Bertinotti: ‘Il  Pd di Schlein  è il prodotto di una ‘sinistra Sanremo…’

Negli anni a noi più vicini le segreterie sono state via via spodestate dagli staff del segretario divenuti, in un quadro di crescente leaderismo, i veri responsabili delle scelte politiche. Lo stesso Partito democratico, che pure viene dalle tradizioni sopra richiamate, è nato come un partito del leader circondato dai suoi fedelissimi collaboratori mai sospettabili di portare avanti una linea diversa da quella del segretario. Quindi da tempo la segreteria del Pd non conta politicamente nulla, essendo più o meno la squadra del leader. Questo vale per il vertice del Pd nominato da Elly Schlein.

La segreteria schleiniana è politica e tuttavia per il modo con cui è costruita si può ipotizzare che non sarà una sede di discussione ma un coordinamento quasi tecnico ove i vari responsabili di settore rendicontano il loro lavoro settoriale. Le responsabilità infatti sono molto spezzettate e sembrano annichilire a priori la possibilità di una vera discussione politica.

Schlein dunque si è dotata di uno strumento operativo che di fatto riserva a lei e al suo giro la linea politica. Nulla di nuovo: invece del partito del leader sarà il partito della leader. Questo dovrebbe far riflettere sulla opportunità per i riformisti di essere entrati in una segreteria dove bene che vada sono cinque contro sedici, con il rischio di fare la classica foglia di fico di una donna sola al comando.

Fausto Bertinotti non fa sconti a Elly Schlein, sulla crisi endemica del partito e della sua neo-segretaria. In un’intervista a Il Giornale spiega come e perché la figura “liberal” di Elly continua a non convincerlo: «È una figura che proveniva dall’esterno del partito. Che ha un profilo vicino ai liberal americani e assai distante da quello dei leader del movimento operaio della sinistra italiana,  donna appartenente a «una sinistra totalmente diversa dalla mia. Io penso proprio a un’altra sinistra. Dopo la grande sconfitta bisognerebbe pensare a due sinistre, proprio come nella tradizione del grande movimento operaio europeo: una sinistra riformista e una rivoluzionaria. Io lavorerei a una sinistra più simile alla France insoumise di Mélenchon, mentre la Schlein guarda legittimamente alla sinistra liberal americana sia sul terreno dei diritti. Sia su una linea di conciliazione tra capitale e lavoro. Un’idea non solo di un nuovo Pd, ma di una nuova sinistra’.

Un confronto impietoso tra modelli politici, quello che propone l’ex leader di Rifondazione comunista, che lo porta a dire: «Podemos e France insoumise hanno fatto un discorso diverso, e non hanno cercato preliminarmente una qualche alleanza politica». Ossia, ribadisce Bertinotti, «una sinistra totalmente diversa da quella che abbiamo in Italia… Questo tipo di sinistra attualmente da noi non c’è. Pd e M5S, invece, sono lontanissime da costituire una rivitalizzazione della politica, ma sono espressione di una crisi e non di una risposta.  Anche il M5s ha smesso di considerare una priorità questa dialettica di contrasto. Francamente in Italia non c’è traccia di un conflitto sociale come quello che si è visto in Francia con le proteste contro la riforma delle pensioni».

Lo storico parlamentare del Prc vede incistarsi anche nel successo della neo-numero uno del Nazareno, su cui avverte: la sua affermazione «è più significativa per le domande che poneva, che per le risposte. È un qualcosa che si è manifestato con i movimenti giovanili, con il Festival di Sanremo o con Mare Fuori».

In una considerazione finale Bertinotti cala  la saracinesca sul centrosinistra italiano: «Io penso che il centrosinistra sia finito e che non sia stata la risposta alla crisi italiana, ma bensì sia stata proprio la sua crisi. Nel centrosinistra sono stati incorporati tutti gli elementi che ne hanno prodotto la crisi: il primato delle alleanze sui contenuti. Un’idea politicista del conflitto tra destra e sinistra. L’adesione alla centralità del governo e la trasformazione della lotta politica in una competizione elettorale fatta per vincere. Il centrosinistra non è, per le forze d’opposizione, la terra del ritorno».

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