopravvivere.

Ma in cosa consiste il “Modello Austria”? Vorrebbe dire che l’Ucraina garantirebbe “neutralità perpetua”, modificando la Costituzione che dal 2019, invece, prevede un percorso di avvicinamento alla Nato.

Per Kiev sarebbe un grosso passo indietro: il Paese dovrebbe fare una poderosa virata rispetto alla direzione intrapresa negli ultimi anni, arrestando in parte il processo politico, culturale e psicologico iniziato nel 2014 con la rivolta di Maidan e la cacciata del presidente filo russoViktor Yanukovich.

Dall’altra parte si potrebbe porre fine alla guerra.

Per “finlandizzazione” si intende un Paese “congelato” per un lungo periodo, il quale non avanza alcuna richiesta di entrare a far parte della Nato. Concretamente si tratta di una scelta politica che però può essere modificata nel tempo. Il termine “finlandizzazione” trae ispirazione dalle decisioni della Finlandia che ha scelto l’equidistanza tra i due blocchi all’epoca della Guerra Fredda, ma senza legarsi le mani con patti giuridici che potessero precludere cambiamenti futuri.

La condizione dell’Austria è differente: la sua neutralità è scritta nella sua Costituzione dal 1955 ed è un tratto identitario del nuovo stato creatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Vienna è quindi più vincolata; tuttavia non è isolata. Infatti orbita attorno ai cosiddetti “Paesi associati” alla Nato. Quando ci sono i vertici, l’Austria, ad esempio, partecipa nel ruolo di osservatrice.

Inoltre l’Austria è membro dell’Unione europea dal 1995. In quell’anno entrarono nella Ue altri due paesi neutrali, cioè Svezia e Finlandia (la Svizzera non vi entrò nel 1992, dopo l’esito negativo di un referendum). La “neutralità perpetua” non ha quindi precluso a Vienna di inserirsi nel tessuto occidentale. Questa potrebbe essere la strada che vuole percorrere Zelensky, rinunciando alla Nato.

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